Parola di Lupetto
Già dal 1974 Gratton aveva rinnovato la grafica del club, il 30 giugno 1978 nasce il logo del secondo scudetto, grazie alla visione di Anzalone di dare avvio al merchandising


Se ogni tifoso romanista che ha provato a disegnarlo non ci è riuscito, il motivo è semplice: un disegno così perfetto poteva essere realizzato solo da un genio. Un genio romanista, quello di Piero Gratton, che nel 1978 fece uscire dalla sua matita il lupetto. Il 30 giugno, cioè oggi, fu depositato il brevetto e quest’anno la società ha istituito il “lupetto day”, di cui trovate traccia sui social già da qualche giorno. I tifosi lo stanno disegnando, perché non ci si stanca mai di provarci, e racconteranno come è entrato nella loro vita.
Già, ma come è entrato il lupetto nella vita della Roma? Di sicuro non lo ha fatto in silenzio, anzi. Piero Gratton già dal 1974, quando Gilberto Viti, ammirato dal suo lavoro svolto in occasione dei campionati europei di atletica di Roma, lo portò in società, aveva totalmente rinnovato la grafica del club. Biglietti, abbonamenti, manifesti, carte intestate, ogni cosa era disegnata secondo una immagine coordinata. C’era però bisogno di un logo per poter avviare il merchandising, prima società in Italia, grazie alla visione di Gaetano Anzalone. E così nasce il lupetto, che viene presentato nella sede del circo massimo il 20 luglio 1978 e che non si chiama subito così. In realtà non ha un nome, anzi, è lui stesso a chiedere di essere chiamato “lupacchiotto”. Lo fa il 16 novembre 1978 sul Messaggero. L’operazione, infatti, non aveva riscosso grande successo. Un po’ freddi i tifosi, decisamente critica la stampa. L’11 ottobre 1978 Oliviero Beha era andato giù duro. “Come ti spoglio il tifoso”. S’intitolava così un articolo uscito a sua firma su Repubblica, tre giorni dopo la prima partita casalinga del campionato in cui erano stati inaugurati i “Roma Shop” allo stadio. Nel mirino anche l’iniziativa di vendere i posti a vita per ottenere i soldi necessari per comprare Roberto Pruzzo, i prezzi alti negli shop che, uniti alla pesante sconfitta subita sul campo (3-0 per il Milan), sono assist ghiotti per dare il via alla critica. E nel calderone finisce anche “il mercimonio del lupetto rampante”, come lo definisce Beha, che già lo chiama lupetto.
Il 16 novembre 1978 sul Messaggero esce un articolo firmato “Lupacchiotto”, in cui il nuovo marchio parla in prima persona e difende se stesso. «Caro Messaggero – inizia così - so che questa lettera susciterà qualche meraviglia. Un lupo che scrive a un giornale? Quando mai”. E poi, dopo le presentazioni: “Mi è toccato perfino di leggere, perché da quel lupacchiotto (per favore, non mi si chiami più “lupetto”, che fa tanto fumetto) evoluto, acculturato e managerizzato che sono, m’ingegno anche a scorrere i giornali, che i tifosi giallorossi m’accusano di “portare jella” e che gli stessi per tanto richiedono a furor di popolo il ripristino della “vecchia e gloriosa lupa”, come dire: mia madre”. E dopo tutte le argomentazioni del caso a sua difesa, la chiusura profetica: “Visto che parliamo di cuore, vi garantisco che il mio non ha niente da invidiare a quello, leggendario, di mia madre, è soltanto più giovane. Datemi il tempo e ve lo proverò».
Il tempo gli ha dato ragione. Il lupetto era un’idea talmente azzeccata che, dopo essere stato accolto come elemento di rottura della tradizione, e quindi male, è diventato simbolo della tradizione romanista. Perché le cose fatte col cuore, e il cuore di Piero Gratton era profondamente romanista, sono destinate a vincere.
Piero Gratton è stato un genio totale nel suo campo. Ancora oggi i suoi lavori, conservati nell’archivio storico dell’AS Roma, sono oggetto di studio da parte di chi si vuole laureare in grafica e design. Un po’ soffriva del fatto che venisse spesso associato solo al lupetto. Ma poi basta una scena del documentario realizzato dal figlio Michelangelo, naturalmente cuore romanista, in cui racconta di essersi commosso quando un giorno, passando alla zona dedicata ai bambini presso il Verano, vide tantissimi disegni col lupetto. Raccontandolo, si commosse un’altra volta. Sì, il lupetto sarà stato pure creato per commercializzare materiale, ma è nato per emozionare. Lo ha sempre fatto, praticamente a parte qualche piccola eccezione non se n’è mai andato dalla maglia della Roma e lo potete trovare ovunque. Nei quaderni dei bambini, nei tatuaggi degli adulti, nelle bandiere, negli oggetti che si regalano, anche a se stessi. Il lupetto è stato proprio un bel regalo.
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