AS Roma

La profezia del mago

Appena sbarcato a Roma, il tecnico che aveva fatto grande l’Inter non usa giri di parole: «Punteremo alla Coppa Italia e arriveremo almeno ottavi». E i fatti gli danno totalmente ragione

(GETTY IMAGES)

PUBBLICATO DA Vittorio Cupi
14 Agosto 2025 - 08:00

Quando sia nato il soprannome “Mago”, per Helenio Herrera, è difficile da ricostruire. Di sicuro la sua attitudine a trasformare le squadre che allenava e a puntare dritto alla vittoria, spesso riuscendoci, contribuì ad alimentare l’aderenza del soprannome al tecnico che, dopo aver vinto tutto (e in alcuni casi più di una volta) con l’Inter, nell’estate del 1968 arriva alla Roma. Il suo arrivo è il “regalo di addio” del presidente Franco Evangelisti, anche se il suo successore, Alvaro Marchini, fatica a definirlo come un regalo, alla luce dell’altissimo ingaggio che viene corrisposto all’allenatore argentino. I suoi lauti guadagni, peraltro, sono stati i guadagni di tutti i suoi colleghi che sono venuti dopo di lui in tutto il calcio italiano, perché è proprio da quel momento in poi che gli allenatori hanno aumentato la loro importanza, anche al tavolo delle trattative. Ma questa è un’altra storia.

Una cavalcata trionfale

La storia dice che Herrera ha allenato la Roma dal 1968 al 1972, senza raggiungere i picchi dell’Inter, ma senza avere nemmeno i Picchi, nel senso di Armando, e quindi dei campioni, che aveva all’Inter. La sua prima stagione romanista, però, lo vede iniziare vincendo la Coppa Italia. La seconda nella storia della Roma, che l’aveva vinta solo nel 1964. Il successo arriva all’ultima giornata del girone finale, il 29 giugno 1969 a Foggia, vincendo 3-1 contro la squadra pugliese allenata da Tommaso Maestrelli. C’erano anche Cagliari e Torino nella fase finale e la Roma era stata la più forte. Il cammino era stato tutt’altro che semplice, con un quarto di finale giunto proprio a ridosso del dramma della morte di Giuliano Taccola, che aveva portato una squadra decisamente frastornata a perdere l’andata a Brescia per 1-0, salvo poi vincere il ritorno per 3-0, e con un girone iniziale con Bologna, Spal e Lazio, naturalmente battuta. 8 settembre 1968, gol di Ferrari. Non è stato semplice alzare quel trofeo, che forse non era nemmeno tanto prevedibile. O forse sì, a patto di essere un mago. 
È andata esattamente così. Nei primi giorni del ritiro precampionato che si era svolto a Spoleto, Helenio Herrera aveva avuto un’uscita che sul momento era stata vista solo in chiave polemica nei confronti del presidente Marchini. Le polemiche peraltro erano quasi all’ordine del giorno, perché proprio ogni giorno o quasi l’allenatore continuava a dire di aver bisogno di un attaccante perché «se si stira un muscolo di Taccola, salta tutto il gioco offensivo della Roma». Sarebbe andata molto peggio, ma qui torniamo alle sue parole rilasciate ai primi di agosto a Spoleto: «Non sono abituato a battermi senza avere la mira su un obiettivo prestigioso», confessò Herrera ai giornalisti mentre i giocatori uscivano sudati dopo un allenamento particolarmente pesante. 

Poi rimase un attimo in silenzio e proseguì: «È la prima volta che mi sento dire da un presidente che non dobbiamo lottare per lo Scudetto. Sono rimasto perfino deluso. Quindi, devo inventarmi un altro scopo. L’ho detto e lo ripeto: nessuno ci considera tra le prime otto squadre del campionato, ma io sono certo che arriveremo almeno ottavi. Questo, tuttavia, non mi basta. Sono abituato a vincere, non a piazzarmi. E poiché lo Scudetto non lo possiamo vincere, punteremo alla Coppa Italia».

È andata esattamente così. Non solo la Roma ha vinto la Coppa Italia, ma in campionato è arrivata esattamente all’ottavo posto. Quando si dice che i romanisti sono i campioni d’agosto (anche se non è più così da almeno 15 anni, ma lasciamo stare), forse non è del tutto falso.

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