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Ciao Amos, il "roscio" generoso

Addio a Cardarelli. Scoperto da Fulvio Bernardini, esordì nell’anno più difficile nella storia del club. Visse la Roma come una grande famiglia

Amos Cardarelli visto da Fabio 'Hot Stuff' Redaelli

Amos Cardarelli visto da Fabio 'Hot Stuff' Redaelli

02 Luglio 2018 - 10:45

Forse mi sbaglio, il mio è semplice passatismo, ma la sensazione è che Amos Cardarelli abbia fatto parte di una generazione di atleti che ha regalato al calcio storie che sembrano uscite da un grande romanzo, di quelli senza tempo. Storie che, nonostante la tecnologia sempre più straordinaria e puntuale nel mostrare sfumature e particolari, non sarà possibile, per il calcio di oggi, continuare a raccontare. Lo sapevo da tempo, ma ora che anche Amos Cardarelli se n'è andato mi sembra di avvertirlo in maniera più limpida.

Alla Roma, lo sanno tutti, lo portò Fulvio Bernardini alla fine degli anni quaranta. Per Amos, il "roscio", fu il coronamento di un sogno, vissuto però sempre con lo spirito disincantato e un po' fatalista del romano di una volta. Dopo l'addio di Bernardini alla Roma, vide sparire nei meandri delle serie minori molti dei giovani che "Fuffo" aveva portato in prima squadra. Anche a lui prospettarono a quel punto la possibilità di essere ceduto alla Carbosarda. Ce lo vedete voi uno come Cardarelli a giocare in serie C, lasciando Roma per Carbonia? Beh, lui non ci si vedeva e disse che se proprio alla Roma non serviva più, avrebbe appeso gli scarpini al chiodo e si sarebbe rimesso a studiare per prendere il diploma di Geometra. Poi, però (la stagione è quella 1950/51) accade qualcosa: la Roma perde le prime due gare di campionato contro Bologna e Palermo e il tecnico Baloncieri, sotto pressione, comincia ad essere preda di paranoie complottiste. Il 19 settembre capitan Maestrelli viene convocato nella sede di Via del Tritone dal Vice Presidente Meloni per smentire, tra le lacrime, di essere il «capo di una presunta quinta colonna costituita allo scopo di sabotare l'opera di Baloncieri».

L'esordio a Trieste

Il tecnico inizia a cercare forze fresche e il 20 settembre 1950, nella sgambata con la Romulea, mette Cardarelli in campo per due dei tre tempi dell'allenamento. Il 21 settembre "il Roscio" si ritrova tra i 13 convocati per la trasferta di Trieste. Il Corriere dello Sport si affretta a precisare: «Si ritiene che il viaggio di Cardarelli a Trieste sia un viaggio di ambientamento». Invece, già l'indomani, filtra, abbastanza a sorpresa, la notizia di un Baloncieri fortemente indeciso per il ruolo di terzino sinistro tra Contin e Cardarelli. Il 24 settembre a Trieste a spuntare sul terreno di gioco è proprio Amos Cardarelli. La Roma perde ma come scrive Filippo Molinari, il ragazzino fa un figurone, giocando «con la grinta e la sicurezza di un veterano, spiccando per anticipo, senso di posizione, nitidezza di rinvii». Si fa apprezzare subito per quello che sarà uno dei tratti caratteristici del suo stile di gioco, la generosità: prende una botta a un fianco e Cerretti lo rimette in sesto, quindi una al basso ventre e nel finale rimane nuovamente ammaccato in uno scontro con Tessari. Non getta la spugna, lo spostano all'attacco e conclude così, all'arrembaggio, dimostrando da subito di essere un giocatore da Roma. La prima stagione in giallorosso di Cardarelli si concluse nel dramma sportivo della retrocessione in serie B. Fosco Risorti mi disse che ripensando a quei momenti ricordava di aver pianto sulla panchina dello spogliatoio proprio a fianco e insieme ad Amos Cardarelli. Un pianto a dirotto che era la stimmata di un sentimento potente, che negli anni è rimasto indissolubile.

Il ritorno in Serie A

Amos più "romanamente", quando capitava di toccare quell'argomento, diceva orgoglioso: «Sì, sono andato in serie B con la Roma, me lo ricordano sempre tutti… Ma io sono stato anche tra quelli che questa Roma l'hanno riportata in serie A. Questo non lo dicono mai. Ma c'ero anche io a Verona quando questa Lupa l'abbiamo risollevata». Sì, c'era anche lui. Partì con il volo della LAI (Linee Aeree Italiane), che dopo un breve scalo a Venezia portò la Roma a Verona. Le foto dell'imbarco lo mostrano in cima alla scaletta, l'unico ad indossare il maglione e si era in giugno inoltrato. Fu una battaglia incredibile, con Albani bombardato da ogni lato, ma alla fine, quel 22 giugno 1952 la Roma tornò in serie A. Quella giallorossa, per Amos, era veramente una famiglia. Quando si sposò, il diletto massaggiatore Angelino Cerretti era ammalato, impossibilitato ad assistere alla cerimonia. Lui portò la sposa, già in abito nuziale, a salutarlo a casa: «Se non ci vedevi anche tu non potevamo sposarci». Sembra un romanzo, non è vero? Invece era la realtà di quella squadra e di quei giocatori di cui Cardarelli era esempio luminoso. In campo si faceva rispettare, era un Marcantonio e faceva sentire i suoi muscoli e la sua stazza, ma senza essere mai cattivo. Era un buono Amos e questo suo modo di essere lo portava anche in campo.

Un esempio straordinario di tutto questo è legato a un episodio del 31 dicembre 1955. La Roma era impegnata contro l'Atalanta in una gara molto tirata che i giallorossi vincevano per 3-2. Nel corso del pressing finale, Poul Rasmussen ebbe un brutto scontro con Panetti in uscita. Il ginocchio ebbe una torsione innaturale e l'infortunio che ne derivò chiuse di fatto la carriera del giocatore nerazzurro. Subito dopo lo scontro, però, la gravità dell'incidente non era assolutamente chiara. Cardarelli, che in passato aveva avuto diverse scintille con Rasmussen (il 10 aprile 1955 un'entrata spietata dell'attaccante danese fece restare sette minuti fuori dal campo Amos e al ritorno si era dovuto "accomodare", zoppicante, all'ala sinistra), si avvicinò per ricordargli la ferocia del passato. Gli atalantini credettero che a colpire il compagno fosse stato proprio lui e da quel momento, ogni visita a Bergamo si trasformò per Amos in un ingiusto calvario. Quello che però lo addolorava era il pensiero che Rasmussen potesse pensare che il suo infortunio fosse legato ad una sua responsabilità. Cardarelli andò a Copenaghen a trovare lo sfortunato collega, che lo abbracciò fraternamente … ma la storia di quella partita rimase, per lui, sempre una spina.

La visita a Fuffo

Nel gennaio 1984, Amos si recò a visitare Fulvio Bernardini, gravemente ammalato. Si trattava di un commosso saluto all'uomo a cui doveva la sua vita in giallorosso e tutta l'attività da professionista. "Fuffo", proprio a causa della malattia, non parlava più, comunicava attraverso dei foglietti su cui scriveva con una matita. Quando vide Cardarelli, gli fece cenno di avvicinarsi al suo letto, quindi gli diede un biglietto che aveva già preparato sapendo della sua visita. C'era scritto: «Stanotte ho sognato di essere all'Olimpico il 31 dicembre 1955. Ho visto l'incidente di Rasmussen, povero ragazzo. Tu, Amos, non c'entravi niente». Cardarelli portava quel foglietto nel portafogli, come una medaglia e se non è uno scudetto, ci assomiglia molto.

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