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De Rossi tra sogni, futuro e la panchina della Roma: "Verrà il giorno"

L'ex centrocampista si racconta: "Devo crescere e fare tante esperienze per diventare allenatore. Rimpiango solo di non aver vinto nulla di importante con questa maglia"

Un'esultanza storica di De Rossi, sotto la Sud dopo la vittoria in un derby

Un'esultanza storica di De Rossi, sotto la Sud dopo la vittoria in un derby

La Redazione
12 Aprile 2020 - 08:18

Un'ora di chiacchierata nel salotto di Sky Sport, come del resto sta capitando un po' a tutti i protagonisti della splendida cavalcata mondiale del 2006. Daniele De Rossi ha risposto a tutte le domande dei suoi interlocutori - semplici tifosi, giornalisti e opinionisti - raccontando diversi aspetti della sua vita passata, presente e futura quasi sempre e quasi tutti declinati in salsa giallorossa. Ecco il dettaglio della lunga chiacchierata, cominciando dalla domanda di Lele Adani.

Daniele, in chiusura dell'intervista che realizzammo tre anni fa in quella due giorni, di fronte al mare di Ostia, ti strappai la promessa che un giorno avresti avuto l'ambizione di allenare la Roma. Ora sei all'inizio di un nuovo percorso, hai già un tuo progetto per arrivare lì?
«Il mio percorso da calciatore è stato non unico, ma raro, non capita tutti i giorni di giocare 20 anni in una squadra, non posso pretendere o sognare di fare la stessa cosa da allenatore se lo diventerò, non esistono allenatori che durano tanto, soprattutto a Roma. Ma mi piacerebbe un giorno, ma prima dovrò diventarlo, c'è un percorso tecnico fatto di corsi e patentini da prendere, e c'è un percorso di crescita, e io ne ho bisogno come tutti. In pochi giorni sono passato da essere un calciatore vecchio a un allenatore giovane, così ora vedo le cose con una rilassatezza che da calciatore non ti puoi permettere per l'orologio che - tic tac - scandisce gli ultimi giorni. Adesso che ancora devo cominciare prendo tutto con calma, mi piacerebbe un giorno, ma non ho fretta di farlo domani, ma magari tra cinque anni, dieci o venti. Spero e presumo che un giorno succederà, dovrà succedere perché sarò diventato bravo e non perché sono stato un giocatore importantissimo di questa squadra».

In campo ti sei sempre preso delle responsabilità, pensiamo ai rigori col Barcellona e al Mondiale, ma sembravi anche un allenatore per come parlavi dopo le partite, abituato sempre a mettere la faccia soprattutto dopo le sconfitte. In qualche modo eri già pronto ad essere responsabile di un gruppo.
«Io inizierò questo percorso perché penso di poterlo fare, forse in Italia lo pensano un po' tutti... Mi è sempre stato riconosciuto questo ruolo di leader, se vogliamo chiamarlo così, magari sarò avvantaggiato da questo punto di vista, ma poi devi saper prendere certe decisioni, dovrò scegliere uno staff, devi mettere una squadra in campo, devi subire pressioni che per carità, mi sono sempre caricato, ma ora sarebbe da solo contro tutti, prima ero solo un po' un collante con i compagni. Ma un allenatore se perde è colpa sua, se vince è merito dei giocatori, io questa cosa l'ho sempre annusata per gli allenatori che ho avuto».

Che sensazioni ricordi del giorno dell'addio?
«L'ho vissuta, e credo si sia visto, con grande serenità. Non ho finto neanche per un secondo, mi sono emozionato in certi momenti, durante la partita ci sono stati dei momenti di vuoto, forse la partita non mi ha dato quelle pressioni di quando conta tanto, nei momenti di pausa, tipo infortuni o cambi, mi guardavo intorno e vedevo casa mia e pensavo che da quella prospettiva non l'avrei mai più rivista e il magone un po' veniva. Tante volte mi ero detto di arrivarci pronto, ma faceva male comunque, il senso di malinconia si sentiva per tutti, avevo anche la famiglia vicino e non volevo far vedere che era una tragedia, ma ho anche sorriso nei confronti dei tifosi perché ero felice di quello che mi avevano fatto diventare».

Il tuo ultimo discorso è stato reso pubblico da El Shaarawy. Lo avevi preparato o ti è venuto spontaneo?
«Io i discorsi non li preparo, ci penso quei 30 secondi prima di farlo, penso "oddio, ora che dico?". Nei giorni precedenti quei bastardi dei miei compagni in allenamento anche se facevo un passaggio di cinque metri mi dicevano che ero un grande, così nel discorso ho detto loro che non era il derby del cuore, non volevo sempre la palla, volevo giocare una partita di calcio vera, fare le mie sette-otto scivolate. Alla fine è stata una tristezza unica per lo 0-0 ma era in linea con quello che volevo (qui De Rossi ha confuso persino il risultato finale, che in realtà fu di 2-1, ndr)».

(da un tifoso) Riti scaramantici ne hai? Il mio è che durante il riscaldamento simulo il tuo modo di correre.
«Ne ho avuto tanti negli anni, diciamo che non servono a niente, ne ho pure cambiati tanti. Non funzionano, quando funzionano è perché funziona la squadra. L'unico che non ho mai cambiato, ma è più un'abitudine, sono quei tre saltelli che facevo quando eravamo tutti allineati, tre saltelli e piegamento prima di salutare la squadra, ma lascia stare, non correre come me perché non serve per vincere».

Non hai scelto tu di abbandonare la Roma, ma hai scelto tu di abbandonare il calcio. Hai più sentito qualche dirigente della Roma? E che rapporto hai avuto con Roman Riquelme al Boca?
«Sì, non ho scelto io di lasciare la Roma e sì, ho scelto io di lasciare il calcio. Sono stati due momenti difficili, decisioni che non volevo prendere. Una volta perché ha deciso qualcun altro per me e l'altra perché era la cosa giusta per la mia famiglia, senza farne drammi, ma la mia famiglia ne ha tratto un grande beneficio. Dirigenti della Roma non li ho sentiti, una volta ho incontrato Morgan De Sanctis al Tre Fontane dove ero andato a salutare mio padre, l'altro giorno un altro dirigente mi ha scritto per sapere come stavamo io e la mia famiglia, ma se intendi da un punto di vista di un futuro professionale no, non mi ha chiamato nessuno e ovviamente io non chiamerò nessuno. Quanto a Roman, ho avuto con lui un rapporto molto diretto: gli ho spiegato nel dettaglio quali fossero le mie situazioni familiari, non lo faccio ora pubblicamente, lui voleva che restassi, mi voleva mettere a punto fisicamente, e mi ha fatto piacere perché a parlarmi era un giocatore che era stato un esempio per come si interpreta il ruolo di centrocampista avanzato, mi ha fatto grande effetto. Per 5-6 giorni mi sono allenato con loro che mi dicevano di rimanere, così ho detto a un certo punto all'improvviso: "Me ne vado domani sennò so che finisco per restare e faccio un danno alla mia famiglia". Sinceramente stavo da dio, adesso ho nostalgia forte per quel paese, per la gente, la sento come un'altra famiglia».

(da Marchisio) Daniele ti mando un abbraccio e ti rinnovo i complimenti per quello che hai fatto. Per le emozioni bellissime vissute con quella maglia. Sei e sarai sempre una delle poche bandiere che il calcio italiano ha visto e apprezzato. In bocca al lupo e un abbraccio alla famiglia.
«Mi fa piacere vedere questo video, con Claudio ci sentiamo, al di là del lato calcistico, ha una sensibilità e un'intelligenza differente dagli altri, si prende anche responsabilità sul sociale su temi che di solito noi calciatori non tocchiamo, lui ha il carattere e la pulizia intellettuale per farlo. Ricordo una volta lui e Giovinco a Empoli ci misero in grandi difficoltà, a vederli in campo dissi che sarebbero arrivati in nazionale. Lui ha vinto tantissimo, a un certo punto da mediano davanti alla difesa ha fatto benissimo, per me era il suo ruolo e non lo sapeva forse neanche lui, poi 2-3 infortuni lo hanno rallentato, ma resta un giocatore incredibile, in Italia dobbiamo lavorare su questi ruoli, giocatori come lui fatichiamo a trovarli, ma per fortuna da un po' sembra che ne stiano tornando di interessanti».

(da un tweet) Quanto è stata importante tua moglie Sarah nel tuo percorso professionale?
«Sarah ha solo un difetto: è molto più social di me, ogni tanto mi giro e sto in primo piano in qualche foto. Dal punto di vista umano è stata fondamentale, non voglio dire banalità, non esiste un calciatore che dica che la moglie è una zavorra, ma mi ha migliorato molto, non solo il mio umore ma il mio stile di vita, anche la serenità mia e della famiglia, creando un'altra famiglia allargata. Quando ho dovuto scegliere dopo la Roma mi ha detto che mi avrebbe seguito ovunque, ogni tanto c'era una prospettiva che le piaceva di più, qualcuno la spaventava, poi è stata pronta ad accettare l'Argentina e lei si è innamorata del paese prima di me, e non mi ha messo il muso quando ce ne siamo andati perché era dispiaciutissima perché aveva creato un'altra famiglia lì a Baires. L'altra sera guardavamo "La Casa di carta", in spagnolo, e a un certo punto uno ha detto due parole in argentino, ci siamo guardati per dire quanto ci manca, ma anche lì ha accettato la mia scelta e siamo tornati in Italia».

Perché ti piaceva il Boca?
(Daniele scherza un po' sul tema con Adani, tifoso del River) «Il Boca mi piaceva da ragazzino quando guardavo i filmati delle tifoserie, Maradona era il mio idolo da bambino anche se non giocava nella Roma, mi sono appassionato a quella tifoseria, che tutti quanti credono di conoscere, ma nessuno la conosce davvero. Io non so chi è il mas grande in Argentina, ma so chi dà mas amore».

(da Federico Buffa) Che cosa hai trovato di diverso a Buenos Aires che condividerai con gli allievi che allenerai?
«In generale l'esperienza meravigliosa, ma non solo dal punto di vista umano. Ho imparato tantissimo da loro, mi sono reso conto di quanto talento senza organizzazione vada sprecato, bisognerebbe mettere tutte le armi ma organizzarli perché suonino insieme, sennò diventa confusione. Riuscire a far coesistere queste meraviglie, questi mancini che cantano, questi giocatori ruvidi ma continui e tecnici, riuscire a farli coesistere sarebbe il primo passo di qualsiasi squadra. Gallardo c'è riuscito, ha giocatori fortissimi, quando ne perde uno ne riaggiunge un altro e riesce a ricreare. L'ultima giornata è stata destabilizzante per lui, ma se ci riuscisse l'Argentina cambierebbe le sorti del calcio mondiale. Perché di talento ne hanno quanto il Brasile».

(da un tifoso): quanto è stato importante Lippi ai Mondiali per te, anche per quel rigore tirato in finale?
«Lo hanno detto tutti, Lippi è stato fondamentale per quella squadra che aveva grandissimo talento, ma non era la più forte, perché Francia, Spagna e Brasile erano più forti, ma lo abbiamo vinto perché siamo stati grandi lottatori e perché lui dal primo giorno ha creato una squadra di club, forse non ci credeva neanche lui all'inizio, e neanche noi, ma l'ha creata e non è mai facile in nazionale. Nell'arco di due anni ha creato un gruppo di amici poi ha curato l'ambito tecnico e tattico perché è un maestro. Quindi grande importanza sua nel trionfo e per me, se non ci fossero stati quei 60 minuti più il rigore in finale sarebbe rimasto un sapore agrodolce, perché avevo rovinato tutto con la gomitata, eppure avevo sentito la sua fiducia anche quando era incazzatissimo per la gomitata, e anche dopo. Sapevo che se ci fosse stata l'opportunità mi avrebbe ributtato dentro. Peruzzi alla vigilia della finale mi disse: "Guarda che questo è matto, ti vuole far giocare dall'inizio, in ogni caso preparati, comunque ci sta pensando, magari non giochi subito ma ti butta dentro sicuro". Quindi sono partito come panchinaro sapendo che sarebbe anche toccata a me. E così è stato, e resta il ricordo più memorabile della mia carriera calcistica».

Ci sono tante proposte tecniche interessanti, il calcio va veloce: Heintze nel Velez ha fatto benissimo, che ne pensi? E poi quali saranno i primi allenatori che andrai a studiare?
«Gabi Heintze mi avevano detto che era un allenatore interessantissimo, arrivando in Argentina ho visto tante partite e lo vedevo ogni domenica, si è rivelato veramente bravo e interessante, anche il Velez aveva buoni giocatori. Non so che farà in futuro, un ds mi ha detto che è seguito anche in Europa. Ce ne sono anche altri bravi, lo stesso Crespo contro il Banfield con una mediopiccola ci ha messo in grossa difficoltà. Quanto agli allenatori, io penso che avrò bisogno di sentire tutti. In una favola letta a mia figlia in queste sera c'era un proverbio africano che dice che un bambino in piedi riesce a vedere dove non riesce a farlo un vecchio seduto. E ora se puoi partire dal migliore lo farò, il migliore di tutti è Guardiola, se riesco partirò da lui. Ce ne sono tanti in Italia, c'è Rino Gattuso bravo, c'è De Zerbi che mi fa impazzire, ce ne sono tanti forti e imparerò molto. Saranno viaggi professionali e di divertimento. Andrò a vedere anche altri sport. Voglio provocare a contattare Pozzecco, mi incuriosisce da quando giocava, le dinamiche sono simili. Avrò un bel giro e se non imparo niente perché sono un asino mi sarò divertito».

(da un tifoso) Ci racconti il trucco e parrucco fatto per vedere il derby in anonimato?
«È nato tutto come una battuta con amici. Avevo voglia di andare in curva senza essere preso in braccio come nel film di Lino Banfi con Oronzo Canà. Volevo andare a Firenze, ma la Roma veniva da una serie di vittorie consecutive, per scaramanzia ho evitato. Così ho deciso di provarci nel derby e truccarmi era l'unico stratagemma per passare inosservato, anzi ne approfitto per ringraziare il tifoso che era dietro di me che mi ha riconosciuto subito, ma non ha detto niente e mi ha consentito di godermi il derby in santa pace».

Hai definito l'ultimo giorno a Trigoria come uno dei più difficili della tua vita.
«Ne approfitto per chiarire una cosa visto che certe frasi in Argentina non sono state capite. Ho detto che è stato il giorno più difficile, ma questo non significa che poi sono andato in Argentina in vacanza. Per me è stato difficile lasciare la Roma e i compagni, ma la simbologia di chiudere la porta della stanza dove sono entrato a 18 anni, la prima volta ricordo che c'era Bombardini, è stato difficile perché sapevo che non ci sarei mai più rientrato, almeno non lì. Quella è stata la camera dove ho dormito più volte in vita mia, più che a casa visto che ne ho cambiate diverse, è stata una bella botta, mi hanno tremato pure un po' le mani».

(da Marchegiani) Che difficoltà principale ti aspetti per cominciare in questo nuovo ruolo? E come giudichi il nostro calcio con le nuove proposte?
«Difficoltà ne incontrerò di sicuro, mi aiuterà pensare che avrò difficoltà. Non so se saprò fare tutto quello che servirà. Dovrò organizzare un precampionato, lo staff, inevitabilmente inizierò da un livello più basso, ci saranno le difficoltà che incontrano tutti e spero di superarle presto. Prima ho citato allenatori più offensivi, ma anche gli altri potranno insegnarmi qualcosa. Il livello del calcio italiano sta crescendo, anche le squadre minori che prima stavano chiuse dentro l'area a menare hanno cominciato a proporre calcio differente. Guardiola ha cambiato la percezione per tutti, il pericolo è abusare di certe capacità, quando la squadra magari non è al livello di proporre quel tipo di calcio. Lo stesso Fonseca mi sembra uno dei più bravi, mi complimentai con lui dopo Roma-Shakhtar».

Degli allenatori avuti alla Roma da chi ruberesti qualcosa?
«Non voglio dare risposte paracule, ma veramente spero di farlo da tutti, anche quelli che magari hanno fatto errori per evitare di ripeterli. Se penso a un allenatore che mi ha segnato è Spalletti, è uno dei più bravi, come Luis Enrique. E poi come gestione del gruppo io sono un amicone, ma anche un atteggiamento alla Capello con i giovani non guasta mai».

(da un tifoso) Hai avuto due soprannomi, quale ha pesato di più tra Nino e Capitan Futuro?
«Questo tifoso è di Ostia perché il primo non lo conoscono in molti. Da piccolo avevo questa specie di scodella di capelli biondi in testa, così mi chiamavano Nino come Nino D'Angelo, poi sono diventato Capitan Futuro che non mi è pesato, ci ho fatto l'abitudine».

Il progetto di fare il corso da allenatore a che punto è? Racconti il contrasto ricevuto al tuo primo allenamento al Boca?
«Tutti i progetti sono in standby purtroppo, ora mi sento circondato da un alone di tristezza e difficoltà del paese, pensare adesso a quando parte il corso mi sembrerebbe ridicolo. Per l'aneddoto, è vero, era al primo o al secondo allenamento, a Roma ero abituato che i giovani magari non affondano i contrasti in allenamento, quel giorno invece un giovane torello della squadra giovanile, Marcelo Weigandt, farà 170 centimetri per 100 chili..., è entrato e mi ha ribaltato. Poi si è fermato, mi ha guardato spaventato, ma lo ho rassicurato, gli ho detto di stare tranquillo, che era giusto così. Ricordo che pioveva e c'era fango, così ho cominciato anche io a entrare duro. Per me era un paradiso...».

(da Bonucci) Spero tu stia bene, mi fa piacere salutarti, sono tanti ricordi in nazionale. E se ti va racconta di quella volta quell'episodio nello spogliatoio ad euro 2016...
«Premetto che quando parliamo di Leo molti immaginano che sia odioso e invece è un ragazzo incredibile, un grande professionista, un padre e un amico incredibile. In campo talvolta è antipatico perché è il frutto della maglia che indossa, ma forse è il motivo per cui vincono sempre. Quel giorno nello spogliatoio giocò pesante tirandomi uno scarpino che ha sbattuto da una parte e mi prese sul sopracciglio, e così diventai meno scherzoso e mi dovettero trattenere in parecchi. Però un minuto dopo era già tutto dimenticato. A tavola lui era una delle vittime preferite dei miei scherzi. Insieme abbiamo vissuto grandi momenti».

(da Marchegiani) Hai un rammarico o un rimpianto per la tua carriera?
«Senza entrare troppo nel dettaglio, mi dispiace non aver vinto qualcosa di importante o strappalacrime, penso ai miei predecessori, ieri vedevo uno speciale su Di Bartolomei, o anche lo scudetto alzato da Francesco, ecco questo mi manca tanto. A volte sono stato tacciato di non essere un ambizioso perché sono rimasto a Roma, ma io volevo vincere dove non si vince mai, con una squadra magari meno forte di chi vince sempre, così mi sento in pace con la coscienza. Sono felice della mia carriera, ma la mia bacheca è abbastanza vuota».

(da Di Canio) Grande stima per la persona, complimenti. Del giocatore neanche parlo. Mi chiedevo se a parte della passione di cui hai già parlato per il Boca, ti avesse mai attirato l'idea di giocare in Premier. Dove ti saresti visto: in mezzo con Roy Keane nel 424 o con Paul Scholes? Oppure nel Liverpool con Gerrard? O nel Chelsea di Mourinho con Lampard?
«Risposta secca: io ho sempre amato il Manchester United. Proprio perché li hai citati, loro sono stati i migliori e non avevano bisogno di me. Del Boca mi spiace solo di non aver regalato loro 50-60 partite».

(la sorpresa Pozzecco) Mi ha fatto piacere sentire le tue parole, ma bisogna fare il contrario di quello che faccio io... In ogni caso le porte sono aperte, speriamo che tutto ciò accada presto. Un abbraccio.
«Che dire? Mi fa effetto. Sono appassionato di basket e altri sport. Lui è stato sempre un punto di riferimento, magari anche esempio negativo quando perdeva la testa. Sta facendo tante cose belle e tutti ne parlano bene. Diciamo che non andrò a vedere come spiega il pick and roll, ma tante cose mi piaceranno».

Per chiudere: il momento che stiamo passando che cosa ci lascerà? Come ne usciremo?
«Ne usciremo bene se remeremo tutti dalla stessa parte. Nello sport e nella vita stiamo sulla stessa barca. Una delle cose più semplici e quindi intelligenti l'ha detta Balotelli: "Ho una madre che ha una certa età, non voglio attaccarle una malattia, quindi resto a casa". Ecco che cos'è la normalità. Poi ci sono i politici e gli scienziati che ci diranno cosa fare. Ma noi abbiamo la pelle dura e ne usciremo».

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