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Negli ultimi anni

Nove anni di Roma americana. Le estati romaniste onda su onda

Nell'era americana da Osvaldo contestato alle polemiche dei tecnici fino ai divorzi di Totti e De Rossi

James Pallotta, di Mancini

James Pallotta, di Mancini

15 Agosto 2020 - 13:30

Tranquillità, questa sconosciuta. Quello che buona parte del resto del mondo identifica con la stagione che richiama vacanze, pace, serenità, per la Roma è spesso stata sinonimo di inquietudine. Specialmente nei nove anni a conduzione americana. Quella che stiamo vivendo è ancora accompagnata dalla curiosità di vedere all'opera i nuovi proprietari. Ma un passaggio di consegne crea friccicore più che distensione. Lo stesso cambio al vertice precedente, quello che porta il gruppo di Pallotta al vertice del club, vive nel 2011 momenti di trambusto assoluto.

Il ds Sabatini si presenta (senza potere di firma) prima che sia ufficialmente insediata la nuova società, già pregiudizialmente bollata con epiteti non propriamente lusinghieri. Il passaggio agli americani avviene in concomitanza con la sconfitta a Bratislava nel preliminare di Europa League e al ritorno in casa il neo-allenatore Luis Enrique è subissato di fischi al momento di sostituire Totti. L'eliminazione dà il colpo di grazia alle novità in campo e dietro la scrivania, creando un clima tutt'altro che favorevole per l'inizio della nuova era. Ma è nulla rispetto all'estate 2013. La Roma ha chiuso malissimo la stagione, cedendo la Coppa Italia in finale nel derby. Il ritiro di Riscone è turbolento, uno dei più bersagliati diventa Osvaldo. Le difese dell'argentino vengono prese dal neo-tecnico Rudi Garcia, che dà dei «laziali» ai contestatori, gettando ulteriore benzina sul fuoco, che si placherà solo con l'inizio da record della squadra in campionato.

Il regno del francese però non dura quanto era lecito attendersi dopo il debutto coi fiocchi. Centrato ancora il secondo posto ma con affanno, in estate scoppia un altro caso, riguardante i preparatori scelti direttamente dagli Usa, Norman e Lippie, che sostituiscono il fido Rongoni. Garcia si sente esautorato e polemizza a mezzo stampa coi dirigenti anche per un mercato a suo dire sulle soglie dell'immobilismo. Eppure sarà allora che arriveranno Dzeko, Salah, Szczesny e i grandi acquisti. Altro giro, altra corsa, l'anno dopo tocca a Spalletti, che nel frattempo è subentrato in panchina.

Quando Totti rinnova il suo ultimo contratto da giocatore, qualcuno stuzzica il toscano, che risponde per le rime innescando l'ennesima polemica a distanza (ravvicinata): «Se Francesco smette, io non sarò più l'allenatore». Come in effetti accadrà. Col Dieci dietro la scrivania arriva Di Francesco, ma accompagnato da scetticismo diffuso. E anche dopo la cavalcata Champions, la cessione di Strootman a campionato appena iniziato fa scricchiolare l'impalcatura. La stagione è disastrosa, e come se non bastasse prima della fine si consuma il divorzio con De Rossi. Il 17 giugno è Totti a strappare con la casa madre. Un clima da tregenda avvolge l'approdo di Fonseca dopo i rifiuti di Conte e Gasperini. Ma è storia recente. Quella contemporanea parla ancora americano.

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