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Nel segno di Aldo Maldera: il derby vissuto al Roma Club Milano

Tra coreografie, maglie di Falcão e poster di Totti: scoprire in una notte che la cosa più bella in città non è il treno per Roma

Michela Monferrini
20 Novembre 2017 - 14:00

Un'ora prima del calcio d'inizio, il locale che ospita il Roma Club Milano Aldo Maldera, l'Hemingway Café, è già gremito e "al lavoro". Nella sala al pianoterra e in quella rialzata i posti sono esauriti. A fine serata si conteranno oltre cento persone, tra interno e marciapiede, tra romani romanisti esuli a Milano da anni oppure occasionali, e milanesi giallorossi che qui possono sentirsi più vicini all'Olimpico, dove del resto sta accadendo la stessa cosa: questa Roma fa alzare il numero delle presenze, dappertutto si cresce. Qui a Milano, per la partita contro il Chelsea erano duecentosettanta, hanno affittato un ristorante, hanno srotolato uno striscione giallorosso lungo metri e metri.

Intanto, adesso, Gianluca e Ugo stanno preparando la coreografia che scatterà insieme all'inno poco prima di quella ufficiale allo stadio - siamo al nord, si è puntuali. Un poster di Totti alto due metri viene appeso a una parete proprio alle spalle del pubblico, a proteggere - ed è il primo derby in cui il poster fa la stessa cosa dell'uomo Francesco: osserva dalla tribuna. E infatti eccolo, Totti, inquadrato sullo schermo: «Capita', vatte a mette la maglia» scherza qualcuno, una frase che partita dopo partita – non lo avremmo mai immaginato - si svuota di rammarico, fatta salva e intoccabile la nostalgia, naturalmente.

L'impressione, qui, è che l'Olimpico sia vicino, a portata di piedi; che se tutte le strade portano a Roma, via Vallazze, quartiere Casoretto, lo faccia di certo. Strada che collegava due cascine del primo Ottocento, oggi - a cento anni esatti dal loro abbattimento - è un ponte tra due città sempre contrapposte, come ponte tra quelle città è stato pure Aldo Maldera a cui il Roma Club Milano è dedicato, uno che quando arrivava in un posto in cui non si vinceva da anni, prima Milano e poi Roma, arrivava ad alzare una coppa. Quella lì, che non si nomina.

Il direttivo (Raffaele Aversa, Giuseppe Barra, Claudio Berini, Mauro Portaluri) registra presenze, tessera, trova posto dove non ce n'è, ricorda lo statuto. «Si possono alza' du' cori?». «Sì, ma non Lazio merda». Regolamenti.

Una ragazza porta sulla maglietta gialla il volto di Falcão. Silvia è nata nel settembre 1983 e ha l'accento lombardo. «Stavo nella pancia di mia madre quando abbiamo vinto il secondo scudetto, ma in famiglia sono tutti interisti. Un giorno, a Cortina, avrò avuto cinque anni, mio padre mi indicò un signore e mi disse "Quello è Dino Viola". Mi ricordo distintamente quel momento, da lì sono stata romanista e questa scelta in un certo senso mi ha cambiato la vita, me la influenza». Silvia tifava Roma e simpatizzava per l'Inter, poi è arrivato lui, Francesco Totti, e c'è stato solo un amore e nessuna simpatia. La maglia di Falcão è autografata sulla spalla destra, di fresco. «Me l'ha firmata giovedì scorso». Giovedì, Silvia e altri ragazzi del Roma Club Milano sono andati a conoscere Falcão che qui a Milano ha ricevuto un premio alla carriera e ha assistito alla premiazione del docu-film "Chiedi chi era Falcão" all'International FICTS Fest.

C'era anche Gianmarco, che ha portato con sé un faldone di articoli conservati, tutti da firmare. «È stato gentilissimo - dice -, si è fermato con noi finché non ci hanno buttato fuori». Gianmarco porta ancora addosso l'emozione, tra poco sarà uno degli spettatori più esagitati della partita.

Ed eccola, l'ora di alzare la coreografia da curva, cartoncini gialli e rossi e la scritta "Noi siamo la Roma", che alla ripresa, al primo goal nostro, sarà affiancato idealmente dal suo concetto complementare spuntato nella Sud: "L'Urbe siamo noi". L'inno, applausi, scaramanzie (Virgilio, seduto in prima fila, ha un suo rituale privatissimo e irraccontabile, ma ci basti sapere di lui che a casa lo aspettano tre tartarughe che si chiamano Totti, Montella e Agostino).

La partita inizia, subito un brivido con Immobile, sfottò e cori, "Vojo solo sta' co' te» dallo schermo e dal vivo.

Timore, perché questa è la partita della settimana, nessun commento all'eliminazione azzurra, se non l'orgoglio per le gesta in panchina e nel post-partita del Capitano De Rossi, per le parole in settimana di Tommasi che ci somigliano così tanto, come non somigliano a nessun altro. Timore, come sempre, senza sapere che tra novanta minuti lunghissimi più sei interminabili saranno solo braccia al soffitto e abbracci interregionali, con quel coro ripetuto ancora e ancora. Vojo solo sta co' te.

«Quello che ho visto fare ai tifosi romanisti...» diceva Aldo Maldera in un'intervista. E non finiva la frase perché non c'erano le parole.

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