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Pasolini e la Roma tra vita e romanzi: una storia di stadio e di borgate

Il rapporto tra Pier Paolo Pasolini e i colori giallorossi in un estratto del libro "Il calcio Pasolini" di Valerio Curcio, edito da Aliberti Compagnia Editoriale

Pasolini giornalista sportivo disegnato da Fabio

Pasolini giornalista sportivo disegnato da Fabio

02 Novembre 2018 - 08:20

Quarantatré anni fa all'Idroscalo di Ostia veniva assassinato Pier Paolo Pasolini. Per tutta la vita, da Bologna al Friuli fino a Roma, il suo sguardo di profondo osservatore della società si rivolse anche al calcio. Tifoso rossoblù e appassionato calciatore amatoriale, non si vergognò mai dell'apparente contraddizione di intellettuale impegnato che si perdeva appresso a un gioco considerato qualunquista. Con la Roma ebbe un rapporto particolare. Nel 1957 "l'Unità" lo inviò all'Olimpico a seguire un derby vinto 3-0 dalla Roma, ma invece di farne la cronaca raccontò i settori popolari e popolati di giallorossi. Al suo fianco c'era Sergio Citti, in tasca un taccuino sui cui annotare qualche espressione del dialetto romanesco. Ma soprattutto, la Roma c'è nelle sue opere letterarie. I suoi protagonisti, quando sono tifosi, sono tifosi della Roma. Dalle baracche ai palazzoni fino ai vicoli dei rioni del centro, l'universo pasoliniano è genuinamente giallorosso. In questo capitolo, tratto da "Il calcio secondo Pasolini", pubblicato da Aliberti Compagnia Editoriale, si ripercorre il suo rapporto biografico e letterario con la Roma.

La fede calcistica di Pasolini non fu mai messa in discussione. Più volte fugò ogni dubbio, soprattutto durante gli anni romani: «Romanista non sono, e neanche laziale. So' der Bologna», scrisse nel 1957. Eppure, un rapporto particolare lo legò alla squadra giallorossa. Pur non essendo romano di nascita, Pasolini è innegabilmente divenuto un simbolo di Roma, soprattutto delle sue periferie. La borgata romana adottò Pasolini e Pasolini adottò la borgata, continuando a frequentarla anche quando si trasferì in quartieri borghesi come Monteverde o l'EUR. Gran parte delle persone di cui si contornò nella capitale proveniva dalle zone dimenticate della città, e proprio lì, tra fabbriche e baracche, si avventurava in spedizioni alla ricerca di volti originali per un film. E i figli delle borgate, a partire dai suoi grandi amici Ninetto Davoli e i fratelli Citti, tifavano per la Roma.

Pasolini a una partita della Nazionale dello spettacolo, fotografato da Umberto Pizzi

Per naturale conseguenza, la Roma è la squadra di Tommaso Puzzilli e dei suoi amici in "Una vita violenta". Come descrive Valerio Piccioni in "Quando giocava Pasolini", i nomi dei calciatori dell'epoca vengono gridati come incitamento mentre si gioca a biliardino: c'è spazio per un «Daje, a Veleno!», soprannome dell'interista Benito Lorenzi, ma anche e soprattutto per un «Forza, a Treré!», centrale della Roma di quegli anni. In borgata il calcio è una cosa seria e attribuire a qualcuno il tifo per la squadra rivale può equivalere a un insulto: «An vedi questi! Ammazza che broccolo! […] 'Sto laziale stronzo!», grida Tommaso a chi non lo fa giocare a biliardino. E in un'altra occasione, stavolta escluso da una partita di calcio vera e propria, Tommaso si lamenta: «Quale giusti, quale giusti, ma che sarebbe? Che, sete 'a Roma?». Poi, entrato in campo di prepotenza, si paragona a uno dei giocatori più tecnici della Roma del tempo: «Nun lo vedi che so' Pandorfini so'?». Infine, nell'ultimo capitolo del romanzo, la sua vita è cambiata: al suo riscatto sociale è seguito quello morale, che culminerà con l'atto che lo porterà alla morte. Da simpatizzante prima fascista, poi democristiano, si è infine avvicinato al PCI durante la degenza in ospedale. Nella sua giacca, assieme al portafoglio con la tessera del partito, c'è una penna biro giallorossa: forse l'unico simbolo del suo passato che resiste.

Anche nei primi racconti romani, datati 1950-51, la Roma è l'unica squadra evocata. Nel racconto "La passione del fusajaro" il venditore di fusaglie "Morbidone" si innamora di un maglione visto in una vetrina a Campo de' Fiori e la sua infatuazione verso il costoso oggetto del desiderio lo porta a fantasticare: «Gli sguardi di ogni pischella erano per lui. Poi, la domenica, a Ostia – no, alla partita di calcio. La Roma avrebbe vinto – a dispetto di Luciano e Gustarè – ed egli col maglione azzurro sarebbe andato a ballare in una sala del Trionfale: e avrebbe ballato con le più belle ragazze». Ed è della Roma anche l'ipotetico giornalista a cui si rivolge Pasolini nel racconto "Reportage sul Dio", che si scommette il caffè con il barista sui risultati della squadra giallorossa .

La pagina de "l'Unità" del 28 ottobre 1957 con l'articolo scritto da Pasolini inviato al derby

Dialetto, giochi, scorribande, bagni nel fiume e nelle marrane: Pasolini è pronto a farsi coinvolgere in tutto ciò che il microcosmo delle borgate romane può offrirgli, compreso il tifo per una squadra di calcio. Sarebbe però scorretto affermare che iniziò a tifare per la Roma, perché mai rinnegò il suo esclusivo amore per il Bologna, ma è evidente che il suo interesse verso la squadra giallorossa andò ben oltre la semplice curiosità da osservatore. Il poeta Aldo Onorati parla esplicitamente di questa sua "simpatia" per la Roma: «Quando veniva a trovarmi ai Castelli Romani, si finiva per parlare anche di calcio. Io tenevo alla Lazio: squadra che lui, tifosissimo del Bologna e simpatizzante romanista, non vedeva proprio di buon occhio». A far crescere in lui questa simpatia romanista contribuì certamente Sergio Citti, che lo introdusse al mondo del tifo giallorosso nei settori popolari dell'Olimpico, coacervo di romanità da cui Pasolini rubava volti, espressioni, caratteri.

Tuttavia Paolo Volponi, intervistato da Laura Betti nel documentario "Pier Paolo Pasolini e la ragione di un sogno", racconta di essere andato allo stadio con Pasolini, ma per altri motivi: «La Roma era famosissima perché aveva tanti assi ma perdeva sempre. Beccare in casa col Legnano, col Modena… Per noi era un divertimento immenso vedere come si disperava la folla romana di fronte a questi disastri che gli capitavano sistematicamente tutte le domeniche». Risulta difficile credere che Pasolini andasse allo stadio solo per soddisfare la sadica voglia di vedere gli altri disperarsi. Più probabile è che, come accadde nel derby del 1957 vinto dalla Roma e da lui raccontato per "l'Unità", fosse naturalmente portato a schierarsi con i più deboli: «Non si può non avere simpatia per i vinti: i vittoriosi me lo concederanno…». Insomma: Pasolini si sentiva affine ai tifosi della Roma perché era la squadra del popolo, tifata nei degradati rioni del centro e nelle periferie dimenticate, dagli immigrati venuti dalle campagne, dai baraccati, dagli emarginati. Ma quando erano i più deboli a battere la squadra della capitale, non poteva che sorridere.

"Il calcio secondo Pasolini" di Valerio Curcio è in libreria dal 31 ottobre per Aliberti Compagnia Editoriale; 144 pagine, 16 euro

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