AS Roma

Nuove consapevolezze

Il racconto di Roma-Verona all’Olimpico: dalla gioia per Pellegrini che s’è ritrovato alla certezza di avere un portiere importante. Poi i gol di Dovbyk e Soulé e i sogni da non fare

PUBBLICATO DA Federico Vecchio
30 Settembre 2025 - 07:00

La consapevolezza, quella che ci ha consentito di vincere a Nizza, l’ha data quell’esultanza (“Abbiamo battuto il Nizza nel momento in cui Pellegrini ha segnato nel derby”). Quella sua implosione di gioia ha consentito, a lui ed a noi, di chiudere un cerchio (“Adesso basta con questa storia”). È stata il momento di chiusura del tutto. Sofferenza, fatica, aspettative deluse. Le domande a cui non riesci a dare risposta. Perché io, che ero il Capitano di questo Gruppo, ne sono finito ai margini? Perché? Perché devo andare via da casa mia? Perché? Poi, incredibilmente, la vita ti dà una possibilità. Che è quella di dare dimostrazione, prima a te stesso e poi agli altri, che la vita può avere un lieto fine. Che i sacrifici paghino. Che il destino può anche tenderti una mano. Sotto forma di scivolone, che lascia quel pallone lì per, poi, fartelo arrivare su quella mattonella. In quel preciso punto, nell’area della Lazio, la tua storia calcistica ti avevo dato un appuntamento. Di quelli che la indirizzano, da una parte o dall’altra.
Come quel pallone di Belotti a Budapest, ad esempio (“Pensa se avesse segnato come sarebbe cambiata la Storia, sua e nostra”). O di qua, o di là. E quando hai sentito che quell’appuntamento con la tua Storia non te l’eri fatto scappare, che il perimetro si era finalmente chiuso, non hai urlato, non hai corso, non hai rivolto lo sguardo all’uno o all’altro. Ma hai chiuso quella gioia dentro di te, lasciando che ti rimbalzasse dentro (“Quella è l’esultanza di chi si è liberato di un dolore e di una preoccupazione”). Ed hai pianto, ed hai lasciato che gli abbracci degli altri ti dessero la misura dell’importanza del percorso che avevi fatto per arrivare fino a lì. E quel momento ha segnato una svolta: adesso si ricomincia. Adesso è un nuovo inizio. Adesso puoi anche andare via a gennaio. Ma hai svelato l’errore che si annida in chi ha ritenuto troppe volte, spesso a sproposito, che fosse comunque colpa tua (“Ha dimostrato di essere un calciatore serio: ha giocato un derby dove, dopo la fascia, aveva anche di più da perdere”). E questa consapevolezza, che finalmente hai dato per primo a te stesso, l’hai messa in campo a Nizza: pochi minuti, ed hai portato la partita dalla nostra parte (“La partita l’ha cambiata Pellegrini”). Non sarai Totti. Ma hai dimostrato che la quota dove stazioni, a livello tecnico e non solo, è molto alta.

È con questa ferma convinzione che entro in Tevere. Convinto anch’io, come mi ricorda un amico, che “Lazio e Nizza le ha decise Pellegrini” e che, se col Torino avremmo dovuto e potuto vincere, “con la Lazio il pareggio poteva starci” e, quindi, che “la nostra classifica attuale ci deve andare benissimo”, soprattutto se letta alla luce di Nizza, in cui non ci siamo fatti sfuggire l’opportunità di iniziare bene anche in Europa. Si entra in Tevere, quindi, convinti che questa squadra stia facendo il suo, e che, se si dovesse vincere, non ci sarebbe il rischio di soffrire di vertigini, una volta lassù, perché Gasperini ce l’ha fatto capire chiaramente quale sia la situazione e quali gli obiettivi (“L’hai sentito Gasperini? Mancano i giocatori. Quindi, questi, per noi, sono punti buoni per provare ad arrivare quarti, niente di più”). E, poi, perché le parate di Svilar le abbiamo viste tutti e, se è vero che il portiere fa parte della squadra, se togliessi lui e mettessi un altro qualche punto per strada l’avremmo perso (“A fine stagione va al Real Madrid, vedrai”). C’è preoccupazione sul balletto delle punte, perché Dovbyk non convince (“Non è la punta che si porta dietro tutta la difesa avversaria, che è quello che ci serve”) e perché c’è la preoccupazione che la sua promozione a titolare abbatta il giovane Ferguson (“Non vorrei che la vivesse come una bocciatura”). Ma c’è anche la consapevolezza che questa squadra stia assumendo una sua fisionomia, a partire dalla difesa, che di gol non ne prende o, se ne prende, ne prende di evitabili (“Dietro siamo solidissimi”). Passa una manciata di minuti e Dovbyk si ricorda come si fa (“Ha segnato alla Pruzzo”). La partita sembra in discesa, perché, tutto sommato, il pallone scorre, Pelle è vivo, la sensazione è che si possa farne un altro (“Davanti si trovano. Bene così”). Poi, però, il Verona ci ricorda perché sia riuscito a pareggiare con la Juventus: davanti ed in mezzo al campo corrono e nemmeno poco (“Davanti c’hanno due frecce ed in mezzo ci aggrediscono senza paura”). Poi, certo, rimane il mistero di come quel pallone sia potuto andare a sbattere sulla traversa (“Nemmeno le leggi della Fisica possono venirci in aiuto!”) mentre non c’è nessun mistero sul come Svilar sia riuscito a parare con la faccia (“Non ha paura, si butta tra i piedi, è completo”). Arriviamo all’intervallo in vantaggio, come è comunque giusto che sia, anche perché loro dovrebbero giocare in dieci, e non in undici (“Ma perché non gli ha dato un altro giallo?”). Ma il secondo tempo ci scarica addosso tutte le fatiche di Nizza. Soffriamo, corriamo e soffriamo, difendiamo e soffriamo (“Siamo stanchi”). Sì, quando proviamo a salire si vede che potremmo essere pericolosi (“Potremmo segnare con un po’ di convinzione”). Ma giochiamo più di qua che di là. Ci tagliano in velocità più volte e più volte e, per fortuna, sbagliano. Poi ci pensa Svilar (“È anche inutile dire altro”), aiutato dal mestiere di Mancini, ad evitare il pareggio. E poi ci pensa Konè a riportarci di là, con Ferguson che fa finalmente il centravanti che vorremmo sempre (“È questo quello che ci serve”), la fortuna che prende parte all’azione dopo quel tocco di tacco, e Soulè che finalmente segna.
Mancano una decina di minuti, e l’importanza di questo gol non passa inosservata, perché ci permette davvero di salire lassù (“Oh, siamo primi”). Adesso non ci riprendono. Anche se, e come ti sbagli, nei minuti di recupero non ci facciamo mancare niente (“L’ha presa di mano? Speriamo, altrimenti ci aspettano altri due minuti da incubo”). Ma non ci riprendono. E finisce con Celik migliore in campo, quando il migliore sarebbe stato Svilar (“Ma lui dovresti premiarlo tutte le partite! Non glielo danno per dare soddisfazione anche agli altri”) e la convinzione che, se riuscissimo a non perdere a Firenze, il nostro, prima della sosta, l’avremmo abbondantemente fatto.

Ed avremmo così la possibilità, dopo il fieno sin qui messo in cascina, anche di commettere qualche passo falso in futuro, senza troppe conseguenze. Perché nessuno pensa che si possa sognare. Nessuno. Tutti con i piedi per terra, convinti che, dovessimo continuare a stazionare lassù, non sarebbe quello il nostro obiettivo. Ne siamo tutti convinti. Certo, se poi, da qui a gennaio, avessimo le conferme che aspettiamo, beh, allora potremmo anche ripensarci. Perché Pelle lo stiamo ritrovando, Dybala vuole esserci, Bailey è tutto da scoprire. Forse ci manca uno in mezzo al campo. Che abbia corsa, tenacia, che dia ripartenze. Che sia compatibile con il gioco di Gasperini. Che sappia anche segnare, alla bisogna. Ma noi un giocatore così ce l’abbiamo. E, semmai avessimo la possibilità di rivederlo in campo, la sua felicità di esserci non sarebbe certo superiore alla nostra. Perché noi, sotto sotto, anche se non ne parliamo, un po’ ci speriamo. Ricordatelo, Edo.

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