Cogito Ergo Sud

W la Roma Campione

83 anni fa vincevamo il nostro primo Tricolore. Allo Stadio Nazionale i fratelli Lalli lo celebrarono con uno striscione, scrissero l’emozione di una generazione: erano sordomuti

PUBBLICATO DA Tonino Cagnucci
14 Giugno 2025 - 08:00

La Roma è l’amore per Roma. Per cercare di iniziare a raccontarlo ho voluto incontrare una persona che si chiama Ornella Lalli. Volevo sentire direttamente da lei la storia di suo papà Francesco e di suo zio Gioacchino, i fratelli Lalli che il 14 giugno 1942 allo Stadio Nazionale durante la partita del primo Scudetto, Roma-Modena, esposero quello che si può considerare il primo striscione della nostra vita. Era semplice, rettangolare, era semplice anche quello che c’era scritto: “Viva la Roma Campione d’Italia”. Quando lo aprirono lo stadio fece un attimo di silenzio, poi applaudì: quello stendardo esprimeva per conto di una generazione un’emozione troppo grande da dire a parole. Per loro, per Francesco e Gioacchino, era letteralmente così: erano sordomuti

“Nonno e nonna hanno avuto sei figli, tre “non udenti” – dice Ornella e impariamo a dirlo anche noi – tutti romanisti. Papà la Roma l’ha amata e l’amore ce l’ha trasmesso per tutta la sua vita”. Dice così, confondendo l’amore con la Roma ma senza sbagliare: la storia della Roma è la storia di un grande amore. Abitavano a Centocelle Francesco e Gioacchino, e quel giorno come tutte le volte che andavano a vedere la Roma presero il tram fino a Porta Maggiore, da lì l’autobus fino a piazzale Flaminio e quindi a piedi verso lo stadio. E poi il ritorno a casa, sapendo che forse la vera casa era quella che avevano appena lasciato: “All’epoca una persona che non sentiva e non parlava era vista in una certa maniera, veniva considerata una specie di malato mentale; capitava a mio papà che anche per strada venisse trattato in modo poco gentile, ma lui ha sempre reagito. Da romanista. Era tanto orgoglioso e la Roma è stata il suo orgoglio più grande. Ha avuto per la Roma una dedizione assoluta. La vita non è stata facile, anche quello Scudetto l’abbiamo vinto praticamente in guerra, ma avevamo sempre questo sentimento con noi”. Ornella quando racconta queste cose sembra una bambina. Ancora adesso non c’è un commento dopo le partite della Roma che non sia dedicato al suo “Papo”. “La Roma era qualcosa di famiglia e che anche oggi mi lega a lui”. 

Quando nel 1983 la Roma vinse il suo secondo Scudetto, Francesco, nato il 18 febbraio del 1921, andò in giro con la sua Simca 1000 color bronzo tappezzata coi poster della squadra e con la prima pagina del Corriere dello Sport che titolava: “Un urlo: Roma”. Era un’eco, la sua: quella del Tricolore vinto 41 anni prima quando c’era già un’attesa più grande dei suoi 14 anni. La Roma nel 1927 nasce contro il potere del Nord (della Juve, dell’Inter, del Milan, del Genoa, della Pro Vercelli, del Bologna, del Torino, persino la Novese e il Casale avevano vinto il campionato). La Roma nasce all’opposizione portandosi così immediatamente dietro un movimento e una voglia di rivincita. La Roma veniva da lontano. La Roma c’era prima della Roma.  

Il tifoso della Roma nel 1927 è nato con la Roma addosso, un’epifania e insieme già un’attesa, quella di una città che aspettava di tifarsi. E’ l’unico caso di una tifoseria nata prima della squadra: non si tifa la Roma, si è della Roma. La Roma è la sua gente, soprattutto quella che non sa dirsi e che ha poca rappresentazione. La storia della Roma dev’essere soprattutto quella dei suoi tifosi perché loro la Roma hanno continuato a portarsela addosso in qualsiasi circostanza e questa è sempre stata la caratteristica e la grandezza di questa squadra. Di Ornella, di suo Papo, di suo zio Gioacchino morto troppo presto per vedere l’ultimo scudetto. Francesco Lalli, oltre a fare il padre e a tifare la Roma, era uno straordinario artigiano del legno e confezionò il suo “pinocchio fragile” anche nel 2001, in occasione del terzo Tricolore, quando a 80 anni disegnò uno Scudetto enorme al Largo dei Colli Albani dove la famiglia era andata a vivere: lì proprio nel 1927 la Roma iniziò a giocare a calcio, al Motovelodromo Appio. La circolarità assoluta, la fine e l’inizio in unico punto, in un unico momento, in un uomo che a 20 anni ha disegnato le parole e a 80 la forma e i colori del suo amore. La O di Giotto, o quello di un’Odissea che ti riporta e ti fa sentire a casa: Ulisse sul tram a Piazzale Flaminio e poi a piedi verso lo stadio. Itaca, sta in zona Apollodoro

Quel 14 giugno 1942 c’era già stato tutto Testaccio (1929-1940) e Testaccio è stato più o meno già tutto. C’era stata la storia di amicizia fra Attilio Ferraris IV e Fulvio Bernardini, Ennio Morricone che da ragazzino si metteva dietro la rete di Guido Masetti, Alberto Sordi che s’arrampicava su Monte de’ Cocci per vedere la Roma, il gol di Volk l’8 dicembre 1929 per il primo derby di sempre, il 5-0 alla Juve a Testaccio, il 5-0 alla Lazio,  e tutta un’epica nata ancor prima che il mito si sciogliesse nella storia di un’Associazione Sportiva che si prendeva per sempre il nome, i colori, il simbolo di una città eterna. Quel giorno allo stadio Nazionale c’erano i popolari, le tribune, le generazioni passate e quelle future, c’era Egidio Guarnacci che aveva 8 anni e che sarà il primo capitano romano e romanista dopo Bernardini; i Baroni e i Geppo che si abbracceranno a Genova, a Roma, a Tirana. C’erano Francesco e Gioacchino Lalli, due ventenni non udenti che riuscirono ad esprimere per conto di una generazione nata insieme alla Roma un sentimento troppo grande da dirsi, lasciando loro, quella volta e per sempre, tutti gli altri senza parole. Due fratelli sono nel mito di fondazione di Roma, due fratelli sono nel dna del nostro sentire la Roma. La bellezza, la cura, la commozione con cui Ornella ha raccontato dell’amore di suo papà, è all’altezza del racconto, che per lei è album di famiglia, spesa, bollette, ricordi, per noi traccia di una mitologia di un sentimento che ci avvolge e che ci precede. Con la faccia e l’emozione di poter raccontare di suo papà mi ha restituito quasi fisicamente il senso di quella storia e della storia in generale, e la verità che c’è nel tifare la Roma. Rispetto a ciò che proviamo nei confronti della Roma siamo tutti come Francesco e Gioacchino Lalli. Senza parole. Ed è persino logico che una cosa che non si può dire sia stata in qualche maniera detta da chi le parole non poteva usarle.

Vedere una nonna, Ornella lo è adesso, commuoversi al ricordo del papà che la portava allo stadio da ragazzina, ricordarsi delle sue cose della Roma e poi fremere per il prossimo turno di Europa League mi fa oltretutto sentire a posto con la coscienza: ho speso 50 anni a parlare di una bella cosa, sapendo che il senso non è riuscire a trovare le parole, ma cercarle inseguendo il segreto di un nome che anche all’incontrario si legge AmoR

(Tratto da  “Il grande romanzo della Roma”,Newton Compton).

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