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l'intervista

Piccareta, l'allenatore che ha portato Volpato a Roma: "Non c'era il video di una gara"

"Me lo segnalò Tony Basha dall'Australasian Academy. C'erano solo filmati di tiri in porta. Lo "prestammo" al Trastevere per vederlo giocare"

Fabrizio Piccareta, 56 anni, di Mancini

Fabrizio Piccareta, 56 anni, di Mancini

20 Febbraio 2022 - 09:36

Viene da Genova Fabrizio Piccareta, città di navigatori e giramondo, e seguendo gli Inter Campus aveva girato i sette mari, dalla Cina alla Colombia, dalla Cambogia a Cuba, passando per l'Iran, con esperienze da secondo in Portogallo e Inghilterra. Cinque anni fa venne contattato su LinkedIn da una scuola calcio in Australia: accettò, salvo poi declinare, perché l'offerta dell'Inter Turku, in Finlandia, lo attraeva di più. L'australiano non se la prese, rimasero in buoni rapporti, e qualche anno dopo, quando Piccareta era diventato allenatore della Roma Under 17, lo chiamò per dirgli che aveva un ragazzo davvero bravo. Un anno e mezzo dopo mister Piccareta ha fatto la sua seconda finale scudetto, proprio contro la squadra della sua città, l'ha vinta, e a quel punto è salpato in cerca di altre sfide, approdando a Ferrara, per guidare la Spal Primavera. Che però aveva una rosa decisamente meno importante di quella che aveva ben figurato l'anno prima con Scurto in panchina, e i risultati non arrivavano. «E così il 3 febbraio, proprio nel giorno in cui i miei ragazzi, i 2004 della Roma con cui avevo appena vinto lo scudetto, sono venuti a Ferrara per sfidare la Spal U18 (battendola 5-0, ndr) mi è stato notificato l'esonero. Li sarei andato a vedere, a salutare, sarebbe stata una giornata di festa».

E così era a casa sua, a Genova, davanti alla tv, per Roma-Verona. Immaginava che potesse succedere quel che è successo?
«A dire il vero ero davanti alla tv anche per Roma-Milan Primavera, qualche ora prima. Ma anche la Roma di Mourinho la guardo sempre volentieri. Un po' perché dopo tre splendidi anni a Trigoria un legame si è creato, un po' perché in panchina ci sono molti dei miei ragazzi, e spero sempre che qualcuno possa entrare».

Bove e Zalewski li ha allenati. Ma Volpato, che oltre a entrare ha segnato un gran gol al primo tiro in serie A, non sarebbe alla Roma senza di lei.
«Un colpo di fortuna. E devo dire grazie anche a due osservatori della Roma, Giuseppe Stasio e Bruno Banal. Oltre, ovviamente, al mio amico Tony Basha, dell'Australasian Soccer Academy, che qualche anno prima mi aveva offerto un lavoro. Alla fine non sono andato, ma siamo rimasti in contatto, ci sentiamo spesso, è venuto a Roma una settimana, per vedere i miei allenamenti a Trigoria. Il primo messaggio, quando Cristian ha segnato, è stato il suo. E pensare che su Dazn hanno detto che la Roma lo aveva scoperto in un torneo in Malesia...».

Le giovanili della Roma non hanno fatto tornei in Malesia.
«Appunto. E comunque Volpato è arrivato perché Basha mi ha parlato di lui, e mi ha chiesto di vederlo. Gli ho chiesto di mandarmi un video, ma non ce l'aveva. O meglio, non aveva il video di una partita, perché la sua è un'academy, si fa miglioramento tecnico, ma non sono iscritti a nessun campionato. E quindi non ha trovato partite da mostrarmi: mi ha mandato dei video con delle esercitazioni».

Quindi quello che ha impattato in quel modo alla seconda partita in serie A, fino a due anni fa non giocava a calcio?
«Esatto. Si allenava e basta. E infatti non ha mai giocato con le nazionali giovanili australiane, e quando aveva fatto dei provini in patria, lo avevano scartato. Però da quei video, si capiva che ci sapeva fare. Calciava con grandissima naturalezza, sempre all'incrocio».

Ma non poteva bastare.
«No. Non potevo segnalarlo per quei video. Però aveva dei parenti a Roma, venne, me lo presentarono. Era sotto Natale, noi avevamo già sospeso gli allenamenti. Banal chiamò il Trastevere, e gli organizzò qualche allenamento con la Juniores. C'era un'amichevole, neppure lo fecero giocare. Entrò un quarto d'ora, fece 3 gol. E Stasio, andato a vedere quella partita, mi chiamò e mi disse che per lui quel ragazzo aveva delle doti. Che gli ricordava Ilicic, anche come movenze. A quel punto chiamai De Sanctis. Alla ripresa degli allenamenti lo portammo con noi: una settimana e decidemmo di tesserarlo».

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