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Emerson Palmieri: «Vi spiego Conte e Sarri. A Roma più impazienza che al Chelsea»

L'ex giallorosso: «Antonio da voi? Ne sarei felice, è un grande allenatore. De Rossi mi ha aiutato a rialzarmi. Lo Stadio va fatto, non è solo questione di soldi»

Emerson Palmieri sui campi di allenamento di Cobham

Emerson Palmieri sui campi di allenamento di Cobham

02 Aprile 2019 - 12:00

A Cobham, qualche chilometro a sud-ovest di Londra, ci si va con un treno direttamente dalla stazione di Waterloo. Appena scesi dai vagoni si nota già la principale attrazione locale: il centro sportivo del Chelsea. Quasi stupisce il contatto diretto con un luogo così inaccessibile, con lo sguardo che, dal ponte pedonale che scavalca la ferrovia, può facilmente curiosare nei campi di allenamento dei Blues, mal protetti da un telone di plastica verde. L'allenamento pomeridiano diretto da Sarri è finito da poco e ad attenderci all'interno della struttura c'è uno dei due ex romanisti in forza alla squadra, Emerson Palmieri. L'italo-brasiliano è arrivato nella sessione di mercato invernale della scorsa stagione (doveva arrivare anche Dzeko, ma saltò tutto all'ultimo) ed è stato allenato per sei mesi da Conte, giusto il tempo di vincere una FA Cup. Poi, da questa stagione, Maurizio Sarri ha preso la guida dei Blues e tra pochi alti e molti bassi sta lottando per ottenere un posto in Champions. I due sono, guarda caso, i tecnici al momento più quotati per ricostruire le fondamenta della Roma a partire dalla prossima stagione.

La vista dal cavalcavia della stazione di Cobham, con il centro sportivo del Chelsea sulla destra

Di fronte all'idea di un eventuale ritorno di Conte in Italia, ma sulla panchina della Roma, Palmieri sorride: «Mi auguro che questa cosa succeda e se accadrà sarò felice». Su Sarri, almeno durante l'intervista, non si sbilancia, ma poi passeggiando sui campi di allenamento lascia intendere che, se non otterrà la Champions, all'ex Napoli sarà indicata la porta d'uscita così come è stato fatto con Conte. Lo sa anche sua nonna in Brasile. Proprio come a Roma, Emerson ci ha messo un po' per guadagnarsi un posto sul campo, ma proprio adesso che sembrerebbe esserci riuscito Mancini non lo ha richiamato in Nazionale. E sulla pressione avvertita a Roma ammette: «A Londra è meno difficile». Ma dimmi tu.

Come è cambiato l'Emerson Palmieri di Londra rispetto a quello di Roma?
«Penso di essere migliorato in tante cose. Quando sono arrivato a Roma già ero cresciuto molto rispetto al mio arrivo a Palermo. La Premier League è differente: principalmente sono migliorato nel giocare con più intensità».

Se dovessi guardarti fra due anni come ti vedi?
«Cerco di vedermi giocando. In forma, bene fisicamente. Non è facile rispondere, non so scrutare nel futuro. Mi aspetto di essere felice».

Sarri come allenatore si è visto molto bene a Napoli e in parte a Londra. E il Sarri uomo com'è?
«Ha dimostrato di essere un grande allenatore. Ha un carattere forte, una buona personalità. Allo stesso tempo, pur rimanendo sempre umile, pensa costantemente a come raggiungere gli obiettivi. Noi il nostro mister lo vediamo così».

Le strutture del Chelsea

C'è fiducia per la parte finale della stagione?
«Prima di lui c'è stato Conte, che ha vinto alla sua prima stagione. Ma sapevamo che il primo anno di Sarri sarebbe stato difficile, perché ha dovuto abituarsi al calcio inglese. È accaduto anche a Guardiola al primo anno al City. Noi abbiamo fiducia nel suo lavoro, dobbiamo fare di tutto per essere tra le prime quattro squadre e andare in Champions League».

Siete anche in piena corsa per arrivare in fondo all'Europa League.
«È un torneo importante, dà motivazioni. Dopo la Champions, il più importante in Europa. Dobbiamo giocarci tutte le nostre carte anche lì. Ogni partita sarà una finale, sia in campionato, sia in Europa League. Mi piacerebbe vincerla».

A Londra c'è la stessa impazienza per i risultati che c'è a Roma?
«No, a Roma è un po' più difficile. In Italia i tifosi sono così, molto appassionati. Qui abbiamo una certa pressione, ma è diverso. È un qualcosa che cambia da posto a posto, credo».

Entrambi gli allenatori che hai avuto al Chelsea, Conte e Sarri, sono accostati di continuo alla panchina della Roma per la prossima stagione. Come ti sembrerebbe un ritorno in Italia per Conte, in giallorosso?
«Guardo questa situazione come una cosa buona. Conte ha dimostrato già di essere un grande allenatore. Ho lavorato con lui solo sei mesi, però ho visto che è un grande. E la sua carriera lo dice. Guidare la Roma sarebbe anche per lui una bella cosa... Per me la Roma è speciale, io mi auguro che questa cosa succeda e se accadrà sarò felice».

Di lui si dice a volte che è un allenatore più incentrato sulla motivazione e sul carattere che sulla tattica.
«Non è vero, è anche un allenatore molto tattico. Qui, quando avevamo una settimana intera di allenamenti, facevamo moltissima tattica. Ma è anche un tecnico che prova a spingerti al massimo. È un allenatore completo».

Palmieri durante l'intervista negli studi del reparto media del Chelsea

Quali differenze hai incontrato nel lavorare con ognuno dei due?
«Sarri è un allenatore per il quale la tattica è tutto, ci lavora ogni giorno. Conte fa un gioco più diretto, vuole arrivare alla porta avversaria il più velocemente possibile. Sarri invece mette nella nostra testa che abbiamo 90 minuti, perciò abbiamo imparato a sfruttare tutto l'arco della partita, facendo sempre il nostro gioco. Non cambia se stiamo vincendo o perdendo».

E nel rapporto col gruppo?
«Sono simili. Due che lavorano duramente. Hanno una personalità particolare. Il rapporto col gruppo dei due è quasi lo stesso».

La moka in campo se la fa portare anche qui?
«No, al Chelsea niente caffè e niente sigaretta. Vietato...».

Conte, Sarri, Ranieri... Perché gli italiani sono così ricercati in Premier?
«Forse perché a volte alle squadre manca una vera preparazione tattica. Spesso si gioca solo con l'intensità, grazie a giocatori che fisicamente sono dei mostri. Allora a volte hai bisogno di una mossa tattica. Per me gli allenatori italiani in questo sono i migliori al mondo».

Quanto devi nella tua vita a Walter Sabatini?
«Tanto. Tanto. Senza di lui... Come fa un giocatore che faceva la panchina a Palermo ad arrivare a Roma? Si è fidato molto di me e se oggi sono al Chelsea lo devo a lui. Lo porterò dentro per sempre».

A Roma arrivasti tra lo scetticismo generale, ora sei in un top club della Premier. Quanto conta saper aspettare per giudicare il lavoro di un direttore sportivo?
«Non è un lavoro facile, io gli do molto valore. Devi portare una grande responsabilità sulle spalle. Bisogna sempre dare fiducia perché un direttore sportivo vuole sempre il meglio per la sua squadra».

E di Monchi che idea ti sei fatto?
«La stessa. Anche lui ha fatto un buon lavoro in giallorosso. Spesso a Roma non c'è la pazienza di aspettare. In Italia, nel calcio, vogliamo che tutto sia fatto per oggi stesso. Monchi stava facendo un buon lavoro, ha già dimostrato di essere un grande direttore. E nel complesso credo abbia fatto un buon lavoro».

Tu potevi essere qui con Dzeko.
«Di questo anche io sono rimasto sorpreso. Pensavo che Edin sarebbe venuto a Londra assieme a me. All'ultimo secondo sono cambiate delle cose e purtroppo non è venuto. Mi avrebbe fatto piacere averlo qui».

È vero che hai seguito la semifinale di Champions tra Roma e Liverpool con Rudiger?
«Non insieme, ma ci siamo scritti per tutta la partita al telefono e abbiamo parlato con FaceTime».

Avete un bel rapporto?
«Ah, quello dai tempi di Roma. Un bellissimo rapporto. Anche qui siamo grandi amici, così come le nostre mogli... Per me è quasi un fratello. È incredibile, non si ferma mai, scherza sempre».

Una panchina con lo stemma dei Blues

E a Roma con chi sei rimasto in contatto?
«Ho avuto e ho tanti amici a Roma. In Nazionale ho rivisto Florenzi e Pellegrini. Poi parlo con Daniele, su WhatsApp... E poi i brasiliani: Alisson, Gerson, Bruno Peres, Castan, Maicon... A Roma ho conosciuto dei grandi amici».

Chi è per te De Rossi?
«È un capitano. Questa parola basta e già dice tutto. Lo è sia fuori che dentro al campo, una grande persona. Lo devo ringraziare tantissimo perché, dopo tutto quello che è successo, con l'espulsione col Porto ai preliminari... Senza il suo aiuto sarebbe stato difficile».

Era già capitano quando c'era ancora Totti?
«Totti dei due era quello più tranquillo, negli spogliatoi non parlava tanto. La sua semplice presenza bastava a renderlo un leader. De Rossi invece faceva quello che Totti non faceva molto, cioè parlare con tutti, aiutare i più giovani... Per questo erano una bella coppia di capitani, erano complementari».

In Nazionale non sei stato convocato, ma agli Europei ci pensi...
«Certo! Questa mancata convocazione per me è acqua passata. Guardo già a giugno: esserci agli Europei è il mio obiettivo».

Non ti sei pentito di aver scelto l'Azzurro?
«No, no. Ho aspettato quattro o cinque mesi prima di prendere questa decisione. Perciò quando l'ho fatto ero sicuro e felice, certo in cuore che fosse la scelta giusta».

Quali sono le principali differenze nella vita quotidiana qui al Chelsea rispetto a Roma?
«A Roma il centro sportivo era più vicino a casa mia, a dieci minuti. A volte non passavo tutto il giorno lì, come invece accade qua. Qui arrivo per il pranzo, a volte ceno pure, o faccio colazione quando l'allenamento è la mattina. Abbiamo una bella struttura qui a Cobham, possiamo fare così ogni giorno, godercela. Esco di casa la mattina e torno la sera».

E Londra?
«Londra è una città quasi completa. Manca solo il sole, a volte. Quando c'è il sole per me è la città perfetta, si può fare tutto. Anche a mia moglie piace molto... È la città che mi aspettavo. Se voglio parlare di un sogno, parlo di Londra».

Il Chelsea ha un suo stadio di proprietà. A Roma se ne parlava da ben prima del tuo arrivo e ancora non si è iniziato a costruire. Che opinione ti sei fatto di tutta questa vicenda?
«Io faccio il tifo perché si costruisca presto. Per la squadra e per la città sarebbe una cosa molto, molto bella. La Roma lo merita. Aspettiamo... Per noi giocatori cambia tutto, non è solo una questione di ricavi. Cambia l'atmosfera, lo senti come casa tua. È un fattore mentale che fa la differenza».

La scritta fuori dalla reception del centro sportivo

Secondo te la Roma può arrivare a essere un top club europeo nei prossimi cinque anni?
«Il problema è questo: cinque anni fa si diceva la stessa cosa. Ora si parla di altri cinque anni... Alla Roma a volte succedono cose che non capisci. Per questo non si riesce a fare il salto di qualità. Io voglio bene alla Roma, mi auguro che possa crescere non fra cinque anni, già il prossimo anno. La tifoseria lo merita».

Per cose che non capisci intendi in campo, o anche decisioni prese dalla società?
«Tutto, ma a volte è troppo facile parlare solo della società. Le partite si vincono in campo. E io mi ci metto dentro, ero lì due anni fa. Abbiamo perso il campionato per quattro punti contro la Juventus. I giocatori possono fare di più».

Tu sei l'emblema dell'ambiente di Roma: accolto con scetticismo, sei andato via dopo poco e qualcuno ha additato la tua operazione come un sintomo dello smembramento della rosa.
«Roma è così. Ma nonostante questo è bellissimo giocarci. Vincere lì sarebbe stato un sogno».

Il 28 maggio 2017. Racconta.
«Un lungo giorno. Cominciato con questa situazione dell'addio di Totti. Poi mi sono fatto male. Ma non potevo andare all'ospedale e perdermi l'ultima partita di un campione così. Ciò che ho passato lì, quei momenti, lo ricorderò per sempre perché è stato una cosa mai vista. Tutta quell'emozione, quell'atmosfera... Per me è stato un sogno giocare con un campione così. È difficile da descrivere. Quel giorno è stato come delle montagne russe, è iniziato bene, poi male e poi sono andato all'ospedale con il crociato rotto, ma felice per aver dato un abbraccio a Totti».

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