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Il tecnico

Under 17, Piccareta: «Il nostro è un gruppo che sa soffrire»

Il mister dei 2004 campioni d’Italia: «Ricordano i 2002, che due anni fa persero in finale Loro erano perfetti, questi sono più fisici, e più cattivi»

, di Mancini

, di Mancini

01 Luglio 2021 - 15:14

«Qualche finale l'ho giocata. Una volta, da secondo, ne feci una a Wembley, davanti a 50.000 persone. Ma un'emozione così non l'avevo mai provata». Fabrizio Piccareta, classe 1965, è uomo di mondo, e non si sofferma più di tanto su quell'esperienza da secondo, con Paolo Di Canio, conosciuto a Coverciano: da tempo ha fatto la sua strada da solo, ha vinto la Coppa di Finlandia con l'Inter Turku, e dal 2018 lavora per il settore giovanile della Roma, sempre con l'Under 17, la seconda squadra per importanza dopo la Primavera. Nel primo anno aveva perso la finale contro l'Inter del baby fenomeno Sebastiano Esposito (che tra quella gara e la semifinale contro De Rossi fece 5 gol in 2 partite) nel secondo i suoi 2003 erano in grande spolvero ma non poterono fare le finali causa Covid, due giorni fa, nuovamente a Ravenna, ha giocato la seconda finale e stavolta lo scudetto è arrivato. Contro il Genoa: lui, genovese, che una vita fa fu capitano della Sampdoria Primavera, allenata da Marcello Lippi, coi rossoblù ha forti legami. «A Luca Chiappino, l'allenatore della loro Primavera, che conosco da quarant'anni, ho detto che per la prima volta sono stato contento di un sconfitta del Genoa. I miei affetti più cari, da mia moglie a mio fratello, sono genoani, e io risento di questa loro passione. Ma finalmente ci portiamo a casa lo scudetto, che era sfuggito ai classe 2002. Che era un gruppo di grande valore, come dimostrano gli esordi in Serie A, da Zalewski a Bove».

Quel gruppo perse la finale con l'Inter, questo ha vinto la sua.
«Mi sarebbe dispiaciuto, per l'ennesima volta, arrivare fino in fondo e non concretizzare. È il premio per un anno di lavoro. E vorrei fare una dedica speciale».

Prego.
«Un giocato del nostro gruppo, Tiziano Fulvi. Non so dove potrà arrivare nel calcio, ma l'Italia ha bisogno di ragazzi come lui. È stato sfortunato nella vita privata e nel calcio, ma non ha mai saltato un solo allenamento, non ha mai fatto mancare un sorriso. Un ragazzo sempre disponibile, per tutti».

Il vostro è un gruppo omogeneo, non uno di quelli con un talento vero e vari comprimari...
«Questo è un gruppo che ha fornito molti giocatori alle categorie superiori: non abbiamo mai avuto un portiere come Mastrantonio, che ha giocato quasi tutta la stagione titolare in Primavera, e questo la dice lunga sul suo valore, e lo stesso ha fatto Pagano, in Under 18. Ma anche Faticanti e Missori sono saliti spesso in Primavera, in certe parti della stagione anche Vetkal. E la soddisfazione più grande è stata la crescita dei ragazzi che li hanno sostituiti: dai gemelli D'Alessio a Ciuferri, fino a Tomaselli. Che in finale non ha fatto una gran partita, subendo la fisicità degli avversari, ma ha talento. Il gruppo è cresciuto soprattutto coi ragazzi su cui non si faceva tanto affidamento».

Tomaselli è partito titolare in finale, dopo anni in cui raccoglieva solo spezzoni.
«Gliel'ho detto: non gli ho regalato nulla. A inizio anno ha sofferto tanto, sul piano fisico. Secondo me lui per fare un percorso deve vedersi in maniera diversa: ho abbassato di venti metri la sua posizione in campo. In finale non ha fatto una grande prestazione, ma ne ha fatte molte positive. Spero faccia una grande carriera, magari in un ruolo diverso da quello in cui è stato portato a Roma. Ma molti ragazzi sono cresciuti tanto nel nostro gruppo: penso a Ienco, che è del 2005, ed è partito titolare. È la dimostrazione che da sotto il lavoro è stato fatto bene: io prendo il buono del lavoro fatto prima. E chi allenerà questi ragazzi dopo di me, spero prenda il buono del mio lavoro. Il settore giovanile è un percorso, non bisogna guardare solo la cima».

Tomaselli e Ienco in finale sono usciti: triplo cambio dopo 45'.
«Eravamo in vantaggio, ma per me quella gara la stavamo perdendo: per me era avanti il Genoa. Ci chiudevano gli appoggi, e il gol che abbiamo fatto non ci ha aiutato. In finale le difficoltà psicologiche si moltiplicano. Era una partita che avremmo perso, se non avessimo cambiato».

Cosa hanno in comune questo gruppo dei 2004 e quello dei 2002, con cui aveva perso la finale nel 2018-19?
«Sono due gruppi che si assomigliano molto, hanno entrambi molti giocatori di qualità. Forse il gruppo dei 2002 alla stessa età aveva un po' meno fisicità dei 2004. Che sono più capaci di soffrire. I 2002 era un gruppo talmente bello, con talmente tanta qualità, che forse non riuscivano a interpellare le partite di sofferenza e sacrificio come fanno i 2004. Ma sono due gruppi che ho amato molto, come i 2003: mi dispiace che abbiano perso la finale scudetto U18. Stavamo facendo un gran lavoro lo scorso anno, è stato interrotto dal Covid».

Interrotto con 16 vittorie in 19 partite di campionato.
«Quei ragazzi avrebbero meritato lo scudetto per i sacrifici fatti negli anni. Non è mai stato il gruppo più celebrato del settore giovanile della Roma, ma è pieno di ragazzi di qualità. E di grande umanità, che è sempre una bella cosa».

In questo gruppo dei 2004 si è rivisto Catena, che dopo mesi in cui era finito indietro nelle gerarchie, è stato titolare in semifinale e finale.
«Non mi piace parlare di gerarchie, con me non esistono. Anche perché in tre anni di Roma non credo di aver mai schierato due volte di fila la stessa formazione. Nei ragazzi un periodo di appannamento non significa nulla: è difficile già per gli adulti avere continuità, figuriamoci a questa età, in un periodo di grande cambiamento, sia fisico che mentale. Catena non stava attraversando un grande momento qualche tempo fa, ma ha grandi doti di leadership e doti tecniche, che spesso non vengono notate subito, perché uno nota solo quelle fisiche, straordinarie. Ma in questo gruppo quasi tutti avranno un futuro: non so dire a che livello, è presto per dirlo, ma faranno i calciatori di professione».

Con Catena è stata varata anche una difesa a tre, con Missori interno di centrocampo, e Leonardo D'Alessio terzino.
«Visto l'exploit di D'Alessio, e le qualità straordinarie di Missori, perché lasciarne fuori uno? Dovevo trovare il modo di metterli insieme. D'Alessio sta esplodendo, Missori sta diventando un giocatore diverso. E per me diventerà un grande interno di centrocampo. Del resto anche da terzino gioca in modo molto moderno: viene dentro al campo, è intelligente, ha qualità tecnica. Era naturale provarlo come interno, per il nostro modo di giocare, in cui contano i ruoli ma soprattutto le funzioni».

Ma non è un po' troppo difensivo lo schieramento a tre?
«Non sono d'accordo. Alleno da un po' di anni, lasciatemelo dire. Se avessimo giocato in modo diverso la Spal, che ha giocatori molto forti tra le linee, in semifinale ci avrebbe fatto tre gol. La scelta è stata di non subire: si può dominare anche difensivamente, con palla a loro. Ho fatto una scelta a protezione della squadra: l'Atalanta con loro ha fatto una partita presuntuosa, ha preso 3 gol, e ne poteva prendere 6. E noi quella partita l'abbiamo vista. E i nostri ragazzi faranno i calciatori, troveranno allenatori che chiederanno cose diverse. E ci sarà chi chiederà di lasciare palla agli avversari e farli giocare: devono saper fare un po' di tutto».

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