L’infanzia difficile a Kingston, salvato dal padre-agente Butler: l'incredibile storia di Bailey
Cresciuto in Giamaica, dove ha dovuto affrontare povertà, criminalità e fame insieme ai suoi due fratelli, Kyle e Kevaughn, volati poi con lui in Europa in cerca di fortuna

(The Sun)
Raccontare la carriera di Leon Bailey non è affatto compito arduo: tralasciando gli inizi, si può partire dalla sua esperienza in Belgio al Genk, l’esplosione in Germania con la maglia del Bayer Leverkusen fino allo sbarco in Premier League con la maglia dell’Aston Villa.
Servirebbe, invece, forse un intero libro per aver modo di raccontare per filo e per segno qualce incredibile vita abbia condotto prima di arrivare al successo e alla stabilità. Perché Bailey nacque in Giamaica nell’estate del 1997 tra i vicoli di Cassava Piece (nome che ancora oggi porta sugli scarpini), considerata una delle zone più violente e pericolose di Kingston, dove i crimini legati alle armi da fuoco e le sparatorie sono all’ordine del giorno: «È una zona povera, ma mi ha trasformato in qualcuno che non avrei mai pensato di diventare», confessò il giocatore al The Sun anni dopo. Il pallone come unica via di salvezza, così inizio a dare i primi calci alla Phoenix All-Stars Academy dove conobbe il suo attuale agente, non che padre adottivo, Craig Butler, all’epoca direttore generale della Toshiba a Kingston. Fu sua l’intuizione di puntare sul talento del giovane Leon e portarlo in Europa, prima tappa Salisburgo: «Arrivammo con una sola borsa in quattro (con loro anche i due fratelli, Kyle e Kevaughn), una scatoletta di tonno, maionese e pane per cena. Dormivamo in un ostello. È stato così difficile che posso dirlo: uno dei momenti più duri e duri della mia vita», la confessione nel 2019 a FourFourTwo.
Col Salisburgo non andò bene, ma non solo: Bailey fu snobbato in seguito dall’Austria Vienna, dal Rapid Vienna, dal Mattersburg, dalla Reid Academy e dal Grodig. Prima del Genk, la prima vera tappa della sua carriera. Firmò senza la presenza del suo agente, Butler, protagonista di una vicenda incredibile: era volato in Messico per aiutare il ragazzo con le pratiche del visto, scomparve, per poi ricomparire quattro mesi dopo e rivelare di essere stato aggredito, derubato e lasciato in fin di vita nel deserto. “Camminava con la sua valigetta come qualsiasi altro uomo d’affari, nel posto sbagliato al momento sbagliato”, disse Bailey. Poi il Leverkusen, prima della Premier: i consigli di Bolt, l’amicizia con Sterling, 28 anni vissuti davvero al massimo.
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