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L'analisi di Vitesse-Roma: trovata la struttura, ora serve uno scatto

Il primo tempo regalato agli olandesi solleva dubbi. Con la stagione nel vivo i giallorossi devono diventare più intraprendenti: possono farlo con il lavoro e con Mou

Sergio Oliveira festeggia la rete al Vitesse (AS Roma via Getty Images)

Sergio Oliveira festeggia la rete al Vitesse (AS Roma via Getty Images)

12 Marzo 2022 - 10:59

Nell'elogio delle vittorie per così dire di corto muso bisogna sempre farsi due domande: hai sfruttato appieno le tue potenzialità costruendo il vantaggio e gestendolo poi con la disinvoltura che la tua marita maturità tecnico-tattica ti consente? Oppure l'unica strategia stabilita è quella di mantenere in stallo la partita, sfruttare magari l'episodio favorevole che a volte la superiorità tecnica ti consente di cogliere per poi difendere disordinatamente fino al 90º? Nel primo caso la tua strategia si può definire virtuosa, hai scelto una strada magari poco spettacolare ma sicuramente redditizia su cui puoi contare a breve e medio termine, nel tentativo di dare alla tua squadra comunque una struttura e una riconoscibilità che nei risultati positivi si autoalimentano fino a far maturare quella personalità tipica delle grandi squadre forti e ciniche, modello Atletico Madrid di Simeone. Nella bella serie girata sul Cholo e visibile su Amazon Prime, c'è un divertente aneddoto raccontato da Guardiola. Dopo avere studiato per qualche giorno i suoi allenamenti, Simeone ha salutato il collega con una solenne confessione: «Mi piace il lavoro che fate, ma questa roba non fa per me». E proprio per quello Guardiola capì che Simeone avrebbe fatto strada: questione di scelte, comunque rispettabili anche se esteticamente o filosoficamente poi possono essere più o meno apprezzate.

L'altra faccia della medaglia

Ma se invece il caso di cui parliamo è il secondo, e quindi ti ritrovi solo a ringraziare la buona sorte della vittoria conseguita di misura, allora la prospettiva di medio termine si fa più sfumata e quella di breve termine è sempre troppo legata al caso. Come abbiamo già scritto recentemente questo è il momento per Mourinho di dare una forma definitiva alla sua squadra. La partita di Arnhem non aiuta ad orientarsi. Detto che le condizioni del campo stavolta non rappresentano un alibi ma fotografano solo l'oggettiva inadeguatezza di un impianto che non aveva i prerequisiti per ospitare una partita di una competizione internazionale (e l'Uefa in questo senso dovrebbe essere più rigida per evitare simili scempi), resta il fatto che nel primo tempo la Roma sia stata in balia di una squadra che aveva studiato due mosse per rendere più difficile la vita ai suoi avversari: la sistematica ricerca degli attaccanti con il compito di scaricare poi il pallone ai sostegni e prendere in controtempo la difesa giallorossa, e poi l'accentramento, nell'impostazione, del giocatore probabilmente più interessante di questa squadra, il ventinovenne esterno Dasa, tecnico ed intelligente a sufficienza per capire lui stesso quand'era il momento di restare largo in fascia come un "quinto", e quando invece era il caso di accentrarsi per togliersi dalla pressione di Viña e partecipare alla manovra senza un avversario che potesse contenerlo. Negli spogliatoi Mourinho ha rivelato di aver notato la mossa del suo collega tedesco Letsch: «Dalla mia posizione in panchina intervenire sulla parte opposta del campo non è stato facile. Così abbiamo aspettato l'intervallo per aggiustare un po' le pressioni». Il fatto è che all'intervallo la Roma avrebbe potuto ritrovarsi sotto di due gol, peggio del 2-1 sofferto nel primo tempo in Norvegia, e invece ha avuto la fortuna di andare al riposo in vantaggio grazie al gol piuttosto casuale di Sergio Oliveira. In questo senso la Roma subisce ancora troppo le strategie degli avversari e dispone ancora poco di proprie strategie che siano efficaci per lo sviluppo qualitativo del gioco.

Stavolta è andata bene

I numeri della partita del resto parlano chiaro: sotto il profilo statistico la Roma ha sofferto più del lecito. Gli Xg testimoniano che il risultato più giusto in base alle conclusioni maturate sarebbe dovuto essere 1,98 a 0,68, il possesso palla ha raggiunto livelli imbarazzanti (addirittura 76% contro 24% nell'ultimo quarto d'ora di partita, con la Roma in dieci), mentre la precisione dei passaggi crollava al 53% e si riduceva anche l'intensità del pressing (19,3 passaggi concessi di media per azione difensiva). Ma in inferiorità numerica ci sta che abbassi le linee e ti difendi per salvaguardare il risultato. Ma come si dovrebbe giudicare il dato dei 44 palloni (!) concessi per azione difensiva nel secondo quarto d'ora del primo tempo? In pratica la Roma si è abbassata e non ha portato alcuna pressione agli avversari, invitandoli nella propria area di rigore. Non un comportamento da grande squadra, sullo 0-0 dell'andata di un ottavo della Coppa che vuoi vincere. Anche il confronto tra i palloni giocati dai difensori è impietoso: Oroz da solo ne ha giocati quasi il doppio di quanti ne abbia mossi ognuno dei tre centrali della Roma. E i quattro esterni romanisti che si sono alternati hanno messo in area un solo cross (in totale): solo il difensore Bazoer, entrato a 11 minuti dalla fine, ne ha messi dentro 4.

Se la qualità non basta

Non è del resto la prima volta in questa stagione che la Roma va in difficoltà contro avversari più intraprendenti anche se meno dotati sotto il profilo tecnico. E se è vero che dal punto di vista tecnico i giocatori della Roma non hanno certo le qualità dei migliori registi difensivi europei, è altrettanto vero che attraverso lo studio e le conseguenti esercitazioni sulla ricerca di linee di gioco più sofisticate, si potrebbero aiutare i vari Kumbulla, Mancini e Smalling a sentirsi più sicuri quando hanno il pallone tra i piedi e non tremolanti come appare adesso ad ogni giro palla. Siamo sicuri, insomma, che il compito di Mourinho di dare maggiore spessore alla la squadra sia molto vicino dal suo compimento. Non si batte, ad esempio, due volte l'Atalanta se non si acquisisce questa struttura caratteriale prima che tattica. Ma ora che si entra nel finale di stagione è opportuno e doveroso chiedere uno sforzo in più. L'obiettivo è vincere la Conference League, All'orizzonte non ci sono avversari insuperabili dal punto di vista tecnico, ma un gruppetto di squadre che vengono a poco a poco scremate per le loro qualità e magari per le intuizioni tattiche dei loro allenatori. Per vincere la competizione non si può rischiare di essere sbattuti fuori da un Bodø o da un Vitesse. E per arrivare quarti in campionato, impresa possibile se la Roma avrà la forza di vincere a Udine e affrontare poi il derby, magari dopo aver guadagnato la qualificazione ai quarti di conference, con il piglio della squadra superiore, è indispensabile essere più intraprendenti. È un compito difficile, ma Mourinho sta lì per questo.

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