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2019-20

Il rendimento della rosa: Veretout maratoneta, Zaniolo oggi e domani

Jordan si ritaglia il ruolo di rigorista e si assicura un buon bottino. Nicolò attira in un anno tutta la gamma delle emozioni

Jordan Veretout, di LaPresse

Jordan Veretout, di LaPresse

13 Agosto 2020 - 14:00

Se la difesa ha subito più reti di quanto fosse lecito attendersi e l'attacco ha avuto una vena meno prolifica del previsto almeno fino all'appendice estiva del campionato, il centrocampo non può essere esente da responsabilità. In fase di filtro come di impostazione. Gli stessi numeri dei vari interpreti che si sono succeduti in mediana non hanno costituito supporti di eccellenza assoluta, soprattutto se rapportati al talento a disposizione. Eppure fa parte di questo reparto il giocatore col rendimento migliore della rosa nella stagione appena conclusa (Veretout). E ancora centrocampisti - sia pure con spiccate propensioni d'attacco - sono i talenti più brillanti di cui dispone la Roma (Zaniolo e Pellegrini). Quelli intorno ai quali sta cercando di costruire le basi del prossimo futuro


JORDAN VERETOUT
Sarebbe bastato il rapporto qualità-prezzo a renderlo un ottimo affare. Mezzala dai piedi buoni e dalla grande corsa in maglia viola, arrivato nella Capitale si è dovuto "accontentare" di ricoprire il ruolo di scudiero dei tanti trequartisti a disposizione di Fonseca. Due giornate a osservare dall'esterno quali fossero i dettami del tecnico, e il resto della stagione a realizzarli sul campo, con impegno sempre encomiabile e impeto a volte dirompente. Corre per tre Jordan, un motore al posto dei polmoni e un dinamismo mai fine a se stesso: non è un classico faticatore della mediana dai piedi "fucilati"; è invece un generoso maratoneta che all'occorrenza sa come dispensare colpi artistici. Rinuncia alle punizioni in ossequio all'esperienza e allo score di Kolarov, ma "si vendica" prendendosi la designazione di tiratore scelto dagli undici metri. E conclude con sei gol all'attivo, che considerando il ruolo costituiscono un bottino di tutto rispetto.


AMADOU DIAWARA
Arrivato dopo una buona esperienza agli ordini di Sarri e tanta panchina con Ancelotti, l'ex enfant prodige del Bologna viene investito da Fonseca del delicato ruolo di fulcro del gioco. Sta a lui prendere palla da dietro e dettare le geometrie più opportune. Per un po' ci riesce anche bene, mostrando personalità e tempi giusti nella distribuzione della manovra - in orizzontale come in verticale, assecondando quanto le rispettive fasi di gara richiedono - ma già a ottobre il menisco ballerino lo tradisce. È nella partita casalinga col Cagliari che deve arrendersi, inaugurando la lunga sequela di infortuni autunnali che decimano le scelte del portoghese. L'assenza non è lunghissima e quando riprende a giocare, lo fa da dove aveva lasciato: ordinato, "pulito", dà la sensazione di essere un elemento fondamentale nella squadra che vola prima di Natale. Quando a gennaio l'infortunio si ripropone, e dopo il suo menisco scricchiola anche la Roma, quella sensazione si avvicina molto a una certezza.


BRYAN CRISTANTE
L'ultimo superstite fra i mediani della gestione precedente ha ricevuto al termine della stagione bicefala (Di Francesco-Ranieri) la più lusinghiera delle investiture: nientepopodimeno che da Daniele De Rossi, che al momento dell'addio fra tanti cita proprio il soldato Bryan come esempio di serietà professionale e dedizione alla causa romanista. E in effetti sulla sua buona condotta ci sarebbe ben poco da eccepire. In campo anche nei primi spartiti fonsechiani le cose sembrano seguire lo stesso canovaccio: il numero 4 non è Yaya Touré, ma nemmeno l'ultimo arrivato. Almeno fino alla sfida con la Sampdoria: a Genova il tendine dell'adduttore lo manda ko, il recupero è lento, si opta per la terapia senza ricorrere alla chirurgia cercando di abbreviare i tempi. Tutto giusto, tutto vero. Ma quando torna disponibile, non si tratta di un Cristante risorto. Anzi. Il giocatore mostra preoccupanti segni di involuzione, appare farraginoso e rapidamente viene relegato al rango di alternativa. Senza rimorsi.


GONZALO VILLAR
Il volto da scolaretto in gita lo tradisce, la provenienza dalla seconda divisione spagnola non è il miglior viatico per affrancare i pregiudizi: sembra nella Capitale per caso, novello José Angel a un primo distratto e superficiale sguardo. Invece Gonzalo è tutt'altra pasta: piede raffinato, visione di gioco da regista consumato, carattere da vendere. Viene utilizzato col contagocce, ma al di là di un paio di macroscopici errori sotto porta (ininfluenti sul risultato) col Parma, lustra gli occhi. E promette molto più che bene soprattutto perché la sua appare una "testa da giocatore".


LORENZO PELLEGRINI
Croce e delizia dei romanisti, nel solco di gran parte dei talenti cresciuti in casa. Senza più De Rossi, con lo stesso Totti ormai svincolato dalla casa madre, a inizio stagione tocca a lui e Florenzi rinfocolare le anime. Ma se l'esterno da qualche tempo divide più che unire, Lorenzo è ancora nella fase delle coccole da parte del mondo a tinte gialle e rosse. In lui si intravede un giocatore di sicure prospettive e un carattere che apre scenari trascendenti la mera speranza: il ragazzo è destinato a ricoprire un ruolo da protagonista sul proscenio. L'avvio delle danze sembra incanalarsi proprio su questo sentiero fiorito. Il numero 7 sforna assist a ripetizione (col Sassuolo addirittura tre), svelando una capacità che da queste parti evoca ricordi soavi e relativamente freschi: sa mandare i compagni in porta con un tocco e senza necessità di guardarli. Tutto sembra procedere nella direzione sperata, quando a Lecce si frattura il metatarso. Va fuori sul più bello, per circa due mesi. Ma rientra mantenendo inalterati numeri e capacità, fino al picco fiorentino sotto Natale. Il ritorno dopo le festività però è nefasto per la Roma come per lui, che si fa risucchiare da un vortice di prestazioni sconcertanti, culminate con l'espulsione nella tana del Sassuolo. Dopo un girone tutto è capovolto e il finale di campionato è contrassegnato più da bassi che da alti.


NICOLÒ ZANIOLO
L'intera gamma delle emozioni lo punta, lo sceglie, lo coinvolge e in qualche modo lo travolge, in quella che avrebbe dovuto rappresentare la stagione della consacrazione. Sulle prime Fonseca lo vede trequartista centrale, ma in quella zona il ragazzo non decolla. Nicolò ha il sinistro sopraffino dei grandissimi, ma è pure un caterpillar che per dare il meglio di sé deve avere campo, da cui puntare alla conquista dello spazio (forse anche extraterrestre). Così sia. L'ibrido progettato su misura parte da destra per poi sopraffare tutto e tutti su ogni versante a suon di galoppate, sia pure di gran classe. Il purosangue inizia a sconquassare ogni avversario, ma quando sta per tagliare in due anche la Juve il crociato fa crack: annata romanista in malora e addio anche all'Europeo. Il lockdown prima lo tempra, poi gli restituisce speranza. Tornerà, proprio agli sgoccioli. Il tempo di mostrare che la forza è rimasta intatta. Gol capolavoro, qualche polemica evitabile e il solito stantio chiacchiericcio di mercato. Ma Zaniolo è romanista. Oggi e domani. Gli altri se ne facciano una ragione.


JAVIER PASTORE
Fonseca sembra avere poteri taumaturgici quando a inizio anno ripresenta un Flaco tirato a lucido come ai tempi belli, da stropicciarsi gli occhi. L'idillio dura poco: l'edema osseo lo manda ko, riservandogli 71' nei restanti 9 mesi.

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