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Pluriproprietà, il futuro è scritto

La holding ribadisce la volontà del Friedkin Group di espandere i suoi interessi. L’obiettivo? Dare vita a una sinergia strategica dal punto di vista sportivo, ma anche aziendale

(GETTY IMAGES)

PUBBLICATO DA Lorenzo Latini
18 Luglio 2025 - 07:31

Dimenticate i vecchi patron del calcio Anni 90, quelli che finivano sul lastrico pur di regalare trofei e campioni alle loro squadre: ora le cose sono cambiate, e i “padri padroni” che eravamo abituati a conoscere vanno via via scomparendo. Al loro posto, prendono sempre più piede quelle che all’estero sono state ribattezzate MCO (multi-club ownerships) e che in Italia sono state - erroneamente - ribattezzate multiproprietà. Nel caso specifico dell’ambito calcistico, è più corretto definirle pluriproprietà: la differenza semantica c’è, ma è poca cosa a livello concreto.

Attenzione, però: già Franco Sensi, Luciano Gaucci e Calisto Tanzi ci avevano provato, acquistando per intero club (o alcune quote di essi) anche dall’altra parte del mondo, ma sempre con mire espansionistiche limitate rispetto alle holding odierne. L’ultima in ordine cronologico è proprio quella creata due giorni fa dai Friedkin, la Pursuit Sports, che ambisce a «elevare e potenziare le organizzazioni sportive di livello mondiale». Dan e Ryan hano affidato la cabina di regia a Dave Beeston, uno che se ne intende: l’ex managing director del Clearlake Capital, co-proprietario del Chelsea, ha un lungo passato anche nel Fenway Sports Group, la holding del bostoniano John W. Henry. Se il nome non vi dice niente, vi basti sapere che è proprietaria del Liverpool e della sua casa, Anfield, oltre che dei leggendari Boston Red Sox (e di Fenway Park, dove disputano gli incontri casalinghi) nel baseball e dei Pittsburgh Dolphins nell’hockey. Chissà che, sfruttando l’esperienza e la «saggezza nella costruzione di imprese sportive ad alte prestazioni» di Beeston, Dan e Ryan non decidano di investire anche in altri ambiti sportivi, extracalcistici.

Gli illustri precedenti

La rivoluzione, in ambito calcistico, è partita da Red Bull: il colosso austriaco ha creato per certi versi la pluriproprietà perfetta, dall’energy drink all’automobilismo, fino ad arrivare al calcio. Salisburgo e Liefering in Austria, New York Metrostars, Lipsia e Bragantino sono i principali club controllati dal Toro Rosso, tradizionalmente abile a valorizzare i calciatori e a farli aumentare di valore, step by step, fino a rivenderli a cifre da capogiro. Erling Haaland, dato il suo talento, non ha avuto neppure il tempo di effettuare tutta la trafila, ma dal modesto Liefering (seconda serie austriaca) sono passati al Salisburgo e poi al Lipsia Szoboszlai, Laimer, Upamecano, Caleta-Car, Haidara e Naby Keita, giusto per fare qualche nome.

Evidentemente, la possibilità di espandersi su mercati calcistici in rapida crescita (il Brasile è, assieme al Portogallo, il target country del momento: non a caso hanno investito lì anche il City Football Group, l’Eagle Football Group e la 777 Partners) permette da un lato di scovare talenti, ma allo stesso tempo anche di far crescere quelli già sotto contratto, ma ancora acerbi. Al di là della mera questione sportiva, ci sono però ovviamente anche motivazioni di natura prettamente aziendale: “globalizzando” l’azienda, ci si apre a nuovi mercati, con la possibilità di attirare nuovi investitori e di creare sinergie a livello di marketing e sponsorship. A maggior ragione se, proprio come i Friedkin, si intende costruire uno stadio di proprietà. Il tutto - fattore da non trascurare - ottimizzando i costi e centralizzando alcune funzioni. 

Non mancano rischi e contraddizioni: il gruppo Suning, all’Inter, ha retto per 8 anni, prima di essere mangiato dai debiti contratti con Oaktree, che si è rivalso proprio prendendosi la società nerazzurra. Il gruppo 777 Partners (Genoa, Hertha Berlino, Vasco da Gama, Red Star FC e Standard Liegi) ha subìto diverse cause legali per mancati pagamenti, e la sua compagnia aerea Bonza è finita in amministrazione controllata. Ma sono casi isolati. Piaccia o meno, il calcio è sempre più nelle mani di pochi, ricchissimi proprietari. In questo senso non è differente da qualsiasi altra azienda.

342 è il numero stimato di club riconducibili a pluriproprietà

Il fenomeno è in aumento, e lo testimoniano i numeri: le società che controllavano direttamente o detenevano le intere quote di più di un club calcistico, nel 2012, erano 40; nel 2022 il numero è salito fino a 180. Secondo l’ultimo rapporto della UEFA, sono 342 i club riconducibili a pluriproprietà: in Italia, oltre alla Roma, anche Inter, Milan, Palermo, Genoa, Bologna, Fiorentina, Napoli e Verona.

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