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l'intervista

Il Prof. Peluso: "Su Zaniolo fatto un grande lavoro fisico. Inevitabile il ko di Spina"

Il parere dell’esperto: "La trasformazione muscolare di Nicolò era necessaria, ora servirà una fase di adattamento. La Roma? Dalla scienza tutte le risposte"

Un divertente lavoro di forza tra Mkhitaryan e Zaniolo, con una presa incrociata mentre si ruota con il corpo @Getty Images

Un divertente lavoro di forza tra Mkhitaryan e Zaniolo, con una presa incrociata mentre si ruota con il corpo @Getty Images

19 Luglio 2021 - 15:00

Professor Peluso, per chi lavora come lei nel campo della preparazione atletica e della nutrizione sportiva, il Covid ha fatto solo danni o può paradossalmente aver insegnato qualcosa?
«Ci ha anche insegnato qualcosa! Abbiamo imparato a gestire le emergenze nella programmazione degli allenamenti. Quando siamo stati costretti a strutturare delle esercitazioni che prevedessero la frammentazione dei lavori in gruppi, abbiamo imparato a lavorare in maniera diversa e questo ci ha permesso di acquisire nuove competenze. E poi gli atleti hanno cominciato a lavorare da soli, per molti una novità. E non dimenticherei la questione igienica. Ora sappiamo quanto è importante fare attenzione ad azioni semplici come lavarsi le mani o evitare contatti troppo ravvicinati anche semplicemente per non trasmettere un virus influenzale, che, anche grazie all'uso della mascherina, lo scorso anno è passato praticamente senza fare danni».

Però alla ripresa sono saltati troppi muscoli. Inevitabile?
«Sicuramente dopo il lungo stop dello scorso anno ci sono state delle conseguenze statisticamente rilevate a livello di infortuni muscolari, che hanno dimostrato come il primo effetto dopo la ripresa sia stato quello di un evidente stress organico anche in funzione dei successivi impegni ravvicinati. Si potevano prevenire gli infortuni? Probabilmente sì, nel nostro campo c'è sempre spazio per fare qualcosa di meglio, ma è vero che ci siamo trovati di fronte ad una condizione inedita e questo in parte giustifica le difficoltà a cui sono andate incontro molte squadre. C'è anche da dire che il giocatore difficilmente arriva a fermarsi prima dell'evento traumatico, non ascoltando, per voglia e determinazione, i segnali che arrivano dall'organismo. Ora si tende ad allungare i tempi di recupero e finalmente si è capito quanto la componente nutrizionale faccia la differenza anche in questa fase».

Ha destato qualche curiosità anche in lei, se non altro da tifoso romanista, il fatto che la Roma ogni anno finisca in testa, o vicino alla vetta, nelle classifiche del numero di infortuni muscolari? Che opinione sul tema?
«L'approccio deve essere quello del ricercatore. Alla Roma si sono tentate diverse strade al riguardo, ma non sempre è corretto cambiare tutto. La strategia migliore è cambiare le variabili in modo controllato, per capire quale sia quella che incide di più o se esiste un effetto sinergico. Sarebbe molto interessante in questo senso portare un gruppo di ricerca dentro Trigoria. Un'équipe di alto livello professionale in grado di trovare delle risposte ad un problema che ha inficiato molti campionati dei giallorossi. Magari lo stanno già facendo».

Se qualcuno affidasse a lei l'équipe da che cosa partirebbe?
«Ovviamente dalla raccolta dei dati. Dai terreni di allenamento, alle condizioni microclimatiche, dalla nutrizione ai carichi di lavoro, passando per l'idratazione. Da qui si dovrebbe arrivare a strutturare un sistema di apprendimento automatico, che possa sintetizzare ed analizzare le variabili, generando confronti».

Non tutte le società fanno investimenti rilevanti nel settore.
«C'è stato un periodo in cui queste gruppi professionali andavano di moda. Ricordo i tempi del Milan Lab, strutture di alto livello professionale che si occupavano della prima squadra e del settore giovanile. In alcuni sport sono ancora presenti, mentre nel calcio lo sono sempre meno, anche perché questo tipo di professionalità spesso si scontra con gli staff che, giustamente, devono mantenere il controllo sul lavoro quotidiano e sul gruppo. La soluzione è inserire nello staff tecnico dei professionisti in grado di svolgere anche lavoro di ricerca. Devo dire, a tal proposito, che l'Italia sforna tecnici preparatissimi, che poi, ahimè, finiscono ad arricchire staff di squadre estere, Molti di loro andrebbero riportati in Italia. Sono professionisti di alto livello».

Che incidenza ha il fattore mentale sullo stress muscolare e quindi sugli infortuni?
«Altissima, come evidenziato da molti studi. La testa fa sempre la differenza, nel bene e nel male. Lo stress comporta una risposta fisiologica finalizzata a gestire lo stimolo stressante, ma non deve essere spropositata e quindi dannosa. La produzione del famoso cortisolo, per esempio, non deve superare una soglia critica per non inficiare una serie di capacità metaboliche. Come anche lo stress può portare a disbiosi, cioè uno squilibrio del rapporto che abbiamo con i batteri che convivono con noi, nell'intestino, fondamentali per la qualità della nostra vita. Ma il solo stress non basta a spiegare gli infortuni che falcidiano la Roma: ci sono piazze "calde" quanto la nostra, ma con un numero di infortuni inferiore».

C'è anche un'altra teoria che porta al fatto che l'aumento degli infortuni muscolari è direttamente proporzionale all'abuso del carico della forza che si fa in palestra, a secco. La sua teoria al riguardo qual è?
«Non è una mia teoria, perché la scienza si basa su studi validati. Quello che è venuto fuori negli ultimi anni da vari articoli scientifici è che, lavorare con la forza specificatamente in palestra, in realtà non porta vantaggi all'apparato neuromuscolare del calciatore. Ha valore lavorare su un macchinario, come una leg extension, il cui movimento è controllato e può garantire carichi pesanti, ma deve essere solo una fase iniziale di un lavoro che proseguirà attraverso una serie di altre esercitazioni, sempre finalizzate alla forza, ma con una forte componente propriocettiva, quella che in palestra manca. Quindi palestra, propriocettività, pallone e campo. Si parte da una forza statica per poi farla diventare funzionale al gesto tecnico, come un cambio di direzione o un tiro in porta. Questo è il concetto di forza funzionale o specifica. Modalità di allenamento ormai acquisite da tutti».

Il professor Daniele Peluso è biologo nutrizionista, è docente a contratto di "Sport e alimentazione" presso la Scienza della Nutrizione Umana, Università TorVergata, è docente "Alimentazione del Calciatore" Master Cattolica del Sacro Cuore di Roma e Milano, è docente "Nutrigenetica e alimentazione personalizzata per lo sportivo" Università Telematica Pegaso, è preparatore atletico Figc e Istruttore Fidal

Vedendo l'infortunio di Spinazzola si è chiesto se si potesse evitare quel tipo di infortunio?
«Certi infortuni non si possono evitare. Ad alto livello gli atleti si fanno male, stop. L'avvertimento non c'è e se anche ci fosse il calciatore è abituato a stressare talmente tanto la macchina muscolare che si arriva al danno senza rendersene conto. Spesso dietro ad infortuni simili e ripetuti, ci sono anche delle caratteristiche genetiche. E allora si lavora con allenamenti specifici, personalizzati e alimentazione strutturata, il tutto finalizzato alla prevenzione».

Lo stesso discorso può valere per Zaniolo, che ha avuto invece problemi articolari?
«Certo, anche questi infortuni, ripetuti, possono essere frutto di una caratteristica genetica che può portare ad un deficit articolare. Ma il lavoro che stanno facendo su di lui è stato eccezionale. Ricerca di ipertrofia, su arti inferiori, tronco ed arti superiori, il tutto associato alla propriocettività, cioè all'attivazione di tutti quei sensori che permettono al nostro sistema nervoso centrale di conoscere i parametri del movimento biomeccanico oltre che dati fisiologici di muscoli e tendini. Di sicuro avremo un atleta molto diverso rispetto a ciò che è stato».

Ma non si rischia con una tale ipertrofia muscolare di perdere magari qualcosa in termini di brillantezza?
«Sì, il rischio c'è, ma l'organismo si adatta, soprattutto per chi è giovane come Zaniolo. L'importante è sempre non esagerare. Ricorderà che qualche anno fa l'ipertrofia muscolare veniva cercata in maniera sistematica e non portò buoni frutti. C'erano attaccanti, una volta rapidi, che faticavano anche a girarsi per puntare la porta».

Ricordiamo bene. Sotto il profilo della scienza della nutrizione quanto si è fatto e quanto ancora c'è da fare?
«È stato fatto tanto. Ma c'è ancora molto margine, anche se il livello sta salendo molto velocemente. Gli atleti stanno cominciando a capire quanto sia importante una corretta alimentazione, affidandosi a professionisti accreditati che possano dare il loro contributo al miglioramento della performance».

Un'ultima domanda, molto personale: ha mai avuto a che fare con la Roma dal punto di vista professionale?
«Ho avuto la fortuna e l'onore di seguire dei tesserati della Roma di varie categorie. Ho avuto anche qualche contatto diretto, ma mai per la prima squadra. Da tifoso della Roma ovviamente per me sarebbe un grande piacere. Ci metterei anche poco ad arrivare al campo, visto che abito a Trigoria. Ma questa non la scriva perché è una battuta».

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