AS Roma

Nel mondo di Mourinho tutto torna

Alla scoperta dell’universo dello Special one attraverso la lettura del più informato tra i libri che gli sono stati dedicati

José Mourinho al termine di Roma-Spezia

José Mourinho al termine di Roma-Spezia (GETTY IMAGES)

PUBBLICATO DA Daniele Lo Monaco
02 Luglio 2023 - 10:50

Caro, immutabile, tenero, irascibile, strepitoso José Mourinho. Più scavi nella sua vita, più ti rendi conto quanto avere Mourinho sulla panchina sia uno straordinario valore aggiunto anche se non tutti sono d’accordo sull’esattezza del suo percorso. La lettura di quello che indubbiamente è il più interessante libro che sia mai stato scritto sul portoghese - Mourinho, tutte le sfide, le lotte e i successi dello Special One, edito in Italia da Rizzoli e scritto da Robert Baisley - ci ha precipitati in un mondo affascinante ma in qualche modo già conosciuto, che è comunque interessante “ripassare”, pieno com’è di cose inedite o poco conosciute, di dettagli teneri e privati, ma anche esplosivi e pubblici, così pure di cose già viste e ripetute nel tempo, utili comunque a tratteggiare la dirompente personalità dell’uomo che ha fatto innamorare tutta Roma, o quasi. Oggi e domani vi presenteremo una serie di spunti.


Le polemiche con Frisk
 In uno dei primi capitoli, ad esempio, si tratta il tema dell’idiosincrasia tra l’allenatore portoghese e gli arbitri scarsi, spesso criticati duramente, tema ferocemente attuale. Nel 2005, ad esempio, in molti addebitarono a Mourinho il ritiro di Anders Frisk, uno dei direttori di gara all’epoca più celebrati, che era stato attaccato da Mourinho in seguito ai veleni per la disputa tra il Chelsea e il Barcellona. Quando i londinesi stavano vincendo 1-0, al 55’ l’arbitro espulse Drogba in seguito a un contrasto con il portiere avversario, Victor Valdes. Drogba, già ammonito, incassò un secondo cartellino giallo e fu costretto quindi a lasciare il campo e il Barcellona ribaltò il risultato. In più dopo la partita il Chelsea presentò un esposto ufficiale all’Uefa affermando che all’intervallo l’allenatore del Barcellona, Frank Rijkaard, era stato visto a colloquio con Frisk nello spogliatoio dell’arbitro, cosa che i due peraltro negarono. In seguito a quelle dure polemiche Frisk ricevette una serie di minacce che lo spinsero ad abbandonare l’attività. Così la prese Völker Roth, capo della commissione arbitri dell’Uefa: «Sono gli allenatori a fomentare le masse, spingendole addirittura a minacciare la gente di morte. È inammissibile che uno dei nostri arbitri migliori in assoluto sia stato costretto a dimettersi per una cosa simile. La gente come Mourinho è nemica del calcio». José fu squalificato per due turni per aver “disonorato il calcio” e fatto “affermazioni false”. Nonostante la squalifica, Mourinho non volle perdersi la preparazione della partita con il Bayern Monaco, che il Chelsea vinse 4-2. Nel libro, viene ricordato come “José sarebbe stato talmente deciso a non abbandonare la sua squadra ad essersi spinto al punto di sfidare la sentenza dell’Uefa, introducendosi di soppiatto negli spogliatoi con largo anticipo sul calcio d’inizio, e poi facendosi trasportare fuori prima del fischio finale nascosto in un cesto della biancheria». Non vi ricordano le polemiche recentissime sui quattro turni di squalifica presi in seguito alle proteste per la prova di Taylor? A proposito dell’arbitro inglese nel libro si parla di lui per un’altra polemica che riguardò il tecnico portoghese, “in seguito a un pareggio con il Southampton nel 2014, quando Fabregas entrato nell’area dei Saints fu sgambettato da Matt Targett eppure l’arbitro Taylor non concesse rigore; al contrario, premiò il Southampton con un calcio di punizione e ammonì Fabregas per simulazione. Mourinho definì scandalosa la decisione arbitrale e cominciò a parlare di una campagna ordita ai danni del Chelsea dei cronisti televisivi, dei commentatori sportivi, persino degli allenatori delle altre squadre, campagna che metteva enormi pressioni sui direttori di gara disegnati per le sue partite. C’è una chiara campagna in atto, disse, non so perché e francamente non mi interessa. Esercitano pressioni enormi sugli arbitri spingendoli a commettere errori come quello di oggi che c’è costato due punti”.


Le medaglie regalate
Chi non avesse compreso il senso del gesto compiuto da Mourinho a Budapest, quando regalò a un giovane tifoso la medaglia del secondo posto, può tornare indietro di qualche anno, alla primavera del 2006, quando il Chelsea conquistò il titolo per il secondo anno consecutivo. “Alla consegna dell’ambitissimo trofeo”, scrive Baisley, “seguirono fuochi d’artificio, una pioggia di coriandoli e gloriosi giri d’onore. Una giornata memorabile da ogni punto di vista. Per completare lo spettacolo Mourinho lanciò la propria medaglia verso il Matthew Harding Stand, regalando un a un fortunato tifoso un ricordo unico e prezioso della vittoria”. Dunque Mourinho era solito regalare le medaglie, anche quelle d’oro a dei tifosi. Poi per un periodo, almeno in riferimento alle medaglie vinte, ha smesso di regalarle al pubblico. Volete sapere il motivo? È a pagina 263 del libro: “José junior (figlio maschio di Mourinho, ndr) è anche il motivo per cui Mourinho ha smesso di lanciare le sue medaglie sugli spalti. Il figlio aveva cominciato a collezionare i souvenir dei suoi trionfi, perciò adesso tutti i premi e riconoscimenti spettano a lui. Persino Matilde (la figlia femmina, ndr) ha dovuto lasciargli la precedenza in quest’ambito. Nel 2015, dopo che l’uno a zero in casa contro il Christal Palace gli aveva garantito l’ottavo titolo in 12 anni, Mourinho consegnò a lei la medaglia per la vittoria in Premier League, ma solo perché José non aveva potuto assistere alla partita, e con la premessa che Matilde l’avrebbe consegnata al fratello. Lo disse anche in conferenza stampa nel post partita: «Oggi mio figlio non c’era, ho affidato la medaglia a mia figlia, ma lei sa che dovrà lasciarla a lui». 


La lite con Abramovich
I rapporti con i suoi presidenti non sempre sono stati idilliaci. C’è ad esempio un intero capitolo dedicato al primo licenziamento di Mourinho al Chelsea, “quando Abramovich arrivò a mettere un dirigente tecnico, Avram Grant, in una posizione superiore alla sua, con il titolo di Director of Football e un posto in consiglio di amministrazione. Era un chiaro affronto al tecnico in carica, ma Mourinho abbozzò”. (...) “Abramovich licenziò Mourinho nel corso del terzo anno, nonostante un percorso davvero memorabile. In 185 partite, il portoghese aveva raccolto 124 vittorie e 40 pareggi, con appena 21 sconfitte. In casa non aveva mai perso un incontro di campionato, aveva portato due titoli di Premier League, due coppie di Lega, una Fa Cup e un Community shield nella bacheca dei trofei del Chelsea, prima spoglia e polverosa. Inoltre era arrivata a un passo dalla massima gloria europea, con due semifinali di Champions League”. José ci rimase malissimo: «È stata l’esperienza più dolorosa e mortificante della mia vita, ne soffro più che per qualsiasi cosa mi sia mai capitata. Amavo davvero la famiglia del Chelsea. Se ho pianto? Ammetto di sì… Ma la prima lacrima l’ho asciugata subito e le altre le ho soffocate. Se mi sento in colpa per il divorzio con Abramnovich? Assolutamente no, sono José Mourinho con tutte le mie qualità e i miei difetti, non voglio cambiare perciò non mi sento in colpa. Loro non mi hanno esonerato, io non me ne sono andato sbattendo la porta, abbiamo deciso di comune accordo. Il rapporto si è logorato con l’andare del tempo». Poi però verrà ripreso qualche anno dopo quando Abramovich si convinse a richiamarlo. 


Il sogno Nazionale
Allenare una Nazionale è un’ambizione che Mourinho ha sempre avuto. Proprio quando fu cacciato dal Chelsea, sfruttò in qualche modo proprio l’autore del libro, Robert Beasley, per farsi in qualche modo introdurre presso il vertice della federcalcio facendo balenare l’idea che potesse accettare l’impiego di c.t. della nazionale anche se in federazione nessuno ci aveva ancora mai pensato. La storia è divertente e viene raccontata in ogni particolare, e dopo un approccio indiretto le cose si misero in una maniera tale che le due parti a un certo punto erano davvero vicine. Ma poi intervenne l’Inter con la sua irrinunciabile offerta a rompere l’idillio. Lo scorso inverno ci ha provato il presidente della federcalcio portoghese, Mou è stato lusingato dall’offerta ma alla fine ha rinunciato. 


Il progetto da zero
E chi pensa che la Roma sia stata la società meno blasonata tra quelle che hanno offerto una panchina a Mourinho così carico di gloria, in realtà non sa che a un certo punto della sua carriera, quando ha lasciato il Real Madrid, lo Special One ha accarezzato l’idea di provare a costruire un percorso con una società non di primo piano proprio attirato dall’idea di cominciare da zero. Questa società, scrive Beasley nel libro, era il Millwall. “Nel corso degli anni”, ricorda l’autore, “José mi ha parlato spesso del suo bisogno di impegnarsi in un grande progetto, del sogno di costruire una squadra da zero per portarla ai vertici”. In qualche modo l’offerta della Roma deve avergli stimolato anche qualche corda di questo tipo. 


I legami con i calciatori
Quando si parla invece di legami che l’allenatore portoghese riesce a stabilire con i suoi giocatori si fa spesso riferimento al pianto condiviso con Materazzi la sera in cui dopo aver vinto la Champions League con l’Inter comunicò alla squadra di aver deciso di accettare la proposta del Real Madrid. Ma non è solo Materazzi ad essere particolarmente legato a lui. Nel libro si parla di “spiriti affini, uomini animati dalla sua stessa intensità e passione”, e si citano alla rinfusa Didier Drogba, John Terry, Frank Lampard, Peter Cech, Leslie Sneijder, Zlatan Ibrahimović, Javier Zanetti, Riccardo Carvalho, Michael Essien, Mesut Özil e tanti altri. Quando nel 2010 viene insignito del riconoscimento di “World coach of the year” Wesley Sneijder dalla platea gli tributò un elogio particolare: «È stato un piacere lavorare con lui e voglio dirgli una cosa: per me è davvero il miglior allenatore al mondo». Questa storia dei riconoscimenti personali solletica spesso la vanità dell’allenatore portoghese. Beasley racconta nel libro di aver ricevuto diversi messaggi di protesta ogni volta che la Premier League premiava un allenatore del mese che secondo Mou non aveva raggiunto in quel periodo i risultati dello Special One... “A lui piace essere riconosciuto come migliore sempre e comunque ma non solo per una questione di vanità, lui risponderebbe che i premi sono soltanto il riflesso della sua eccellenza”. Nel 2014, insomma, si convinse che in Gran Bretagna ci fosse un disegno in atto per impedire di essere nominato allenatore del mese: «Fammi un favore», chiese a Beasley, «cerca di scoprire chi è che decide quella stronzata del premio di allenatore del mese. L’ultimo è andato a Pardew, che a novembre ha perso contro il West Ham, mentre io ho vinto tutto compresa la partita in trasferta contro il Liverpool, e pareggiato con il Sunderland. Non è normale, devo sapere chi è questa gente»

© RIPRODUZIONE RISERVATA

CONSIGLIATI