Il Var al centro: a Lissone l'incontro con l'Aia
Il media-day voluto da Rocchi per spiegare, dibattere, ridefinire gli alti e bassi arbitrali. Il chiaro ed evidente errore “invecchiato”, la centralità del direttore di gara e la comunicazione
Ripetitori arrampicati su tralicci, duecento km di cavi sotto i piedi. Dal 2021, a pochi chilometri da Milano, presso la sede EI Towers esiste un centro di produzione hi-tech dove sono concentrate tutte le immagini della Serie A, della Coppa Italia e della Supercoppa. È qui che lavorano i Var, che passano i segnali agli operatori tv di mezzo mondo e che si decide sempre più spesso la percezione del nostro calcio. Che si giochi di domenica pomeriggio come una volta o di venerdì o lunedì come in tempi moderni, mentre milioni di tifosi discutono di fuorigioco semiautomatici e rigori «richiamati dal VAR», in un palazzo anonimo di Lissone, nel cuore della Brianza, tra un bar e una nota catena di fast food americana proprio davanti, un muro di monitor restituisce in tempo reale, all’insegna di sigle per nerd come HD 3G, 4K o UHD, ogni dettaglio della Serie A: falli di mano al limite, tacchetti alti, linee tracciate al millimetro. È l’Iliad International Broadcast Centre, l’IBC di Lissone: il centro nevralgico dove passano tutte le immagini del calcio italiano, ma anche il luogo fisico in cui la tecnologia prova a ridurre l’errore umano degli arbitri.
Non più figure distanti, ma più “umanizzate”, grazie anche alla ref-cam che carica l’arbitro di ulteriori chili di tecnologia addosso e l’annuncio sulle revisioni. E, che non guasta, più “spettacolarizzate”. L’Aia, per volere del designatore Rocchi, si è aperta gradualmente e da qualche anno, con il supporto della Lega Serie A (e con il mezzo di diffusione di Dazn) ai “telespettatori”. Ieri pomeriggio ha invece aperto le porte del centro Var ai media (non è il primo incontro), per una sessione “didattica” di spiegazioni e punti di vista sul calcio e sulla direzione che ha preso. Dibattiti e chiacchiere - molto distese - che avvicinano le parti di addetti ai lavori, confronti quasi da bar ma con il sottofondo di competenza e lucidità da distanza dall’evento.
Non capita tutti i giorni di sentirsi chiedere da Rocchi: «Per te questo è rigore?» né tantomeno di “contestare” un’interpretazione. E qui viene il bello (o il brutto) e forse ciò che non si risolverà mai: la soggettività che pure il regolamento (sempre più conosciuto, ma mai troppo anche da calciatori e tecnici...) sta tentando di semplificare ma che resiste e resisterà sempre. Va bene che l’appetito vien mangiando, ma l’aspettativa intorno alla tecnologia è troppo elevata: eliminare completamente gli errori è impossibile, eppure il Var ne ha corretti e ne corregge sempre di più (-85,45% il dato portato dall’Aia). Il tutto in un percorso di “invadenza” tecnologica accelerata negli ultimi 10 anni, che ha visto anche un discreto e continuo cambiamento generazionale degli arbitri. E in diversi casi una crescita.
Primo obiettivo: ristabilire i ruoli e gli ambiti del Var, che nonostante i tanti investimenti profusi dev’essere usato negli intenti - e questo è il paradosso - il meno possibile. Una tecnologia spinta al massimo per scongiurare di utilizzarla. Per avere arbitri sempre più bravi e più responsabili. Per questo motivo è stato scritto il protocollo, che tuttavia è “invecchiato” e i massimi organi competenti (l’IFAB) ne sta prendendo atto. Diverse le modifiche allo studio: si arriverà presto a un bivio. O si userà il Var solo per le decisioni oggettive lasciando al campo quelle soggettive o lo si utilizzerà per gli errori, anche quelli non più chiari ed evidenti. Purché non sia moviola, perché il rallentatore spesso - anche nei casi studio mostrati da Rocchi in sala - falsa la dinamica. Già, la dinamica: concetto chiave per l’Aia e che spesso soccombe davanti alla tentazione tv. Poi il confronto tra Italia, Champions e Premier League (ingiocabile, come cultura di calcio): ebbene a casa nostra usiamo meno il Var che in Champions. La differenza, oltre alla competenza dei fischietti, la fa il numero di telecamere.
Ma c’è la terza via, vicina a quello a cui assistiamo già, auspicata da Rocchi: di fronte a un «errore» il Var propone una revisione all’arbitro che poi decide. E allora ecco spiegato l’ultimo dogma: «Meglio una revisione in più». Ma solo davanti a errori veri. Si troverà una sintesi? L’intenzione c’è, la collaborazione, sembra, anche. Vedremo.
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