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L'intervista

Karsdorp a Il Romanista: «Volevo dimostrare chi sono, con Mourinho daremo il 120%»

L'olandese: «La mia avventura con la Roma non era finita due anni fa. Conoscevo il tecnico solo dalla tv: ero curioso. Ci fa lavorare tanto, mi piace: e poi sa anche scherzare»

06 Agosto 2021 - 08:44

L'Olandese Volante è tornato, anche se non c'era bisogno di arrivare sul bordo meridionale del Portogallo, dove l'Atlantico non è così lontano dal Mediterraneo, per scoprirlo: la prima spedizione non era andata bene, è tornato a Rotterdam, nel suo porto sicuro, e un anno dopo è riapparso più forte di prima, ricominciando quelle scorribande a malapena intraviste nel suo primo periodo lontano da casa. Fece una sola presenza Rick Karsdorp nel suo primo campionato in Italia, iniziato in ritardo per intervento di pulizia del ginocchio, e proseguito peggio, con la rottura del crociato dopo 82' della gara d'esordio, il 25 ottobre 2017 contro il Crotone. Undici alla seconda, non indimenticabili, tanto che la Roma decise di rimandarlo in prestito al Feyenoord, sperando che ritrovasse lo sprint di quando era uno dei giovani laterali destri più richiesti del calcio europeo. Tornato in patria, le presenze sono state 15: non sembrano tante, eppure sono bastate a restituire alla Roma un giocatore irriconoscibile, nel senso positivo. Lo scorso campionato l'olandese ne ha giocate 34 su 38, più del triennio precedente, più di praticamente tutta la rosa, visto che Cristante, Mkhitaryan e Pellegrini hanno il suo stesso numero di apparizioni, e nessuno ha fatto meglio. E le prove sono state talmente convincenti da blindare il suo posto in squadra: Florenzi, che pure torna da una buona stagione con il Paris Saint-Germain, e da un Europeo vinto con la Nazionale, è stato invitato a trovarsi una nuova sistemazione, che sulla fascia destra il posto è di Karsdorp, senza dubbi né discussioni.

Sembra un giocatore diverso, rispetto alla prima esperienza in giallorosso.
«Sono invecchiato. È stato un bel cambiamento: avevo appena 22 anni, ora 4 anni più tardi sono più esperto, ho maturato esperienze che mi hanno reso più forte, in particolare i tanti infortuni. E ho avuto la parentesi al Feyenoord, ma sono contento di essere tornato alla Roma, a giocarmi le mie carte. E sono tornato a divertirmi giocando a calcio. L'anno scorso ho giocato quasi tutte le partite, e di conseguenza sono fiducioso in vista della prossima stagione».

È migliorato moltissimo, da allora. Ma in cosa pensa di dover migliorare ancora?
«Come calciatore vuoi e puoi sempre migliorare ancora, non raggiungi mai il limite. Io ad esempio sono abbastanza forte nello sprint, è una mia prerogativa, una delle mie caratteristiche migliori: questo non significa che non possa migliorare anche in quello. È per questo che ci si allena ogni giorno».

Che rapporto ha con l'assist?
«È sicuramente qualcosa che mi piace, uno dei modi che ho per aiutare la squadra. Ma anche in questo si può ancora migliorare».

La Roma ogni estate cede svariati giocatori in prestito, e quasi tutti non tornano più: lei è una delle poche eccezioni. Quando era tornato al Feyenoord, pensava che fosse un addio, o che sarebbe tornato?
«Quando vai in prestito, non sai mai cosa ti riserva il futuro, sebbene avessi ancora un contratto con la Roma. Ma io sentivo di non aver portato a termine il mio compito, di non aver ancora finito qui. Ero stato sempre infortunato, ma non volevo che il mio nome fosse legato a un fallimento, non volevo lasciare questo ricordo. E così ho fatto del mio meglio per avere un'altra possibilità, sono tornato, ho lottato, ed è finita che ho giocato tanto. E spero di continuare a farlo».

Lei ha avuto molti problemi fisici. Li hanno avuti anche due suoi compagni come Zaniolo e Spinazzola. Ha detto loro qualcosa di particolare?
«È difficile, perché ogni calciatore è diverso, sono diversi anche i percorsi di recupero, a volte anche per lo stesso infortunio. In questi casi si deve semplicemente incitare il compagno a non mollare, e a tornare più forte di prima. Finora, toccando ferro, a me è successo. Spinazzola poi è più grande di me, è più esperto. Mentre Zaniolo, per quanto giovane, purtroppo è alla seconda esperienza, per cui conosceva molto bene il percorso che avrebbe dovuto fare».

L'Olanda è piena di giovani calciatori molto interessanti, in questo periodo: ce n'è qualcuno che consiglierebbe alle squadre italiane?
«Ce ne sono molti, e molto bravi, di giovani talenti... ma se faccio i nomi, magari la società non sarebbe felice (ride, ndr)».

In una vecchia intervista, fatta quando era tornato al Feyenoord, lei disse che a Roma, nel suo primo periodo, si era sentito solo. Ora che è cambiato tutto, persone, ambiente, società, ci può dire qualcosa in più?
«Sono arrivato molto giovane, avevo appena 22 anni, era la mia prima esperienza fuori dall'Olanda. Per fortuna mia moglie parla italiano, e questo mi ha aiutato. Ma sono passato attraverso parecchi infortuni, e così ho preferito tornare a casa, al Feyenoord, e la cosa mi ha aiutato molto. C'erano giocatori che conoscevo da tanto tempo, un ambiente familiare, ho giocato, e questo mi ha fatto tornare più forte, sia fisicamente che mentalmente. Questo mi ha permesso di giocare tanto lo scorso anno: si innesta un circolo virtuoso, più giochi e più ti senti apprezzato, e a quel punto giochi ancora meglio».

Cosa ne pensa della Conference League? In caso di vittoria può meritare un nuovo tatuaggio?
«Assolutamente, sì (ride, ndr). Ho avuto la fortuna di vincere un campionato e una coppa in Olanda, e ora sono incise sulla mia pelle, se dovesse succedere anche con la Roma, lo troveremo sicuramente un posto libero...».

Dove si vede tra 5 o 10 anni?
«Spero di giocare ancora a lungo, ma non sono il tipo da guardare troppo avanti. L'ultima stagione è andata bene, speriamo che la prossima si ancora migliore».

Si parla molto, ora che ci sono le Olimpiadi, di pressione mentale: la ginnasta statunitense Simone Biles, la più forte del mondo nella sua disciplina, ha lasciato a metà un esercizio, quando era in corsa per l'oro.
«Per quanto mi riguarda, non sono un tipo che soffre la pressione: prima delle partite non ho mai problemi, sono tranquillo, dormo... La tensione l'ho avvertita nei primi due anni, sempre per quel problema dei continui infortuni: ero stato pagato molto, volevo giocare a un certo livello, ripagare la fiducia riposta in me, e non potevo farlo per quei problemi fisici. Esiste anche un discorso di pressione ambientale: nella mia ex squadra vedevo calciatori che avevano fatto benissimo in piccole realtà, andavano in un club più grande, e le pressioni li opprimevano. Poi tornavano in uno più piccolo, e ricominciavano a fare bene. Sicuramente anche nel calcio c'è la pressione, il dover vincere a tutti i costi, fronteggiare aspettative molto alte, ma varia da persona a persona».

Che aria si respira, adesso, alla Roma?
«L'atmosfera è buona, mi piace stare qui, sono molto felice. Con un nuovo allenatore si ricomincia da capo, c'è un nuovo staff, è tutto nuovo. Mi piace molto come ci fa lavorare il tecnico, mi piacciono gli allenamenti, con molte partitelle, giochi di sponda, mi ricorda molto come mi allenavo in Olanda».

Che differenze ci sono con la scorsa stagione?
«È ancora presto per dirlo, dobbiamo ancora iniziare gli impegni ufficiali. Ma con un nuovo allenatore ogni cosa riparte da zero, tutti vogliono mettersi in luce. E tutti daranno il 120%».

Ma lui è come se lo aspettava?
«Nel mondo del calcio lo conoscono tutti, lo Special One. Ma io lo conocevo solo dalla tv, dalle interviste: ora posso dire che mi piace molto come lavora, come ci fa allenare: le sedute sono dure, ma a me piacciono così, mi rendono più forte. Mi piace come parla, è uno che sa anche scherzare. Sono tornato dalle vacanze che mi chiedevo come fosse, ero curioso: lo avevo visto solamente in tv».

Quindi è anche divertente...
«Assolutamente. È una persona che al momento giusto la battuta la sa piazzare. E questo per il gruppo è molto importante. Ma solo fuori dal campo, in campo e si lavora, è sempre molto serio».

In campo contro il Belenenses si è visto, per l'ennesima volta, come lei e Dzeko sappiate trovarvi praticamente a occhi chiusi.
«In allenamento parliamo spesso. E lui me lo dice sempre: se la palla è lì, sappi che mi trovi in questa posizione o in quest'altra, se arriva questo pallone io faccio quel movimento... Ci si allena per migliorare, non solo le qualità di ognuno ma anche l'intesa tra i compagni. Che poi, di fatto, quella scorsa è stata la prima stagione in cui abbiamo giocato insieme, prima non avevo avuto tante occasioni. Certo, mi piace molto giocare con lui».

Sta insegnando qualcosa a Reynolds?
«Lui è americano, io parlo inglese, questo rende tutto più facile, non ci sono problemi di comunicazione. È un ragazzo giovane, arrivato solamente da pochi mesi, ma sicuramente cerco di coinvolgerlo, nel gruppo, di farlo ambientare. Anche in partita a volte mi capita di avvicinarmi a lui e dargli qualche suggerimento. Poi ognuno cerca la sua strada e trova il suo equilibrio, ogni giocatore è diverso in questo, ma se posso dare una mano lo faccio ben volentieri».

Un anno fa lei è stato vicinissimo a lasciare la Roma e andare all'Atalanta. E ora è uno dei punti fermi della squadra. Come era andata quella vicenda?
«Ero tornato dal prestito al Feyenoord, all'inizio non avevo le idee chiare su quello che volevo fare, e soprattutto non avevo capito bene cosa la Roma si aspettava da me, cosa aveva intenzione di fare. Ma, come detto, avevo voglia di far vedere chi ero qui a Roma. Però c'è stato questo interessamento dell'Atalanta, che si era rivolta al club e mi aveva richiesto. Ma poi, insieme con la società, abbiamo deciso di continuare il nostro rapporto, ho anche rinnovato il contratto. I fatti parlano: volevo giocare, e ci sono riuscito».

Nel suo primo periodo a Roma c'era stato un problema molto serio, di cui si è saputo solamente dopo, con suo figlio. Quanto è stato difficile pensare al calcio, in quel periodo?
«Ormai si sa, il mio bambino ha avuto un problema al rene (sospira e si prende qualche secondo prima di rispondere: l'argomento gli smuove qualcosa dentro, anche ora che è finita bene, ndr). Un problema che all'inizio in Olanda non avevano individuato e non avevano risolto: ci sono riusciti qui a Roma, al Bambin Gesù. E sarò sempre grato a loro, per questo. Sicuramente mi ha dato molta forza vedere mio figlio che stava sempre meglio, mi ha dato la forza di lottare anche in campo: era in una condizione molto seria, a letto, e pian piano lo vedevo prendere più energia. Adesso per fortuna è tutto risolto, sta bene. Ed è la mia forza».

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