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Umiltà e semplicità: lo statuto dei lavoratori di Ranieri per la Champions

Ha rivitalizzato la squadra a modo suo. Ha lavorato sulla testa dei singoli e sul cuore del gruppo. Ha votato anche lui Conte, ma pensa solo al presente

Claudio Ranieri, di LaPresse

Claudio Ranieri, di LaPresse

01 Maggio 2019 - 07:57

La festa del lavoro per i romanisti oggi ha il volto di Claudio Ranieri. L'aggiustatore, il normalizzatore, il testaccino: chiamatelo come volete. È l'uomo che dall'8 marzo a oggi ha dato una grossa mano a riportare la speranza tra i tifosi della Roma e, soprattutto, tra i giocatori della Roma e, di conseguenza, tra i dirigenti della Roma. Ha messo d'accordo tutti, in poche mosse, istituendo il suo speciale statuto dei lavoratori.

Poche mosse, ma efficaci, all'insegna della semplicità. Ha portato le sue abitudini, come quella di parlare davanti ai giornalisti a due giorni dalla partita, in un orario in cui quasi un'intera categoria ancora sta finendo di fare colazione. Ha portato i suoi metodi e le sue boutade. «Ho detto tutto e non ho detto niente, come sempre», ha ripetuto nelle ultime conferenze stampa. È più leggero, Ranieri, da quando è tornato sulla panchina della Roma. Per la seconda volta per dare una mano. Come quando rilevò la panchina del collega Spalletti che aveva esaurito il suo primo ciclo nella Capitale. E l'impressione è che dopo il miracolo compiuto a Leicester, sor Claudio, non senta più alcun peso. Primo fra tutti quello di essere romano.

S'è messo pure il cappelletto alla Liedholm un giorno, quando ancora la primavera non s'era affacciata a Trigoria e nella sua città natale. Cos'altro deve dimostrare? E a chi, poi? Certo non ai tifosi della Roma, che l'hanno accolto da sir, o da conte, se preferite. Come se ne era andato, quando si dimise proprio dopo un Genoa-Roma, nel 2011, all'insegna della follia. Ritrovarsi di fronte i rossoblù a Marassi non dev'essere un bel ricordo per Ranieri, ma lui non pensa mai al passato. È forse questa la sua forza maggiore: «Che sono uno che pensa positivo», ha detto.

Con il Cagliari «è stata la migliore partita» della sua gestione: ha ridato scioltezza e anche passione a una realtà, un ambiente, che aveva perso l'obiettivo. Si è fatto conoscere, prim'ancora di conoscere tutti i calciatori (ha compreso e messo anche in riga qua e là i giovani), in nome di un unico focus.

Ha lavorato di fino sulla testa di alcuni giocatori, da Kluivert a Schick, operazioni non del tutto completate nonostante i progressi dell'olandese. Ha ridato una dignità a Pastore, con una pretattica dialettica volta a togliere pressioni al giocatore, schierato a sorpresa contro i sardi e autore di una prestazione degna del talento che aveva stregato Parigi. Né si è andato a prendere meriti particolari davanti alle telecamere per una scommessa personale vinta. Almeno nella prima puntata. Umiltà e lavoro, appunto. Step by step, avrebbe detto davanti alla Regina qualche tempo fa. Solo così si risale la china dalle difficoltà. E si ottiene il massimo. Tanto che ad oggi Ranieri sente di non avere ancora fatto niente, ma intanto con 1,75 punti a partita ha superato la media punti stagionale del predecessore Di Francesco (fermo a 1,69).

Anche Claudio, come Francesco Totti, come la maggioranza dei tifosi romanisti, ha votato Antonio. Conte. Ormai si parla solo di lui, o comunque di un top coach che prenderà il suo posto alla fine di questa travagliata stagione. Quando gli è stata fatta l'inevitabile (ma a qualche tifoso non è piaciuta) domanda, si è unito al coro, parlando forse più da tifoso che da tecnico in carica della Roma, si è unito per eleganza, come suo solito, e per intelligenza. Da grande comunicatore quale è sempre stato. E da pragmatico, da schematico qual è.

Perché, per il bene suo e quindi della Roma, come sa chi gli è vicino, non si può che stare ai suoi step da grande professionista. Il passo oggi è portare la Roma in Champions, perché domani è un altro giorno, si vedrà. Quello che appare certo, contrariamente a qualche voce che è girata che lo vedrebbe poter accettare un ruolo diverso nella Roma del futuro, è che King Claudio non vuole smettere di allenare e finché avrà la passione e la carica interiore che sta dimostrando, assicura chi gli sta vicino, allenerà ancora.

Nessun retropensiero, allora, che possa distogliere l'attenzione dal focus, che è fare il miglior lavoro possibile con questa Roma rammendata. Nessuna promessa, solo programmi di lavoro. Come accadrà questa mattina, quando con la squadra riprenderà gli allenamenti. «Vi aspetto il primo maggio. Voglio vedere chi si sente un lavoratore», aveva detto ai cronisti in occasione della conferenza del 25 aprile. Ci siamo. Buona festa di lavoro, mister.

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