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Addio ad Arcadio Venturi: una vita da Romanista

Se n’è andato ieri un pezzo di storia della Roma. Dall’arrivo nel 1948 al suo inserimento nella Hall of Fame, fino alla lettera a Pellegrini: «Se vinci tu, vinciamo tutti»

(AS Roma)

PUBBLICATO DA Vittorio Cupi
03 Dicembre 2025 - 06:30

«I tifosi non mi dimenticheranno, io non li dimenticherò». Aveva ragione, perché poi i tifosi, 59 anni dopo, lo avrebbero eletto nella Hall of Fame della Roma. Con quella frase Arcadio Venturi chiuse nel 1957 la lettera di saluto alla fine della sua esperienza alla Roma, che era iniziata nel 1948. Non si affidò a un social media manager o all’intelligenza artificiale, non fece una cosa normale, perché se oggi chiunque fa lunghi post di saluto quando lascia un club nel quale magari è stato pochissimo, all’epoca non lo faceva nessuno. Lui prese carta e penna, andò di persona nella redazione del Corriere dello Sport, perché pubblicasse i suoi pensieri di affetto rivolti ai romanisti. Che continueranno a non dimenticarlo, anche dopo il ricordo che spunterà fuori in questi giorni, dato che purtroppo lo storico capitano della Roma se n’è andato ieri, a 96 anni.

La Roma lo prese a 18 anni, dalla Vignolese, dopo un provino a Montecatini. E si ritrovò, lui che era di Vignola, a vivere in Via del Vignola. Arriva da mezzala poi, dopo la prima stagione in cui si fa apprezzare subito dal tecnico Luigi Brunella, Fulvio Bernardini lo trasforma in mediano. È la svolta della sua carriera e si impone subito all’attenzione generale, anche se la sua prima Roma è in grande difficoltà e finisce col retrocedere nel 1951. Lo cerca l’Inter, lui non ne vuole sapere e trova subito un nuovo accordo con la Roma. Mentre Renato Rascel conia l’immortale “non si discute, si ama”, lui sta già pensando a come riportare in Serie A la squadra che è già entrata nel suo cuore. «Sono stati gli anni più belli della mia vita», ha detto in più di una occasione. Pur giocando in B, esordisce in Nazionale, ma soprattutto trascina la Roma al ritorno in Serie A. Fa parte della Nazionale olimpica che va a Helsinki 1952 ed è in campo nell’inaugurazione dello Stadio Olimpico, nel 1953, contro l’Ungheria. A bordo campo, a far da raccattapalle, c’è un futuro capitano della Roma, Egidio Guarnacci, che lo ammira come avrebbe fatto poco tempo dopo Giacomo Losi. Con l’esempio, con la serietà, con l’abnegazione, Arcadio Venturi è una colonna della trasmissione di romanismo che c’è sempre stata da capitano a capitano, fin dal 1927. Lui era del 1929 ed era orgoglioso di essere quasi coetaneo della Roma. Con altrettanto orgoglio segnò su rigore, a Trieste, il primo gol della Roma tornata in Serie A, per poi divenire il capitano di una squadra che tornava subito grande con l’arrivo di grandi giocatori. Su tutti, Alcides Ghiggia. Il fuoriclasse uruguayano non aveva i documenti a posto e così fu proprio Venturi a fargli da garante. In suo onore, Ghiggia chiamò il figlio Arcadio. «È stato il mio compagno di sempre», ha detto una volta l’uomo del Maracanazo riferendosi al suo capitano.

Centrocampista completo, pericoloso quando avanzava, preciso quando smistava il gioco, solido quando c’era da difendere. Fiato, fisico e tecnica. Dopo 290 partite e 18 gol andò all’Inter, dove poi ha lavorato a lungo nel settore giovanile. Tra i giocatori che ha cresciuto c’è anche Marco Delvecchio, e quindi un pezzettino del terzo scudetto è anche suo. Ne ha gioito, perché è stato un tifoso della Roma fino all’ultimo. Toccante la lettera che scrisse a Lorenzo Pellegrini poco tempo fa, da capitano a capitano, facilmente rintracciabile su asroma.com. «Se vinci tu, vince la Roma. Se vince la Roma, vinciamo tutti noi che la amiamo. Perché chi gioca per la Roma, poi non può che diventare romanista a vita».
La vita di Arcadio Venturi è stata quella di un grande sportivo e di un grande romanista.

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