L'ottimismo ci sta bene
A parte conti tipo «Per essere in Champions dovremmo...» e le vane speranze che Ranieri resti («costringetelo»), non è vero che deve sempre andarci male

(GETTY IMAGES)

«Un’altra volta Zaniolo… non potrei farcela…». Non ci facciamo mancare niente: siamo appena usciti vincenti da San Siro; siamo in corsa, purtroppo con un calendario impossibile che ci aspetta, per il quarto posto; stiamo imparando a vincere di corto muso, malgrado il Derby e la partita con la Juventus ci abbiano mostrato una squadra con la spia della riserva decisamente accesa, ma non basta perché noi stiamo qui, invece di essere contenti di ciò che è stato e fiduciosi in quello che potrebbe essere, terrorizzati dalla Nemesi. Che, quest’anno, e lo sappiamo bene, non è che quando ci ha incontrati si sia proprio girata dall’altra parte (Tammy, Spinazzola e la prima volta di Zaniolo ne sono la prova).
Ma adesso, che siamo nel rettilineo che già il traguardo lo vedi, un po’ di ottimismo non guasterebbe. Fosse solo perché, a quattro giornate dalla fine, siamo a sessanta punti, che manca un soffio ed eguagliamo quei sessantatré che hanno caratterizzato tutti i nostri ultimi campionati. E fosse solo perché è vero che, adesso, dovresti battere la Fiorentina, andare a fare punti a Bergamo, battere il Milan e, a quel punto, in scioltezza superare il Torino, ma «se vuoi andare in Champions, è questo che devi fare». E, se non lo fai, «è giusto che ci vada qualcun altro». Quindi, basta con i mannaggia de qua e mannaggia de là: siamo forti, l’abbiamo dimostrato, dobbiamo soltanto continuare a dimostrarlo. Il problema è che prima è Zaniolo, e poi è «Dovbyk che a me non mi convince» a cui non c’è replica che tenga (a nulla, difatti, serve quel «ma quest’anno ha già segnato tanto … diamogli tempo»). Questo disfattismo da stress da fila non prolungata ma prolungatissima ai tornelli si fa via via sempre più largo.
Sarà che, per l’appunto, prima di attraversare i tornelli c’è talmente tanta ressa che tu manco lo capisci quale sia la direzione per arrivarci, ai tornelli, che tutte queste frasi, tutte che finiscono con una parola che oggi vedrai che ci andrà male, diventano insopportabili. Perché è vero che quegli altri oggi hanno vinto, e quando vincono quegli altri tu mi devi trovare un solo motivo per non dispiacersene («Però, di positivo c’è che almeno hanno fatto un favore a Eusebio, che se lo merita»), dispiacere amplificato dalla constatazione che, a fronte della vittoria del Napoli a Lecce, quando quegli altri andranno a San Siro troveranno un'Inter che certamente non avrà più niente da chiedere al Campionato, e quindi «solo a noi ce capitano tutte col coltello tra i denti, mai a loro», ma è vero anche che noi abbiamo la forza di potercela fare senza l’aiuto di nessuno. Perché, se abbiamo vinto a San Siro, «possiamo vincere a Bergamo», «non posso pensare che non battiamo il Milan adesso che ci serve davvero», «escludo che non vinciamo a Torino, semmai ci servisse per andare in Champions». La sintesi di questo lunghissimo preliminare di partita vissuto all’ombra dell’Obelisco, dà la misura di come, in estrema sintesi, il ricordo che ci lascerà questa stagione, a meno di arrivare al traguardo a braccia alzate, sarà fatto di un sapore amaro. Perché sono i rimpianti che, più si vince, e più si fanno largo («Dieci punti…sarebbero bastati dieci punti e stavamo lì con Inter e Napoli…dieci punti…»).
Ci sediamo in Tevere, quindi, che non sappiamo se sia meglio vincerle tutte, per poi essere macerati da ciò che sarebbe potuto essere, oppure sbrigarci ad archiviare questa stagione sperando che la prossima inizi subito, così da metterci definitivamente alle spalle l’addio di DDR, l’arrivo di Juric («Che, lo ripeto, è stato il meno colpevole di quella situazione»), Paulo spinto a trovarsi un’altra squadra, e così via. Poi, però, si inizia, ed allora, vedendo come sia messa bene in campo la Fiorentina, ti rendi conto del monumentale lavoro fatto da Ranieri («Dovrebbero costringerlo ad allenare anche il prossimo anno, non con i soldi, ma con la garanzia che gli comprano tutti quelli che vuole per vincere lo Scudetto»), che mette in campo una Roma che, malgrado le crepe già viste nelle ultime settimane, le tiene testa. Certo, l’affermazione “se nun tiramo, nun segnamo”, arriva come una sentenza non tanto sulla scarsa pericolosità delle nostre punte (“Tu guarda Kean: lo vedi che è sempre pericoloso, pure cò la palla a trenta metri da lui; noi, invece, niente”), ma sulla poca capacità di giocare la palla tra le linee (“Sempre in orizzontale: non riusciamo a giocare un pallone in verticale”). Ma, dall’altra parte, la Fiorentina non ci mette all’angolo come all’andata e, nei pochi momenti in cui ci riesce, ci pensa Svilar. Ora, su Svilar va aperta una parentesi: un seggiolino, a me molto prossimo, mi fa notare che sarebbe preferibile che “ogni tanto sbajasse”, perché, altrimenti, “quella col Milan sarà l’ultima partita che lo vedremo all’Olimpico”. A tanto siamo arrivati, ad augurarci di essere forti, ma un po’ meno, altrimenti ce li vendono tutti. Ma prima che finisca il primo tempo, Pelle, Angelino, Shomu e il Pichichi ci portano in vantaggio. E da lì inizia una traversata oceanica fino al ’95. In cui, anche nei momenti in cui la barca sembra sull’orlo del naufragio, ci pensa il nostro Ulisse, solo davanti a tutte le avversità, a parare qualunque dardo, da dovunque arrivi. E quando l’arbitro mette fine a questo travaglio troviamo il modo di farci ancora del male. Mi arriva chiara, difatti, l’affermazione che vorrebbe, per l’allenatore che verrà, la difficoltà di convivere con i risultati di questa stagione, semmai dovesse finire come tutti speriamo. A riprova di come, come la giri la giri, deve andarci sempre di traverso. E invece, no. Perché la replica, immensa, a quel seggiolino, vuole, invece, che «tra un anno stiamo di nuovo a Budapest». Perché va bene tutto, ma un pò di ottimismo, dopo questa ennesimo miracolo di Claudio nostro, ci sta tutto e ci sta benissimo.
Anche perché poi c’è Edo. Arriva voce che abbiano espulso Zaniolo. Ma c’è Edo. E Bergamo diventa un rumore lontano. Milan e Torino due delle tante partite di quest’anno. La Champions, che conta il giusto, «perché te lo ricordi, tu, l’ultimo anno che l’abbiamo giocata?». Perché poi c’è Edo. E tutto passa in secondo piano. Tutto diventa sfondo. Perché c’è Edo. Perché ci sono le sue lacrime sincere e pulite. E ci siamo noi. E la nostra Storia. E la Roma. Che è pronta a raccoglierla tutta, quella commozione. E tutto questo conta più di sessantré, settanta, settantacinque punti. Conta di più. Perché la Roma è una grande famiglia. La nostra. Bentornato, allora, Edo. Bentornato a casa.
© RIPRODUZIONE RISERVATA