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I gradini della Curva Sud: un luogo sacro in eterno

Oggi come allora, una passione che fa tornare tutti come bambini Il rito dell’attesa, i pasti al sacco, l’apertura dei cancelli, l’ingresso, i cori: un unico cuore

La sciarpata della Sud in Roma-Cremonense

La sciarpata della Sud in Roma-Cremonense (MANCINI)

Mauro De Cesare
29 Agosto 2022 - 10:30

La nuova Roma, la Roma nuova, il nuovo Olimpico, l’Olimpico nuovo, che ti accoglie come accoglieva me e gli amici di una periferia popolata e polverosa alla fine degli anni Sessanta. Un sogno. O meglio: un sogno vissuto veramente, attimo dopo attimo. Ieri, oggi, domani. E oggi, somiglia meravigliosamente a ieri. Splendido. Ad maiora!

Noi, la “banda” del quartiere, tredici anni, neppure quattordici. Tutti figli di mamme che ci controllano dal balcone, i nostri genitori si conoscono, ognuno si fida degli altri compagni. Siamo una quindicina, la tessera dello “Junior Club” riservata ai ragazzi Under 13. Che bellezza: con 300 lire possiamo comprare il biglietto nella storica sede del Circo Massimo e andare lì, dove batte il cuore, nella Curva Sud. Sì, per noi un “luogo sacro”.

Domenica ore 11, si parte. Autobus, il 93 sulla via Cristoforo Colombo, cambio bus a Piazza Numa Pompilio, per i romani solo e semplicemente Caracalla, le terme di Caracalla o antoniniane, uno dei più grandiosi esempi di terme imperiali a Roma, ancora conservate per gran parte della loro struttura.
Si sale sul 90. Finestrini tirati giù, noi sporti fino alla cintura e le fiancate dell’autobus diventano un tamburo. Comincia la giornata. Comunque vada la partita torno a casa senza voce. Capolinea, piazzale Maresciallo Giardino. Olimpico lontano un chilometro. Di corsa, senza fermarsi mai. 
Il cuore in gola.
Arriviamo allo stadio, davanti al cancello a noi riservato. Mancano tre ore alla partita, è ancora chiuso. Comincia il tritatutto. E, per le spinte e la calca, panini, banane, arance e dolci, custodite dentro la busta di plastica, diventano un autentico frullato. Riesco a salvare a malapena qualche mezzo panino: un sopravvissuto. Ma non è un grande problema. Tanto non sarei riuscito a mangiare. Perché le “farfalle nello stomaco” sono talmente tante, che non ci entrerebbe neppure un morso di frittata di spaghetti.

L’attesa finisce: puntuale, partita alle ore 14.30, al Big Ben non si possono dare ordini. Si entra. È uno dei momenti che mi fanno chiudere la gola per l’emozione, un nodo strettissimo. Oggi, a mezzo secolo di distanza, non è cambiato nulla. Sul primo gradino della scala che ti porta nella Sud le gambe tremano come un navicella, sballottata dalle onde di un mare in tempesta. Vedi subito il campo, immenso, verde, di un verde accecante. Poi senti rumori amici e ti volti verso sinistra: il muretto 17, lo conosco bene da tempo, è riservato ai grandi, ai ventenni, ma anche di più. E quei tifosi, anzi ultrà, aspettano l’arrivo di Dante, carismatico cantore del tifo. L’attesa è sempre lunghissima, la partita dura un soffio, un refolo di vento, un attimo del ponentino romano. Eccolo Dante, ha parcheggiato la sua inseparabile Lambretta, a pochi minuti dall’inizio dell’avvincente “recita”: solito maglione, che alza sopra il maxi stomaco.

Parte il coro della curva: "Discorso, discorso, discorso...". Dante non si fa attendere o pregare: "Noi, popolo di eroi, popolo di sovrani, di artisti e conquistatori, dominatori del mondo, in alto i nostri colori... e daje Roma, daje". La risposta della curva: "Roma, Roma, Roma...". Batte il cuore, fischiano le orecchie. Un’ora prima del fischio d’inizio. Il resto? Le mille partite? I risultati? E il resto?...
C’è solo la AS Roma.

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