AS Roma

Tra Verona e Empoli la minima differenza

Che cosa è cambiato dalla sconfitta del Bentegodi alla vittoria dell'Olimpico? Niente nella costruzione, tutto nella fase di finalizzazione. E Dybala + Lukaku

Dybala esulta dopo il rigore trasformato

Dybala esulta dopo il rigore trasformato (GETTY IMAGES)

PUBBLICATO DA Daniele Lo Monaco
19 Settembre 2023 - 08:15

Bellezza e misteri del calcio. Succede così che la Roma costruisca contro l’Empoli un po’ meno di quanto non abbia fatto con Salernitana e Verona, eppure realizzi addirittura sette gol tutti insieme, scrivendo nuovi record contemporanei, e metta di colpo tutte insieme a tacere le voci di una presunta difficoltà a trasformare in vino l’acqua di ogni costruzione tattica. La differenza - davvero abnorme - sta in un valore che in questi anni abbiamo imparato a conoscere, quello dei cosiddetti gol attesi, il riferimento numerico che si può dare cioè al numero di gol che la potenzialità delle azioni costruite avrebbe dovuto garantire: 2-1 per la Roma sarebbe dovuta finire a Verona ed è finita al contrario. 2,5 a 0 domenica ed è finita 7-0.

Per la prima volta, infatti, la Roma ha fatto segnare un valore di xg decisamente superiore a quello che avrebbe meritato: 7 contro 2,49. Teoricamente la questione avrebbe una spiegazione quasi scientifica: nel momento in cui sono scesi in campo giocatori delle capacità di Dybala e Lukaku per la prima volta insieme con la maglia giallorossa all’improvviso è cambiato il vento. In settimana avevamo ad esempio trattato il tema sul Romanista ricordando come facendo semplicemente riferimento all’ultima stagione Dybala e Lukaku avessero garantito un numero ben superiore di gol rispetto a quelli attesi a differenza di quanto non fosse accaduto con Belotti che è rimasto invece su uno standard decisamente inferiore. Col Verona la Roma ha tirato 23 volte verso la porta costruendo 17 occasioni (dati Lega Calcio). Con l’Empoli 14 tiri e 10 occasioni. E si è pure giocato 10 minuti in più che al Bentegodi.

Il fattore casualità
Eppure abbiamo anche gli elementi per dire che nella vittoria con l’Empoli abbia avuto un ruolo anche la casualità, sottoforma ad esempio del fallo di mano di Walukiewicz dopo appena 34 secondi di gioco e senza alcuna pressione avversaria che ha consentito alla Roma di andare in vantaggio (e contare subito su un 0,7 di gol attesi, il parametro che si da ad ogni calcio di rigore tirato). Così come il contrasto sfortunato tra Bereszynski e Grassi non ha alcun valore di xg ma ha di fatto chiuso la partita dopo che Renato Sanches aveva già aumentato il vantaggio maturato. Tutto questo, insomma, non serve a ridimensionare la vittoria esaltante conseguita sul derelitto Empoli di Zanetti, ma solo a far capire come a volte sia facile assegnare agli allenatori patenti di incapacità, o super capacità, che invece sarebbe più corretto semmai assegnare sul lungo percorso e non sul responso di ogni singola partita. 

Il vantaggio del calendario pieno
Con la pancia piena dei sette gol realizzati diventa invece persino più semplice parlare del lavoro complicato che aspetta Mourinho in vista dell’ambizioso obiettivo di inserirsi, non gradito ospite, nel salotto buono delle prime quattro del campionato italiano, dove reclamano un posto anche Napoli, Inter, Milan, Juventus e Lazio. La Roma vista con l’Empoli almeno dal punto di vista potenziale è sicuramente una grande squadra che però per essere realmente tale ha indubbiamente bisogno del rodaggio fisico-atletico dei suoi giocatori più in vista. Domenica per la prima volta sono stati schierati tutti insieme cinque nuovi acquisti, mentre Aouar è rimasto ai box per rifinire la preparazione e Azmoun è entrato solo per la passerella finale. Questo significa che solo giocando, e tutti insieme, con la frequenza che adesso il calendario garantisce, sarà possibile dare forma definita ad una squadra che deve al più breve al più presto togliersi di dosso l’etichetta di valore potenziale per abbracciare il valore reale. 

Dove si deve migliorare
Per farlo bisogna lavorare in due diverse direzioni: da una parte la questione fisica e atletica, dall’altra quella tecnico-tattica. Se nel primo caso il compito è affidato agli specialisti della materia quali sono i preparatori della Roma, e anche al susseguirsi degli impegni agonistici, dall’altra siamo nelle mani di un signore la cui carriera è costellata di miracoli di ogni genere. Di certo rendere questa squadra stabilmente vincente è l’impresa più difficile della sua carriera e il bello è che Mou ci è già (quasi) riuscito. E quest’anno ha la sfida più affascinante. Parlare dei difetti dopo una vittoria larga, ad esempio, è esercizio molto produttivo. E infatti Mou non si è detto soddisfatto totalmente della vittoria contro i toscani.

A ben guardare, infatti, ci sono degli aspetti su cui sarà opportuno lavorare meglio adesso che Trigoria si è nuovamente popolata di tutti i suoi abitanti. Relativamente alla fase di possesso palla, bisognerà trovare il modo di rifinire meglio la costruzione dal basso, al momento ancora affidata alla casualità dei sentieri estemporanei trovati dai giocatori. Mancano ancora, ad esempio tutti quei codici di riconoscibilità che un allenatore dà ai propri giocatori per farli sentire più sicuri nel momento in cui si tratta di attirare gli avversari in pressione alta per colpirli poi nel loro lato debole. È questione di posture, di conduzione diagonale o verticale e fino a che punto e in quali momenti, di possesso con la suola piuttosto che con l’interno del piede (per un doppio vantaggio: quello di attirare una pressione più forte e di non dare indicazioni sulla direzione che si vuole prendere con il pallone) e magari di qualche studiata rotazione che consente di uscire con palleggi di prima su corridoi immaginari eppure chiaramente riconoscibili a chi sul tema si è esercitato parecchio. Ci sono inserimenti su cui bisognerà ancora lavorare. L’esordio di Ndicka è stato poi favorito dall’impegno indubbiamente non complicato, ma necessita di più importanti collaudi. Come Kristensen, anche l’ivoriano ha bisogno di lavorare di più negli smarcamenti e negli allineamenti con il resto del reparto sugli attacchi avversari, ma è ad esempio intanto confortante la sua capacità di interventismo soprattutto sulle palle alte in un reparto già ben fornito di suo. Delle potenzialità e dei limiti della coppia di centrocampo Paredes-Cristante si è già detto molto, forse anche troppo.

La partita con l’Empoli (ma a nostro avviso anche il primo tempo di Verona) ha dimostrato invece come l’argentino conosca perfettamente ritmi e potenzialità del ruolo di regista e che Cristante negli inserimenti più vicino alla porta avversaria può essere un fattore in grado di spostare un pronostico. Ma non per questo ci si dovrà innamorare di una formula piuttosto che di un’altra. Dei sei centrocampisti a disposizione di Mourinho, solo Bove (ma solo per la giovane età) sembra oggi nella considerazione dell’allenatore un filino più indietro degli altri. Ma c’è adesso il grande vantaggio di poter decidere di volta in volta la formula più adatta alla partita e agli avversari.

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