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La storia

Capitan Losi, il "Core de Roma" che viene da Cremona

Con la passione per la bicicletta, si fece notare dalle grandi squadre di A. Ancora giovanissimo la Cremonese lo cedette ai giallorossi. E lui non lasciò più quei colori

Giacomo Losi ospite allo Stadio Olimpico prima di una partita della Roma

Giacomo Losi ospite allo Stadio Olimpico prima di una partita della Roma

Vittorio Cupi
20 Agosto 2022 - 10:30

il 3 ottobre 1993, mentre la Cremonese stava battendo la Roma 2-1 allo Stadio Olimpico, Giacomo Losi aveva un volto contrariato. Era ospite di “Quelli che il calcio...”, prima edizione. Con 455 presenze in partite ufficiali in maglia giallorossa ed essendo da anni un simbolo romanista,Core de Roma” da tempo aveva solo la Roma nel cuore. Però se c’è un personaggio che lega la Roma e la Cremonese è proprio lui, che tra pochi giorni compirà 87 anni e il cui viaggio inizia proprio in provincia di Cremona. A Soncino, dove nasce il 10 settembre 1935 da mamma Maria, filandiera che perde il lavoro per via della ristrutturazione tecnologica del dopoguerra, e papà Pietro, operaio del consorzio agrario provinciale che si rifiutò di aderire al Partito Fascista e venne deportato in un campo di lavoro in Cecoslovacchia dove rimase per due anni. Pietro giocava a calcio, con la maglia numero 5, che Losi ha sempre voluto indossare in carriera ogni volta che ha potuto scegliere.

La sua prima scelta, però, era la bicicletta. La usava per portare munizioni ai partigiani, per andare a vedere il suo idolo Fausco Coppi, la usò anche in una domenica di precampionato del 1951. Si giocava Soncinese-Cremonese e il paese era diviso: per chi tifare, per la Soncinese o per il soncinese “Mino”, come da sempre veniva chiamato? La maggioranza era con Mino, i più intransigenti non abbandonarono la bandiera della Soncinese. Lui però la mattina partì in bicicletta per aggregarsi a una corsa ciclistica di dilettanti e rientrare giusto in tempo per l'inizio della partita. Stanchissimo, rimase quasi fermo in campo. "Ridateci i soldi!", urlò l’allenatore della Cremonese Ercole Bodini al tecnico della Soncinese Guglielmo Colombi, che glielo aveva segnalato e poi ceduto in campion di 500 mila lire. Così “Mino” iniziò il primo campionato di quarta serie con la Cremonese in tribuna.

Finché un giorno, col terzino titolare in preda alla febbre, fu richiamato direttamente dall’altoparlante, lui che era una mezzala. Corse negli spogliatoi, si cambiò, fu il migliore in campo, non uscì più fino al termine della stagione 1952/1953, quando la Cremonese sfiorò la Serie C. Fu segnalato anche all’Inter, con la quale disputò un paio di amichevoli senza essere preso. Nel frattempo, però, era diventato un terzino che stupiva tutti per la sua velocità e combattività. Il suo nome cominciava a girare tra gli addetti ai lavori. Il nome giusto, perché il suo esordio era stato sotto falso nome. Non avendo ancora 14 anni e quindi non potendo essere tesserato, giocò fingendo di essere un certo Bugli e rimanendoci anche male quando leggeva nei giornali locali di un certo Bugli che si prendeva tutti i suoi meriti, dato che le cronache ne lodavano le prestazioni. Il calcio ancora non era il suo primo pensiero, quello era sempre la bicicletta. "Mino lavorava come apprendista sarto nel piccolo laboratorio di mio fratello - ha raccontato la mamma Maria in una intervista a “La provincia di Cremona” nel 2001 - non era tagliato per i lavori pesanti. Ricordo che una volta volle fare il manovale per guadagnare qualche soldo, ma la sera aveva le mani tutte rotte". Con i soldi voleva comprarsi una bicicletta. Anche per questo aveva messo su con gli amici una squadra che avevano chiamato Virtus, prima di finire subito alla Soncinese con mister Colombo. 

Tornando al 1953, con la Cremonese a un passo dalla Serie C, è proprio in quei momenti che la sua storia in grigiorosso sta per finire. Il destino per lui aveva già scritto la parola Roma. Quell’Ercole Bodini allenatore della Cremonese, infatti, è il cugino di Renato Bodini. Sì, proprio, “quer torello de’ Bodini”, uno dei grandi protagonisti della Roma di Testaccio. Un cremonese purosangue che era tornato nella Capitale alla fine degli anni 40 come vice allenatore di Fulvio Bernardini e poi come tecnico del settore giovanile. Aveva girato informazioni precise al suo ex compagno di squadra Giorgio Carpi, nel frattempo diventato dirigente. Valeva la pena prendere quel giovane terzino allenato dal cugino. 

"Stavo facendo il bagno nel fiume Oglio - ha raccontato Losi - quando mio padre venne a dirmi che quelli della Cremonese mi stavano cercando. Andai al telefono pubblico, perché a casa, come la maggioranza delle famiglie, non avevamo il telefono. Mi dissero: 'Ti abbiamo ceduto a una squadra di Serie A'". Nelle casse della Cremonese, secondo le ingiallite cronache dell'epoca, finirono 8 milioni. Lui solo a Bologna, quando incontrò Giorgio Carpi, scoprì di essere stato preso dalla Roma. Non è più tornato indietro, se non per gli affetti più cari. Il cuore sportivo di “Core de Roma”, da quel momento, sarebbe sempre rimasto qui. Dove ha alzato la prima Coppa Europea della storia e due Coppe Italia.

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