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Genoa-Roma, la trasferta: pranzo a Marassi

Una domenica in terra genovese per sostener la Roma. Costretti ad un’attesa senza servizi aggirata con la consegna del cibo a domicilio

28 Novembre 2017 - 13:00

Si sono seduti dalla parte della Roma. Anzi, hanno viaggiato anticipando l'alba per starle accanto, in piedi. Come piace a loro, e prima ancora ai loro padri e ancora prima ai padri dei padri. Perché non sono mai esistiti posti migliori né alternative valide. Non divisioni ma binari paralleli capaci di unirsi alla faccia di ogni limitazione scientifica, né tantomeno una disamistade, l'ennesima per cercare di separarli. Fratelli contro, barricate su barricate e una sola vittima: la Roma.

Erano partiti con la speranza nel cuore e una bandiera nella mano, i romanisti. Sono tornati nella capitale con la delusione negli occhi e una ferita profonda, di quelle che solo il tempo e gli eventi favorevoli sapranno rimarginare. Hanno spinto la Roma, cantato per la Roma, esultato con la Roma e imprecato gli déi del calcio e gli eroi terreni. Si sono ripresi a fatica dopo aver visto riemergere dal profondo di un'anima quel demone che non erra, ma persevera. Hanno ripreso ad incitarla più forte di prima credendo in una vittoria che, alla luce dei fatti, sarebbe potuta arrivare anche in inferiorità numerica. E forse sarebbe stato più giusto così. Sarebbe bastato poco, come un tiro più basso di mezzo centimentro o magari un metro di giudizio diverso e quattro, sei, otto occhi più attenti.

Avrebbero voluto scongiurare il secondo rientro consecutivo a casa senza quei tre punti richiesti a ripetizione e a gran voce in quello spicchio di Marassi. «Dimmi che hai bisogno di me», cantavano i romanisti mentre tutto intorno era rosso e blu e tutti li osservavano con ammirazione e un pizzico di invidia. Quelli che hanno portato il sole a Genova rovinando le accurate previsioni dei metereologi, prima di ripartire con una luce dentro, di quelle capaci di illuminare dove tutto è buio. Nero come l'umore nel vedere un capitano lasciare i suoi senza guida. E fa più male. Come un figlio che sbaglia e i genitori non sanno cosa fare, cosa pensare. Ma in cuor loro sanno di non poter smettere di amare, nonostante tutto. Nonostante le parole di tutti. Ché poi le parole più belle sono state quelle di Francesco Totti, che prima di Daniele De Rossi ha saputo difendersi dalle lingue taglienti e affilate come lame. Perché ci sono alcuni che usano la voce solo quando si cade e altri che invece possono pure cadere, ma cadono al fianco della Roma e dopo aver cantato. E la loro voce in quel di Marassi è stata un canto d'amor capace di far tremare i cuori. Da che parte sono stati e staranno? Da quella della Roma, ovviamente. Che è una famiglia e bisogna ricordarselo sempre, che è stata comunità soprattutto nei momenti difficili. E sono padri e amici con un dovere: quello di difendere in pubblico e rimproverare in privato.

Erano arrivati a Marassi, catapultati all'esterno di un settore e chiusi in una recinzione. Senza acqua, cibo né bagni a disposizione, aggirando le "misure di sicurezza" ed esultando nel vedere arrivare un ragazzo a bordo di uno scooter. Consegna a domicilio, perché casa è dove gioca la Roma. Quella Roma punita dal riemergere imprevedibile ed implacabile di un demone interiore. Eraclito di Efeso un giorno disse che l'indole è per l'uomo il suo daimon, quello che per Platone ci siamo scelti, quella potenza oscura descritta da Omero. Ogni uomo ha un demone che lo accompagna fin dalla nascita. Figlio della prigionia del sogno, espulso dai corpi dei padri in un caldo pomeriggio genovese di tanti anni fa, che ha trovato dimora in un infante concepito mentre la Roma impattava sotto il colpo di Surjak. Con le critiche a Tancredi e il dito puntato contro gli uomini di Liedholm, rei di aver pareggiato in casa di una Udinese a caccia della prima vittoria casalinga stagionale. Coincidenze significative, per dirla come Carl Gustav Jung. Un bambino ormai uomo e capitano che ha perso la trebisonda davanti a quattromila occhi increduli, dispiaciuti, arrabbiati. Sono stati in piedi al fianco della Roma perché quello è stato e sarà sempre il loro posto. Perché non sono le serate di coppe e di campioni a farli sentire orgogliosi, ma proprio i momenti in cui le cose non vanno bene e ci si stringe un po' di più. In un grande abbraccio iniziato a Genova e proseguito fino a Roma e che dovrà esser ancor più intenso nella serata di venerdì. Perché questo Mind Flayer, per usare un termine piuttosto in voga, si nutre del freddo e può essere espulso soltanto con il calore. Quel calore che i romanisti hanno portato a Marassi, schierandosi come sempre al fianco della Roma.

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