Il primo gol di Taccola
Al Meazza contro l’Inter del Mago Herrera c’è la Roma rimaneggiata del Mago Pugliese. In attacco, anche se col 10, gioca Giuliano che pareggia la rete di Facchetti e incanta San Siro

(GETTY IMAGES)
Quando io gioco chiuso faccio catenaccio. Quando ci giocano gli altri (l’Inter di Herrera, nda) si dice che giocano di rimessa.
Pugliese a Gino Pieri de «Il Messaggero» al termine di Inter-Roma.
Giuliano Taccola era arrivato alla Roma da neoacquisto al raduno della stagione 1967/68 proveniente dal Genoa. Nelle “sgambate in famiglia”, a Spoleto, era stato inserito nella formazione B, primo inequivocabile segnale delle gerarchie dell’allenatore Pugliese, che considerava il giovane attaccante come un rincalzo. Del resto, basta scorrere i tabellini delle prime uscite stagionali: Taccola sarebbe sempre partito dalla panchina.
Per vederlo schierato dal primo minuto occorrerà attendere l’amichevole di Pesaro, il 10 settembre (con due reti): da questo momento Taccola non esce più dall’undici titolare. Anche perché sulla squadra si sta per abbattere uno stato di emergenza inusitata per le prime battute di stagione. Dopo l’amichevole a Bari, infatti, avviene quello che è ben raccontato da «Il Messaggero» del 17 settembre: La sfortuna in effetti ha determinato un nuovo problema per l’allenatore giallorosso. A Bari mercoledì scorso, la Roma aveva dimostrato di aver raggiunto un apprezzabile grado di organizzazione di gioco, ma adesso per la indisponibilità di Jair (che in pratica dovrà saltare le prime tre giornate di campionato), bisognerà correre ai ripari. Già in allenamento al Tre Fontane, Pugliese ha potuto sperimentare, con Enzo centravanti e Taccola ala destra, un’interessante soluzione.
Esattamente nella giornata in cui venivano pubblicate queste parole, in un allenamento contro la Tevere, Enzo s’infortuna alla spalla destra. La Roma è attesa dalla temibile trasferta di Milano, ma il dottor Di Martino è subito chiaro sulle possibilità di recuperare il giocatore: «Non resta che confidare in un miracolo». Pugliese, persi sia Enzo che Jair, gioca la carta Taccola: contro i nerazzurri il centravanti sarà lui. Nella settimana di vigilia, il “Mago di Turi”, istrionico come sempre, comincia a giocare la partita contro il suo bersaglio preferito: Helenio Herrera. L’esordio è in una dichiarazione del 19 settembre: «La Roma nonostante i guai e le contrarietà, ha sempre le risorse che Herrera teme. E di queste risorse, scusate, non si può parlare». È solo l’inizio perché l’indomani il Mister rincara la dose: «Possiamo combinare un altro scherzetto all’Inter, magari grazie a un autogol dei suoi difensori». Quando i giornalisti, più divertiti che sconcertati, cercano di ricordagli gli esordi balbettanti della sua squadra, Pugliese non si scompone: «Possibile che Herrera non abbia trovato un posto a Colausig ? Mi dispiace per il giocatore. Però detto tra noi meglio così».
I giorni passano, conditi da notizie di colore che fanno sorridere. Il 20 settembre si rende infatti noto che, dopo l’incontro con l’Inter, “lo studente” Fabio Capello dovrà tornare a Ferrara per completare le prove degli esami di riparazione, sostenendo gli orali. E, col senno di poi, vedere Don Fabio sotto interrogazione sarebbe stata una cosa assai curiosa… Intanto la squadra sostiene l’ultima rifinitura contro la STEFER. Qualcuno vorrebbe farla disputare a porte chiuse per escludere gli osservatori nerazzurri. Il Club risponde con una nota che emoziona ancora a distanza di decenni: «La Roma è dei tifosi, ed è giusto che il pubblico sia sempre vicino alla squadra». E la gente (chi ha un pubblico del genere?) risponde lasciando a bocca aperta. Al Tre Fontane si presentano 6-7mila tifosi.
Pugliese è concentratissimo sui suoi mind games, parte da Roma con soli quindici uomini, ma cerca lo stesso di mandare in tilt le strategie di Herrera. Per confonderlo inventa una giostra di numeri degna di un circo. Losi, a cui assegna la maglia numero 2, gioca da libero, Robotti con il 3 va sull’ala sinistra Bonfanti, Scaratti con l’8, da mediano-terzino, si piazza su Domenghini. Cappelli con il 4 prende in consegna Nielsen e Ferrari, col 7, si mette sulle tracce di Facchetti. Peirò, il numero 9, non gioca da centravanti: quel ruolo spetta al ragazzo dalla faccia pensierosa, Taccola. Giuliano, in uno di quei tanti momenti lirici e poetici che regala il calcio, entra a San Siro con la maglia degli artisti, la numero 10. Quella che sarà di Agostino Di Bartolomei e Francesco Totti e che in quei mesi era in genere destinata a Fabio Capello. Oggi però tocca a lui, un numero in stoffa bianca che sembra più grande delle sue spalle. È un giocatore di forza, astuzia e velocità Taccola, eppure ha dei colpi di genio improvvisi, istintivi, che lo sollevano sopra a tutti e lo rendono, quando è ispirato, immarcabile.Arriva il giorno del match e in dieci minuti si è messo a verbale tutto quanto di fattivo metterà in mostra la gara. Al 7’ il centro di Bedin viene allontanato di testa da Ferrari, palla a Nielsen e tiro respinto da Cappelli, con la palla che rotola dalle parti di Facchetti. E lui, con un tiro a mezza altezza, dai 12 metri, mette in rete. Pareggiare è per la Roma più difficile che scalare l’Everest, eppure arriva l’episodio che cambia le carte in tavola: pallone lungo di Robotti, Landini lascia passare come se la palla fosse chiamata dal portiere ma arriva Capello (Sarti era fuori dai pali), tenta la rovesciata e alza palla a campanile, mezza girata di Taccola e rete.
Le emozioni potrebbero finire qua, ma c’è ancora da assistere alle occasioni fallite da Capello, pericolosissimo, e da Bedin. La gara sta dunque per finire. Pugliese, che era entrato a San Siro in un’impeccabile mise che prevedeva giacca e cravatta, alla fine è in camicia, stravolto dalla fatica e attorniato dai giocatori. Tra questi, Taccola che, imboccando il sottopassaggio che porta agli spogliatoi, va ad abbracciarlo. L’indomani in un commento della gara si leggerà su «Il Messaggero»: «Taccola ha spesso disposto di Burgnich». Si può aggiungere altro?
(Da “Le cento partite che hanno fatto la storia dell’AS Roma” di ;assimo Izzi e di Tonino Cagnucci).
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