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il ricordo

Bruno Nicolè, l'uomo che regalò alla Roma la sua prima Coppa Italia

Venuto a mancare tre giorni fa, firmò il gol decisivo nella finale del 1964 contro il Torino di Rocco. Tutt'ora è il più giovane capitano della storia della Nazionale

Vittorio Cupi
29 Novembre 2019 - 18:50

"Per riparar lo smacco / quanto prima al muro attacco / le foto di Levratto e Nicolè! / Che centrattacco!". Si chiudeva così la celebre "Centrattacco" del Quartetto Cetra, anche se, tra i calciatori citati nel celebre brano, forse quello che c'entra di meno è proprio Bruno Nicolè, che se n'è andato tre giorni fa a 79 anni. Il fisico era da centrattacco, è vero, ma lui rendeva meglio da ala destra. Quando arriva alla Roma, per la precisione il 2 agosto 1964, giorno della sua apparizione nel ritiro di Abbadia San Salvatore, è già il più giovane marcatore in azzurro (18 anni e 258 giorni) e più giovane capitano della Nazionale (21 anni e 61 giorni). Sono record che tuttora gli appartengono. Neanche tra i tanti giovani lanciati da Roberto Mancini ce n'è stato uno capace di superarlo in precocità, lui che precoce è stato in tutto. È anche tra i più giovani esordienti in Serie A, traguardo raggiunto a 16 anni.
Ne ha 24 quando arriva alla Roma, in cambio di Menichelli, giovane romano sacrificato in nome delle necessità di bilancio che pochi mesi dopo il suo arrivo porteranno addirittura alla colletta del Sistina, ma anche al suo ritorno in Nazionale. L'Italia calcistica si stava quasi dimenticando di lui. Quasi. Perché la Roma non lo aveva fatto, nonostante la sua esperienza in giallorosso non fosse cominciata sotto i migliori auspici. Uno strappo muscolare avvenuto proprio in ritiro lo aveva costretto a saltare le prime partite di campionato e anche la finale di Coppa Italia del 6 settembre all'Olimpico. Quella partita però finì 0-0 e fu necessaria la ripetizione a Torino, località scelta dopo una trattativa tra le due società e con il finto dispiacere dell'allenatore Lorenzo, che sapeva bene quando la Roma rendesse meglio fuori casa e quando il signor "Catenaccio", Nereo Rocco, ex allenatore di Nicolè al Padova e al momento tecnico del Torino, facesse fatica a far attaccare le sue squadre. Il primo novembre 1964 Lorenzo, viste le condizioni non perfette di Manfredini e Angelillo, decide di puntare su Nicolè, che intanto è guarito. Il Torino schiera Puja stopper e l'allenatore giallorosso pensa che Nicolè ha il fisico per tenere botta contro l'avversario, ma, essendo naturalmente un'ala, può bruciarlo sullo scatto. Lo fa, a pochi minuti dalla fine: è lui a raccogliere un passaggio di Giancarlo De Sisti e a realizzare il gol della vittoria. Una grande gioia per lui, che a fine partita scoppiò in un pianto liberatorio, una grande gioia per tutti i tifosi romanisti, che accorsero in migliaia alla stazione Termini per festeggiare il ritorno della squadra e l'eroe di quel successo. Quel gol era evidentemente scritto in un destino che lo ha portato ad ottenere sempre in fretta grandi risultati.
Mentre i romanisti lo festeggiavano, riuscì anche a farsi intervistare. «Cosa ho provato nel segnare il gol? - dice - Ve lo assicuro: una gioia immensa. Mi spiace solo per Nereo Rocco, poverino, che bestemmiava come un turco. Imprecava in veneto, come fa lui. Sa, quando s'infuria, io lo conosco, è difficile perfino capirlo. Aveva vinto uno scudetto, era stato campione d'Europa, gli sembrava impossibile non vincere una Coppa Italia. Dev'esserci rimasto male». Le cronache dell'epoca lo descrivono rosso in viso come un peperone, con l'aria divertita, quella di un ragazzo che ha commesso una marachella. Ha appena dato alla Roma un trofeo che prima di lui non esisteva nella bacheca giallorossa. E se oggi ce ne sono altre otto è anche perché lui ha aperto la strada. «Quel gol mi ci voleva - continuava a raccontare nella notte dopo il trionfo - Erano anni che sognavo di farne uno al Torino. Quasi non ci credevo più, ma la speranza è l'ultima a morire. Il Torino aveva speso molto, noi avevamo ancora energie. Anche senza il mio gol avremmo meritato di vincere. La Roma di quest'anno viene fuori spesso alla distanza e ha vinto nel secondo tempo».
Concluse la sua annata in giallorosso con 21 presenze (13 in Serie A, 3 in Coppa Italia, 5 in Coppa delle Fiere) e 4 gol (2 in Serie A, 1 in Coppa delle Fiere e 1 in Coppa Italia). Segnò il gol decisivo anche in una inattesa vittoria della Roma in casa del Bologna campione d'Italia. Giocò poi nella Sampdoria e nell'Alessandria, chiuse la carriera a 27 anni, molto presto, per lui che ha sempre fatto tutto molto presto.
Era diventato poi professore di educazione fisica. Non a caso, il libro scritto su di lui dal figlio Bruno, s'intitola: «Ho amato lo sport e ho scelto il calcio, ho amato il calcio e ho scelto lo sport».
Lo abbiamo rivisto cinque anni fa nel documentario di Roma TV "L'urlo del 64", dedicato a quella coppa. Era contento che ci si ricordasse di lui. Come potremmo dimenticarlo? Che centrattacco!

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