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L’analisi di Milan-Roma

Storia di un pareggio preso per i corner

Due squadre che si equivalgono. Il gran lavoro fatto da Pioli e Fonseca. Guidano gruppi che nelle ultime 13 partite hanno sommato 31 punti

, di LaPresse

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28 Ottobre 2020 - 09:00

Agli amanti del caro vecchio calcio all'italiana le partite che finiscono 3-3 probabilmente non piacciono neanche tanto.

Ma a chi, come chi scrive, si delizia osservando le squadre battersi fino alla fine cercando di ottenere sempre un gol in più, questo campionato sta piacendo parecchio. A San Siro, lunedì sera, si sono affrontate due formazioni che nelle ultime 12 partite disputate nel campionato di serie A avevano sommato nove vittorie e tre pareggi, staccando decisamente tutte le rivali. Il 3-3 finale certifica che sono due tra le squadre più in forma dell'intero campionato, anche se il riconoscimento vale, per la maggior parte della critica, solo per il Milan, chissà perché un po' meno per la Roma il cui allenatore, in un modo o nell'altro, finisce sempre per essere messo in discussione. È chiaro che una partita che finisce con un risultato così lascia sempre qualche margine di recriminazione da una parte e dall'altra. Ma i numeri non mentono mai. E allora se le squadre tirano in porta pressoché lo stesso numero di volte, condividono il possesso palla e lo stesso numero di possessi, se condividono lo stesso numero di possessi portati nella metà campo avversaria, se condividono lo stesso numero di azioni offensive, se condividono lo stesso numero di posizionamento offensivo, se condividono lo stesso numero di calci d'angolo, di tackles, di palle intercettate, se, più o meno, esercitano lo stesso tipo di pressione (ma lo ha fatto meglio e con più costanza il Milan), vuol dire che quelle squadre sul campo si sono affrontate a viso aperto e alla fine e si sono equivalse. Poteva vincere una, poteva vincere l'altra, ma è giusto che il risultato sia terminato in parità. È vero che c'è un numero più alto di goal attesi a favore del Milan, ma la circostanza è maturata soprattutto nei quattro minuti finali della partita quando prima Kessie e poi Romagnoli hanno avuto sulla testa la palla del possibile 4-3. Ma la tabella dell'evoluzione degli expected goal nei 90 minuti testimonia ancora una volta come le due squadre abbiano giocato più o meno sugli stessi livelli. Non a caso a cinque minuti dalla fine il numero dei goal attesi era superiore per la Roma.

L'incidenza dei calci piazzati

In qualche modo si può sostenere che il pareggio sia stato... preso per i corner. La Roma ha sofferto parecchio su ogni calcio d'angolo tirato dentro l'area, eppure non ha subito reti in queste circostanze e, al contrario, ne ha realizzati due (e il terzo su calcio di rigore). Due delle tre reti del Milan, invece, sono state realizzate proprio in seguito a sviluppo di manovre offensive ben congegnate soprattutto da Leao. Sulla questione dei calci d'angolo, poi, si può sviluppare un bel dibattito tattico, partendo dalla certezza che nessuna formula è vincente a prescindere su un'altra. Semplicemente perché non esiste una formula magica, in grado di neutralizzare le offensive avversarie. Nel post partita di Roma TV Ruggiero Rizzitelli ha più volte sottolineato come, ad esempio, la marcatura a zona presenti tanti aspetti negativi tali da poterla considerare assolutamente sconsigliabile. Il paradosso è che lo ha sostenuto nella serata in cui il Milan, marcando a uomo, ha subito due gol proprio in questa maniera. A uomo o a zona, c'è quasi sempre un errore di tattica individuale o di gruppo che permette agli attaccanti di segnare e questo prescinde dal tipo di schieramento. Anzi, la marcatura a uomo molto spesso espone le squadre che difendono a subire dei blocchi, leciti, che di fatto liberano alla conclusione uomini pericolosissimi in zone nevralgiche dell'area. Cosa che con la marcatura a zona, se ben rispettata, non può mai accadere. Il fatto in ogni caso è che molte partite ormai sono decise dalle cosiddette palle inattive. E Milan-Roma non è sfuggita a questa regola.

Il fattore atletico

Una cosa è certa: questa Roma adesso sta bene anche fisicamente. In passato è capitato che le valutazioni critiche sulle performance della squadra di Fonseca si concentrassero soprattutto sul ritmo troppo compassato nelle due fasi di gioco. In questo senso c'è stato un indubbio miglioramento. La Roma a Milano ha saputo lottare per tutta la partita senza mai perdere la lucidità nelle giocate offensive. È vero che in queste circostanze aiuta a mantenere alto il ritmo anche la squadra che hai di fronte. Un conto è giocare contro la capolista del campionato italiano, altro è giocare contro i campioni di Svizzera. Ma la Roma ha retto il confronto in entrambe le gare alternando ogni volta nove giocatori. E questo aumenta il merito di Fonseca riguardo la scelta di far ruotare così tanto i giocatori della sua rosa. 

Il merito dei difensori

Quanto alle singole performance una nota di merito a parte se la sono guadagnata i difensori, capaci di vincere, in tre, 9 duelli su 13. E manca ancora il migliore di tutti, l'inglese Smalling, finalmente rientrato nelle disponibilità dell'allenatore. Sarà lui di sicuro il punto fermo della difesa che ha comunque ormai acquisito altri tre potenziali titolari. Il calendario frenetico di queste settimane prevede ora un altro incontro ravvicinato. È probabile dunque che contro i non irresistibili bulgari del Cska Sofia Fonseca proceda ad una nuova ampia rotazione, non dimenticando però che l'occasione di chiudere virtualmente con largo anticipo il discorso qualificazione è troppo ghiotta per lasciarla scappare abbassando il livello della tensione agonistica. Ma siamo sicuri, ormai, che non accadrà.

Lo schieramento della Roma

Dal punto di vista tattico, ha destato sorpresa la mossa di Fonseca di accentrare Mancini in mezzo agli altri due difensori. Il portoghese l'ha spiegato a fine partita: «Ibra tende sempre a venire incontro, mentre i due esterni offensivi amano attaccare la profondità. Così ho tenuto Mancini più centrale e ho scelto Ibanez e Kumbulla per seguire le incursioni degli esterni». Ovviamente, com'è accaduto anche nell'azione del gol, in prima battuta e a difesa schierata dovevano essere i quarti di centrocampo ad affrontare gli esterni offensivi, sapendo che comunque all'occorrenza la difesa poteva compattarsi a quattro col contributo dell'esterno opposto. È capitato spesso in fase di non possesso infatti che la Roma si schierasse con due linee da quattro (riempita a metà campo dall'abbassamento di uno dei due trequartisti sull'esterno, con l'altro trequartista a restare al fianco di Dzeko per la pressione sui due centrali in prima impostazione), quasi a specchio con gli avversari.

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