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la storia

Alberto De Rossi, 19 anni di finali e talenti valorizzati

Tre scudetti e due Coppe Italia. Iniziò con i "suoi" classe '84, nel 2005 il primo trionfo. Ma è formativo anche perdere: l'importante è esserci

Alberto De Rossi, una vita passata nel settore giovanile della Roma (As Roma via Getty Images)

Alberto De Rossi, una vita passata nel settore giovanile della Roma (As Roma via Getty Images)

03 Giugno 2022 - 18:31

C'è un grande, diffuso equivoco quando si parla di giocatori cresciuti da un tecnico: non è quasi mai l'allenatore della Primavera a farlo, lui si limita alle rifiniture (ma se è bravo sono rifiniture di pregio, quelle che fanno la differenza tra artigianato e opera d'arte) su un prodotto già lavorato da un'altra mezza dozzina di colleghi prima. Tranne quando l'allenatore segue il gruppo per più stagioni, come fece De Rossi con i classe 1984, tenuti 6 anni, dai Pulcini ai Giovanissimi Nazionali, e ritrovati nel finale di stagione con gli Allievi: un legame con pochi eguali nel calcio giovanile, erano sue creature a tutti gli effetti.

E furono quelli che Alberto ritrovò - a parte Aquilani e Ferronetti, che la Primavera avevano cominciato a farla già sotto età con Bencivenga nel 2000-01, e avendo già completato un triennio andarono in prestito alla Triestina in B - nella prima stagione in Primavera: c'erano il secondo portiere Rasera (il titolare, Marco Paoloni, quello del Calcioscommesse, era già andato in prestito al Teramo), in difesa il povero Andrea Servi, portato via da un cancro a 29 anni, il terzino sinistro Piva, il fantasista Stillo, la seconda punta Galasso, e il centravanti Corvia, che a metà della prima stagione si era spaccato il ginocchio, compromettendo anche la seconda, e alla terza, tornato sano e in forma, fu il capocannoniere del campionato, 22 gol in 19 partite di regular season. Ma quell'anno fu una rimpatriata totale, perché il tecnico di Ostia tra Allievi e Giovanissimi aveva già allenato anche gli '85, Curci e Galloppa, gli '86, tra cui Simonetta, Virga e De Martino, e un paio di '87 promossi sotto età, Rosi e Cerci.

C'erano pure un paio di acquisti, i nigeriani Ajide e Wahab e un difensore alto e tecnico arrivato nel 2002 dalla Samp, Giuseppe Scurto. Un'ottima squadra, che fece un'ottima stagione: semifinale al Viareggio, quarti in campionato, uscendo contro Juventus e Inter, grazie al gol decisivo, probabilmente col braccio, del nerazzurro Eliakwu, che aveva fatto la preparazione con la Roma, poi era stato restituito alla Reggiana in cambio della seconda metà del cartellino di Ajide (che a fine anno debutterà in A, insieme a Wahab, Galasso e Cerci, perché all'ultima della sua gestione Capello voleva farsi ricordare come uno che lanciava i giovani).

Il primo scudetto

L'anno dopo gli '84 andarono tutti via, tranne Scurto e Corvia che rimasero in prima squadra, e scesero come fuoriquota per le finali Primavera: con loro, il rientro di Leandro Greco dall'Astrea, l'affermazione di due signori difensori come Freddi e Grillo, le grandi parate di Pipolo (Curci era al Mondiale Under 20) e una scelta coraggiosa e vincente come la promozione del 15enne Stefano Okaka, il secondo anno di De Rossi in Primavera si concluse con lo scudetto, vinto al Via del Mare di Lecce contro l'Atalanta di Consigli e Piermario Morosini, dopo aver eliminato in semifinale una Juventus stellare, con Marchisio, Criscito, Giovinco e De Ceglie, al termine di una delle partite più intense e spettacolari dell'era De Rossi. Fuoriquota a parte, era una squadra molto giovane: l'anno dopo, con maggiore esperienza e un Simone Palermo in più, quella che era la rivelazione divenne la favorita d'obbligo. Buttò il bis scudetto ai quarti, incassando l'1-1 dalla Fiorentina a recupero praticamente scaduto, e poi il 2-1 ai supplementari.

L'anno dopo il ciclo era concluso, tra '88 e '89 c'erano meno talenti, e arrivò la prima delusione: la squadra di De Rossi non passò il girone, perdendo 3-0 la penultima a Cesena. Per i tre anni successivi la Roma finì la sua corsa agli ottavi di finale, due volte contro il Chievo e una con l'Udinese (trascinata dal gigantesco Ighalo), con tutto che nel frattempo dagli Allievi erano ricominciati ad arrivare fior di giocatori, nelle classe 1991 - D'Alessandro, Bertolacci, Florenzi, Crescenzi, Brosco, Malomo e Frasca, portiere basso ma fenomenale, che nel 2009 incassò il primo gol all'undicesima giornata - e 1992 - Pettinari, che nei Giovanissimi sembrava un piccolo Totti, Sini, Viviani, Scardina, Frascatore e Montini. Un bravo allenatore di Primavera deve saper valorizzare il lavoro del tecnico degli Allievi Nazionali, e De Rossi lo ha fatto: la strepitosa squadra dei 1993 (Pigliacelli, Sabelli, Ciciretti, Caprari, Piscitella e Politano), che vinse lo scudetto 2009-10 contro la Juventus, con Stramaccioni in panchina, si ripetè l'anno dopo in Primavera, con il contributo fondamentale della mediana Viviani-Florenzi, di Antei dietro (una creazione di De Rossi: fino a 17 anni giocava al Tor di Quinto, e faceva il mediano) e di Montini, che fece tre gol in finale, al Varese di Devis Mangia. Anche il terzo scudetto di De Rossi, nella stagione 2015-16, ai rigori contro la Juventus, arrivò con un gruppo di Allievi che aveva vinto l'anno prima (Marchizza, Tumminello e Frattesi, con le parate decisive di Crisanto, e Coppitelli in panchina), poteva succedere anche quest'anno.

Faticanti, Missori, Cherubini e Padula avevano trionfato con l'Under 17 di Piccareta (e i 2003 avevano perso in finale la prima edizione del campionato U18), il pari dell'interista Casadei nella finale di martedì ha rovinato tutto, negando alla Roma anche il ritorno in Youth League, la Champions dei giovani, che ha ormai regalato a un ruolo marginale l'unica rassegna internazionale che c'era quando De Rossi sbarcò in Primavera, il Torneo di Viareggio. Non lo ha mai vinto, ma quando contava davvero ha raggiunto tre semifinali (l'ultima nel 2015, contro l'Inter, all'ultima partecipazione), e due finali: molti rimpianti per la prima nel 2007, persa in rimonta contro un Genoa decisamente meno forte, nel 2012 capitò contro la Juventus, che aveva un'ala destra che vinse il "Golden Boy" come miglior giocatore, Leonardo Spinazzola. A lungo è stata una maledizione di De Rossi anche la Coppa Italia: per 5 anni non raggiunge la finale, nel 2009 la perde contro il Genoa a Marassi (El Shaarawy segnò all'andata, al ritorno era al Mondiale U17), due anni dopo contro la Fiorentina, all'Olimpico. Si giocava ancora su andata e ritorno, e nel 2012, grazie al gigante ivoriano Tallo (e a un rigore del solito Viviani) Alberto De Rossi andò a vincere allo Juventus Stadium, inaugurato l'estate prima e ancora inviolato: con lo 0-0 all'Olimpico fu rotta la maledizione della Coppa. Che arrivò di nuovo, dopo una doppia finale all'Olimpico, persa con la Lazio, contro la rivelazione Virtus Entella, che in quel 2016-17 schierava un trequartista mollato pochi mesi prima dalla Fiorentina, Nicolò Zaniolo. Ha avuto a che fare con tutti gli italiani della rosa della Roma Alberto De Rossi: quelli che non ha allenato li ha sfidati, come pure Carles Perez e Abraham, in Youth League, con Barcellona e Chelsea.

L'importante è partecipare

Segnò pure ai giallorossi il centravanti inglese, in una semifinale persa 4-0 eppure non del tutto negativa, se non altro perché nessuna squadra italiana l'aveva centrata prima di allora, e nessuna ha mai fatto meglio (quest'anno la Juve ci è andata vicina, perdendo ai rigori l'accesso alla finale, contro il Benfica). Del resto nel calcio giovanile le gare difficile non importa perderle, basta giocarle, per la maturazione dei ragazzi: sbaglia di grosso chi dice che nel calcio giovanile vincere non serve a niente, perché vincere serve a giocare altre partite importanti, che sono le più formative, essendo le uniche che si avvicinano, almeno un po', alla tensione nervosa che si prova nella più tranquilla delle gare in prima squadra. E il neo responsabile di sviluppo e formazione allenatori squadre nazionali della Roma, ha fatto in pieno il suo dovere: nei suoi 19 anni in Primavera oltre ai tre scudetti e alle due coppe Italia, ha giocato 5 supercoppe (due vinte e tre perse), altre 6 finali e ben 11 semifinali.

Tutti contenti

Il tutto scegliendo sempre una formazione base, a inizio anno, perché la Primavera è molto più vicina alla prima squadra che al settore giovanile, le gerarchie (che possono comunque essere sovvertite) si sono ormai formate nel corso degli anni, e non c'è più la necessità di fornire un minutaggio simile a tutta rosa. Da Okaka in poi, sorprese e cambi in corso d'opera erano sempre possibili, ma in linea di principio chi era scelto come titolare poteva giocare tranquillo, ed esprimersi liberamente, senza paura di sbagliare, o perdere facilmente il posto. Proprio per questo i tanti che De Rossi ha allenato e che sono poi arrivati in serie A ne parlano sempre in termini entusiastici: Florenzi due giorni fa lo ha definito «un padre per tutti i calciatori che ha avuto», e nessuno si è mai espresso in termini diversi. Buona parte di quelli che non hanno avuto fortuna, e che ora fanno tutt'altro, ricordano con piacere gli anni più pieni di speranze della loro vita, e sono ben contenti di raccontare di essere stati allenati da un allenatore che, senza mai fare una panchina coi grandi (gli è stato offerto più volte, e lui saggiamente ha sempre preferito continuare a fare quello che aveva sempre fatto, invece di provare un grande salto dopo il quale molti si ritrovano a fare i telecronisti) è entrato di diritto nella storia del calcio italiano.

(2/fine)

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