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La storia di Damiano: il tifoso che dall'Inghilterra sognava di rivedere la Roma dal vivo

"Vivo a Basingstoke ma la mia vita è giallorossa". Voleva tornare all'Olimpico per la gara con l'Udinese ma l'emergenza Coronavirus l'ha fermato

07 Marzo 2020 - 19:09

Una passione smisurata. Nel senso più letterale del termine. Ottocento chilometri prima, quasi millenovecento dopo. Le distanze di Damiano da Roma sono sempre state enormi. Eppure il suo attaccamento alla Roma ha oltrepassato ogni distanza. Da lontano, ma sempre vicino. Senza battiti non si vive. E che fosse in Sicilia o in Inghilterra, dove rispettivamente ha abitato e abita, la squadra del cuore ha sempre fatto parte della sua esistenza. Perfino in momenti poco associabili al tifo e al calcio nell'immaginario collettivo. Come il giorno del suo matrimonio, quando la moglie Marika - memore dell'unico momento in cui è stata davvero terrorizzata dal suo sguardo torvo - si è rivolta a lui sull'altare: «Prometto di amarti e onorarti. E di non passare mai l'aspirapolvere mentre gioca la Roma». Testuale.

Da molti anni la coppia risiede a Basingstoke, un piccolo centro a metà strada fra Reading e Southampton. Per tamponare la sua fame insoddisfatta di suggestioni da stadio, Damiano qualche volta va a vedere le squadre locali. Rigorosamente con qualche cimelio giallorosso addosso per non confendersi con colori opposti. L'atmosfera della Championship (dove gioca il Reading) non è quella della Sud, ma mezz'ora di auto o treno per avere l'unico surrogato possibile rappresenta un compromesso accettabile. Negli ultimi tempi però la voglia di Roma è cresciuta e gli impegni lavorativi gli hanno permesso di coronare un sogno cullato a lungo. O almeno così credeva fino a qualche giorno fa. «Purtroppo il 3 marzo British Airways ci ha comunicato la cancellazione del volo per la Capitale prenotato oltre un mese fa. Avremmo dovuto restare una settimana, sarebbe stato il viaggio per festeggiare i nostri dieci anni insieme, con la ciliegina di Roma-Udinese allo stadio. Anche quella rinviata, con tanti saluti ai biglietti di Tribuna Tevere già acquistati. Avevo organizzato tutto nei mini dettagli, regalando a me e mia moglie la città che entrambi amiamo tanto. Lei è archeologa, adora Roma; per me poi è qualcosa di magico, sempre anelato e raramente toccato davvero, che ha a che fare con la passione che nutro fin da bambino, quella per cui ancora oggi mi entusiasmo, mi commuovo, mi incazzo. Per cui vivo».

La passione in questione è naturalmente quella romanista, nata nel suo luogo di origine, a Catania, dove Damiano, come la maggior parte dei bambini, è avvicinato al calcio dal papà, che lo porta a vedere i rossoazzurri, all'epoca in Serie B. In compagnia di un'altra squadra geograficamente vicina alla Roma. «Proprio contro di loro vidi la mia prima partita dal vivo, al Cibali». Ma gli avversari non esercitano alcuna suggestione e anche la squadra paterna attecchisce poco sul suo immaginario infantile. La folgorazione vera arriva l'8 maggio 1983, attraverso la tv: negli occhi di quel bambino di sette anni fa breccia l'immagine delle migliaia di persone pazze di gioia che invadono il campo di Genova. «Guardavo e non capivo, chiesi a mio padre chi erano quelli che correvano vestiti non da calciatori e lui mi rispose che si trattava dei romanisti, che festeggiavano lo scudetto dopo quarant'anni. Quell'esplosione di felicità mi conquistò, anche se non ero ancora consapevole». Per avere coscienza di quanto quella simpatia istintiva si fosse tramutata in tifo vero e proprio, gli occorre un altro picco emozionale, questa volta verso il basso: «Roma-Lecce. Sì quella dell'86, in mezzo a tutti gli amichetti juventini dell'epoca che festeggiavano non so quante lacrime ho versato. In quel momento ho accertato un dato di fatto incontrovertibile: la mia vita è della Roma».

La sua fede però la esercita sempre a distanza: riesce a strappare per il compleanno dei 16 anni un regalo che vale oro: «La sfida contro la Juve del 18 aprile 1992, 1-1 con gol nostro di Rizzitelli». Ma Damiano nella Capitale ci capita raramente e per poco tempo, fino al trasferimento a Viterbo, dove frequenta l'università per un biennio. «Qualche volta riuscivo a raccogliere le 50mila lire necessarie per viaggio e biglietto allo stadio. Ricordo l'emozione di assistere alla partita in Curva. Era Roma-Sampdoria del 16 maggio 1998. Quel giorno capii quanto spinge la Sud: si invocava l'ingresso di Delvecchio, che entrò e segnò il 2-0. Al suo gol mi sono ritrovato dieci file più sotto, travolto e abbracciato a sconosciuti ed è stato bellissimo». In Tuscia conosce la futura moglie e stringe un'amicizia che segna la sua vita, non solo di tifoso. «Lo chiamavamo Dadà, il suo vero nome era Andrea Camponeschi, romano e romanista, il mio più caro amico. Con lui trascorsi tutta la giornata dello scudetto del 2001. Pur senza trovare i biglietti per lo stadio, dovevo assolutamente trascorrerla a Roma. Dopo la festa ci siamo salutati al Circo Massimo, lui mi ha chiamato e fatto tornare indietro mentre andavo via, legandomi una delle sue sciarpe al polso. Quella è stata l'ultima volta che l'ho visto, purtroppo un incidente stradale se lo è portato via qualche tempo dopo. Ma ancora non esistevano i social, non avevo alcun contatto coi familiari e tuttora non so nemmeno dove sia stato sepolto». Il giorno dopo il tricolore, ancora ebbro di festeggiamenti, Damiano assiste al concerto di Ostia Antica dei Sonic Youth. «Col gruppo appena entrato sul palco partì una sciarpata giallorossa che coinvolse tutto l'uditorio. Uno spettacolo nello spettacolo».

Le esigenze di lavoro portano lui e Marika in Inghilterra dal 2012. Le occasioni per incrociare la Roma dal vivo si diradano ulteriormente. Prova ad assistere alle sfide di Coppa da quelle parti contro City, Chelsea, Liverpool, senza mai riuscire a rimediare un prezioso tagliando. L'Italia resta lontana e nelle rare occasioni di ritorno in patria, la priorità è rivedere i familiari, dislocati fra Sicilia e Piemonte. Nell'autunno 2017 deve andare a Torino e per farlo aspetta che la Roma giochi lì contro i granata: «È stato l'esordio allo stadio di mia moglie. Vittoria con punizione di Kolarov, goduta dal settore ospiti. Trovarmi lì mi ha portato al settimo cielo: rispetto a chi si fa le trasferte, mi sento in difetto e mi inchino. Quanto mi piacerebbe». Quella con il Toro è però anche l'ultima gara dal vivo seguita da Damiano, che fra distanza, lavoro e calendari ballerini non ha mai avuto modo di riavvicinarsi. «Seguo ogni partita da qui e grazie ai social ho stretto tante amicizie con altri tifosi, ormai pluriennali, anche se non ci siamo mai visti. Ma ci vogliamo bene, siamo romanisti. Quando torno in Sicilia, Roma me la trovo sempre sotto l'aereo, vorrei tanto fermarlo ma non si può. È la nostra Mecca, nessuno dei due ci va da una vita. Una volta riusciti, con una spesa non indifferente, è successo l'inferno. La sfioro sempre la Roma, non è il primo viaggio che va a monte: ho prenotato alberghi altre volte e alla fine saltava sempre per questioni economiche, familiari o lavorative. Sembra destino».

E il destino di coppia lo ha portato in viaggio di nozze a New York, dove fra una Statua della Libertà, un Central Park e un ponte di Brooklin, ha costretto la sua Marika a un pellegrinaggio nel Roma Club della Grande Mela. «Ormai si è abituata alle mie piccole follie da romanismo estremo e in fondo credo che avrebbe avuto piacere anche lei di vedere la partita con l'Udinese dal vivo. Ma non c'è verso a quanto pare: non so cosa accadrà coi biglietti, ma certo è che nessuno di noi due potrebbe permettersi una quarantena, quindi aspetteremo tempi migliori. Ho qualche dubbio se riprovarci. Non sono scaramantico, ma sulla Roma ho i miei riti. Stessa maglietta, l'audio da Roma Radio al posto di quello inglese, fastidiosissimo. E poi leggo ogni mattina il Romanista, a cui mi sono abbonato dal 15 settembre 2017. Mi fate sentire più vicino. Per tutto il resto dovrò solo trovare un bel lavoro a Roma».

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