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Pigliacelli: "Roma fammi tornare, a Trigoria ho lasciato un pezzo di cuore"

L'ex portiere del settore giovanile giallorosso a Il Romanista: "In Romania sto benissimo: bel club, 30.000 spettatori. Della Capitale ho ricordi indimenticabili"

Mirko Pigliacelli e Matteo Politano festeggiano la vittoria dello scudetto con la Primavera di Alberto De Rossi, di Mancini

Mirko Pigliacelli e Matteo Politano festeggiano la vittoria dello scudetto con la Primavera di Alberto De Rossi, di Mancini

19 Aprile 2019 - 09:52

Dopo Gianluca Curci, che a 33 anni ha da poco iniziato una nuova avventura con gli svedesi dell'Hammarby, nessun portiere del settore giovanile della Roma è più riuscito a giocare in serie A. Per riuscirci, dopo otto anni da titolare e due scudetti con le giovanili giallorosse, e mezza carriera in serie B, Mirko Pigliacelli è dovuto emigrare in Romania. E ha scoperto un mondo nuovo, di cui è entusiasta: «Sto in una società seria, con strutture all'avanguardia, che non ci fa mancare nulla. In uno stadio sempre pieno, da 33.000 spettatori. Ma anche nella partita meno seguita, ce ne sono sempre almeno 20-22.000».

Andiamo con ordine.
«Gioco con l'Universitatea Craiova. La città ha 300.000 abitanti, la squadra 4 scudetti. Abbiamo finito la regular season al terzo posto, dietro i campioni in carica del Cluj e la Steaua Bucarest, e ora stiamo giocando la seconda fase, quella che assegnerà il titolo».

Come ci sei finito?
«Se non fossi andato via dall'Italia a giugno, probabilmente sarei finito di nuovo a fare la serie B. E la B non la volevo fare più: ogni volta che vincevo il campionato, non mi veniva data la possibilità di giocare in serie A l'anno dopo».

Racconta.
«Mi è capitato con il Sassuolo e con il Frosinone. Tutte e due le volte con squadre che non erano mai state in serie A. Al Sassuolo ero di proprietà del Parma, ero convinto che mi avrebbero riscattato, dopo la vittoria del campionato. Al Frosinone non c'era neanche questo problema, avevo il contratto anche per la serie A, il cartellino era loro. E invece hanno preso Leali in prestito, che ha la mia stessa età. E ho capito che non c'era più spazio per me. L'anno prima avevo giocato tanto: 22 presenze. Mi alternavo con Zappino, che da quelle parti è un monumento (italo-brasiliano classe 1981, al Frosinone una prima volta dal 2003 al 2007, titolare nella prima storica stagione in serie B, di nuovo in Ciociaria nel gennaio del 2012, la scorsa estate ha chiuso la carriera da calciatore rimanendo però come preparatore dei portieri del settore giovanile, ndr). Dopo l'acquisto di Leali, se avessi voluto sarei anche potuto rimanere, ma non avrei avuto la possibilità di giocarmela. Ero un portiere di proprietà, mi hanno buttato nel cesso. Mi sono chiesto spesso cosa ci fosse dietro quella scelta. Ma per come sto adesso, in fondo, meglio così».

Si sta così bene in Romania?
«Mi si sta aprendo un mondo, calcisticamente parlando. Ho fatto sei anni in serie B, e dopo soli sei mesi mi dicono di interessamenti che fino all'anno scorso potevo solamente sognare. Squadre estere, dal Belgio, e dalla Spagna. Che forse è il campionato che meglio si adatterebbe alle mie caratteristiche. Gioco molto coi piedi, da sempre. Mi dicono che un portiere con le mie caratteristiche qui in Romania non l'avevano mai visto».

E invece ti hanno visto andare a segnare un calcio di rigore.
«È stato bellissimo. Anche perché quel gol su rigore è arrivato contro una diretta rivale come la Steaua Bucarest, a casa loro, davanti a 35.000 spettatori, sotto di un gol. Io li provavo spesso in allenamento. Di solito in questi casi resta il terzo portiere, quando gli specialisti si vogliono esercitare con rigori e punizioni: quando stavo alla Roma stavo in porta per fare allenare Totti, Pjanic e Lamela, qui ero quello che si allenava a calciare. Ne avevamo sbagliati tanti quest'anno (cinque, ndr), e il mister mi aveva detto: ‘Mirko, alla prossima batti tu'».

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Multumesc, Craiova! Alaturi de voi ma simt ca acasa! Intotdeauna cu capul sus! #nonmiavetefattoniete

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Era un mister italiano.
«Devis Mangia, che tre giorni fa è stato esonerato. Ha allenato il Palermo, e l'Italia Under 21».

La sua carriera ad alto livello era cominciata con il Varese Primavera che sfiorò un clamoroso scudetto, perdendolo solo in finale, ai supplementari...
«...contro di noi. Abbiamo scherzato parecchio, con questa cosa. Mi diceva: ‘Con quello che mi hai fatto, ti ho pure chiamato a giocare qui...'. Ero il portiere di quella Roma, Florenzi capitano, e i vari Antei, Montini, Caprari, Ciciretti, Sabelli. L'anno prima con molti di quei ragazzi avevamo vinto lo scudetto Allievi, con Stramaccioni in panchina. Eravamo un gruppo fantastico, tutti di Roma e provincia. Quello con cui sono rimasto più in contatto è Caratelli, che ha smesso: meritava di più, sia come calciatore che come persona. Ma sento ancora anche Politano e Piscitella. Che ha giocato a lungo in C, e non capisco perché: per me ha le qualità per fare molto di più. Ora è in B, col Carpi, spero dimostri il suo valore».

Con quegli Allievi, c'era stato un lungo testa a testa con la Fiorentina. A dicembre scontro diretto a Fiesole, entrambe le squadre imbattute, con gli stessi punti. La Fiorentina va sul 2-0, voi rimontate, e andate sul 2-3 a tempo scaduto. E nel tempo di recupero tu parti palla al piede, dribbli tutti e arrivi nell'area avversaria....
«Poi alla fine ho perso palla. E ho fatto fallo, per evitare che ripartissero, e facessero gol. Ma il mister non si è arrabbiato. Mi ha detto: ‘Tutto bello... ma magari passala prima la prossima volta'. Avevo fatto 80 metri palla al piede. L'ho rifatto anche in B, contro il Frosinone, quando giocavo col Trapani: quella volta l'ho passata prima, a Manconi, e per poco non facevamo gol. Contro il Cluj, qui in Romania, invece ho fatto un assist: c'era una punizione nella nostra metà campo, l'attaccante mi ha fatto cenno che sarebbe partito, e gliel'ho calciata sui piedi. E abbiamo segnato».

Altri rigori a favore, dopo quello che hai segnato?
«Ce ne hanno dato un altro, sempre in una partita contro la Steaua. Lo hanno fatto battere al capitano, che non aveva mai tirato, e ha fatto gol. Va benissimo così».

È l'anno in cui ti stai divertendo di più, nella tua carriera?
«Penso di sì. Da italiano, prima di lasciare mamma e papà e andare all'estero, ci pensi sempre parecchio. Ma mi si è aperto un mondo. Ho tutto quello che mi serve, vedo lo stadio dalla finestra di casa: mi è sempre piaciuto stare comodo per gli allenamenti, qui posso andarci a piedi. Abbiamo un tifo clamoroso, ma nessuno ti dà fastidio se perdi, o ti ferma per strada. Tenendo da parte la Roma, sono stato benissimo anche a Frosinone, con tutto che non è finita bene. Vivevo a Rignano Flaminio, prima di traslocare nel pensionato di Trigoria, ma mia madre è di origine ciociara, avevo tanti parenti in zona. La squadra era appena salita dalla C, con Stellone fu un anno fantastico».

Chi è stato il tecnico che ti ha insegnato di più?
«Quello che mi ha fatto giocare di meno. Di Francesco, a Sassuolo. La società voleva vincere il campionato, io avevo 18 anni e ho fatto una sola presenza. Ma quell'anno sono diventato giocatore. Quest'anno a Roma il mister ha avuto delle difficoltà, che abbiamo visto tutti, ma secondo me è un grandissimo allenatore, che farà sicuramente carriera. Ma si sa come vanno le cose, quando non arrivano i risultati. Stimo molto anche De Zerbi, anche se non ci ho mai lavorato».

Perché ci hai detto che la Roma è un discorso a parte?
«Perché è un pezzo di vita, un pezzo di cuore. Ci ho giocato otto anni, ho ricordi bellissimi, indimenticabili. Gli scudetti vinti nelle giovanili, gli ultimi due anni da aggregato in prima squadra, la prima convocazione. Ho ancora la maglietta a casa: mi pare fosse una partita in Champions League, venni convocato ma poi andai in tribuna. Ricordo a Verona, contro il Chievo (primo maggio 2012, 0-0, ndr), giocò Curci: lì un po' avevo sperato di giocare, il campionato era finito. Per un ragazzo che ha fatto tutte le giovanili, e vinto due scudetti, che magari non contano nulla, ma sempre due scudetti sono, per uno che è vissuto dentro Trigoria, sarebbe stato bello, e importante. C'era Luis Enrique, quell'anno: per il suo modo di giocare sarei andato benissimo. Ma forse ha avuto proprio il modo, di pensarci: era un periodo delicato, non c'era tempo per pensare a fare felice un piccoletto».

E sei andato via.
«Era il periodo del cambio di società, c'erano altre priorità. Avevo il contratto fatto a 16 anni, che sarebbe scaduto quando ne avevo 19. Non ho chiesto niente a nessuno, non mi hanno chiamato per il rinnovo. E ho firmato per il Parma, che mi ha dato in prestito al Sassuolo. La Roma in cui mi ero affacciato per gli allenamenti era una Roma di romani, poi c'è stato il periodo dei tanti stranieri. Adesso però vedo un'aria diversa, mi sembra che pian piano i romani stanno tornando. Forse ero capitato nel periodo sbagliato. Con Ranieri avevo fatto un ritiro precampionato, a Riscone di Brunico. Ho il rimpianto di non aver mai giocato una partita ufficiale con la Roma, dopo tutti quegli anni nel vivaio. E di non aver mai giocato con due campioni come Totti e De Rossi, anche se mi sono allenato con loro tante volte. Della Roma, in televisione, non mi perdo mai una partita».

Da portiere, che idea ti sei fatto del cambio tra i pali?
«Non è mai facile cambiare un primo portiere, ma Olsen ormai era andato in difficoltà. E vedendo le prime partite di Mirante, Ranieri ha avuto ragione. Poi Antonio lo conosco, abbiamo fatto insieme un paio di ritiri, con il Parma, ogni tanto ci sentiamo. Un ragazzo eccezionale, molto umile, oltre che un grande professionista. Uno di quelli che nel gruppo diventano subito indispensabili».

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Quanto conta l'altezza per un portiere?
«Io sono alto 1,83. E qualche giudizio troppo frettoloso, per questo l'ho sentito. Facevamo i test, riuscivo a staccare 60 centimetri, da fermo. Perché uno alto 1,90, che magari ne stacca 20, deve essere migliore di me? Chi lo ha detto? Con la mia reattività, le palle alte le ho sempre prese. Da ragazzo avevo come modelli portieri come Peruzzi e Iker Casillas, ora non c'è un portiere in cui mi rivedo particolarmente. Ma se vedo Keylor Navas, non mi sembra certo un gigante. E ha vinto tre Champions League di fila...».

Ti manca, la serie A italiana?
«Ti ho detto, qui sto benissimo. E ho un contratto fino al 2023. E se devo tornare per giocare di nuovo in serie B, in questo momento dico: ‘no, grazie, resto qua'. Per la serie A sarebbe diverso, quella proverei volentieri. Ma qui le sto giocando tutte, non è che abbia tutta questa voglia, di venire a fare di nuovo il dodicesimo. Certo, poi dipende molto anche dalla squadra...».

E se quella squadra fosse proprio la Roma?
«Non hai capito. Se chiama la Roma, io vengo a piedi...».

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