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Di Chirico: "Combatto con la Roma nel cuore, felice per l'arrivo di Pastore"

Il fighter : "Passione familiare, con mio fratello in Curva. Adoro De Rossi, incontrarlo mi ha provocato i brividi. Sono abbonato in Sud, provo rispetto per gli ultras"

30 Luglio 2018 - 13:28

Alessio Di Chirico, classe 1989, è uno dei pochi fighter italiani che combattono nella Ultimate Fighting Championship (UFC), ovvero il massimo campionato di MMA (Mixed Martial Arts) al mondo. Dopo aver disputato alcune stagioni nei Grizzlies, squadra di football americano, inizia a praticare le arti marziali miste. Un amore a prima vista che nel giro di pochi anni lo proietta al vertice del campionato italiano prima, quindi alla chiamata della UFC statunitense nel 2016.
Soprannominato "Manzo", Di Chirico si allena nella palestra Gloria Fight Center, di cui è socio fondatore insieme a Riccardo Carfagna, sotto l'occhio esperto dell'head coach Lorenzo Borgomeo. Romano e romanista, Di Chirico sveste i panni del campione di domenica in domenica per mischiarsi al popolo giallorosso pronto a popolare gli spalti della Curva Sud dell'Olimpico.

Che ne pensi della nuova Roma targata 2018-2019?

«Purtroppo a causa degli impegni non riesco a seguire gli allenamenti e le amichevoli estive. Sono felice per l'acquisto di Javier Pastore, avevamo bisogno di un centrocampista così tecnico e di un fantasista del genere. In quel ruolo ha spesso giocato Nainggolan: secondo me però quella non era la posizione giusta, anche se mi dispiace sia andato all'Inter. Mi è dispiaciuto anche per la cessione di Alisson, più che altro perché penso sia stato una colonna portante della squadra e soprattutto perché è finito al Liverpool. Mi piace Mirante: è un portiere di grande esperienza e vorrei vedere anche un altro nuovo difensore centrale oltre a Marcano da affiancare a Manolas, che è un vero fenomeno, e Fazio che è molto bravo».

L'anno scorso ti sei abbonato in Curva Sud, hai rinnovato l'abbonamento per questa stagione?

«Certo che ho rinnovato l'abbonamento! Purtroppo solo per le diciannove partite di Serie A e non quello per la Champions League, non so ancora come sarò messo tra impegni e preparazione ai match. Di certo l'abbonamento alla Champions è molto comodo, tra risparmio economico e la prelazione per le gare a eliminazione diretta. Nella passata stagione sono riuscito a vedere quasi tutte le partite casalinghe di Serie A, mi è dispiaciuto saltare l'ultima in casa con la Juventus a causa di uno stage. Andare allo Stadio Olimpico, in Curva Sud, mi rilassa e mi aiuta a staccare. La Curva è un mondo a parte, con le sue regole e rispetto moltissimo gli ultras che la compongono e tifano senza sosta. Da ragazzo mi sono avvicinato a questo mondo diciamo per moda, per emulazione, poi però il tifo ti entra dentro come una malattia. Mi ero allontanato per un periodo, forse mi ero demoralizzato perché spesso è difficile mandare giù il boccone amaro della sconfitta. Mio fratello invece ha continuato a frequentare la Curva e, dopo un po' di tempo, sono tornato con lui e da lì non ne ho potuto di nuovo farne a meno».

Quali pensi che debbano essere gli obiettivi stagionali della Roma?

«Non credo negli obiettivi di inizio stagione: per me un atleta deve sempre dare il meglio. I successi si costruiscono di allenamento in allenamento, partita dopo partita, mese dopo mese. Il lavoro è fondamentale e non ci si deve abbattere nelle difficoltà né esaltarsi troppo nelle gioie, ma continuare a lavorare senza tregua. Per arrivare a vincere e ottenere successi c'è bisogno di un'unione totale tra squadra e tifo. La tifoseria fa la differenza. Non mi scorderò mai i cori dei nostri tifosi ad Anfield, quell'amore nonostante il risultato negativo mi ha fatto venire i brividi. Cantavano sul 5-0 e hanno continuato ben oltre il 5-2 finale. Insomma, serve un tutt'uno tra città e squadra. Il tifoso deve pensare a tifare, quello è il suo compito e non deve interessarsi troppo al resto».

Quali sono il tuo giocatore preferito e il ricordo più bello legato alla Roma?

«Sicuramente Daniele De Rossi, un grande capitano e un vero uomo-squadra. Sono le squadre a vincere i campionati, non i singoli. Finché indosserà la fascia so che ci sarà qualcuno pronto a difendere la Roma e i romanisti contro tutto e tutti, perché lui è uno di noi. Secondo me non è riuscito ad esprimere appieno tutto il suo valore: è stato, ed è tuttora, uno dei centrocampisti più forti della storia. Il ricordo più bello è senza dubbio lo Scudetto e quel magico 17 giugno del 2001. La passione e l'amore per la Roma è nato in famiglia: siamo romani e romanisti, nati e cresciuti vedendo la partita tutti insieme la domenica».

Quali calciatori della Roma vedresti bene dentro l'ottagono?

«Tempo fa stavo passeggiando per Las Vegas e a un certo punto mi si avvicina un ragazzo: era Daniele De Rossi. Mi sono venuti i brividi, tanta era l'emozione. Lui lo vedrei bene dentro l'ottagono, anche Nainggolan, ma ormai non è più un nostro calciatore. Un altro che secondo me potrebbe fare bene è Kevin Strootman, è alto e molto potente. Un giocatore che stimo moltissimo è Edin Dzeko: ha avuto qualche difficoltà nella prima stagione qui, ma poi si è ripreso dimostrando di essere un campione. Mi sembra un ragazzo sensibile, una persona di cuore che quando ha la squadra e il tifo alle sue spalle pronto a sostenerlo dà il cento per cento».

Il 6 luglio scorso alla T-Mobile Arena di Las Vegas hai vinto il tuo terzo incontro in UFC.

«L'UFC organizza gli incontri con largo preavviso. Per preparare il match contro Julian Marquez ho deciso di cambiare guardia, è stato il mio primo incontro strutturato in questo modo. Di solito quando si inizia con una guardia la si tiene per tutta la carriera, ritengo sia meglio essere il più versatili possibili per plasmare il proprio allenamento all'avversario. Prima dell'incontro mi sono recato a Las Vegas per due settimane, per motivi di fuso orario e soprattutto per abituarmi alle diverse condizioni meteorologiche (Las Vegas è a 610 sul livello del mare, contro il massimo di Roma fissato a 380 metri, ndA). Mi sono allenato nella stessa palestra di Marquez, che è un bravissimo ragazzo, ma io quando preparo un incontro preferisco mantenere le distanze. Non sono il fighter "amicone", quello che cerca di stringere un legame prima del match. Ci sono altri fighters, ad esempio, che utilizzano molto il trash talking. Mc Gregor lo usa spesso durante gli incontri come strategia. Io da questo punto di vista sono diverso e a fine incontro mi sono congratulato con Julian».

Quali sono i tuoi progetti per il futuro? Hai raggiunto il secondo successo consecutivo in UFC, l'ultimo fighter italiano a raggiungere tale traguardo era stato Alessio Sakara nel 2010 con ben tre vittorie di fila.

«Negli ultimi anni ho combattuto relativamente poco, solo due incontri all'anno. Vorrei farne di più, almeno il doppio a stagione. Secondo me ogni fighter deve entrare nell'ottagono per vincere, a prescindere dal possibile superamento dei traguardi altrui. Il vero obiettivo per me è entrare nella Top 10, ne parlo poco per scaramanzia. In questo momento sto recuperando dall'incontro contro Julian Marquez, sto facendo fisioterapia non per qualche infortunio in particolare ma per i molti acciacchi postumi. Sto ricominciando anche ad allenarmi per tornare subito ed essere pronto per eventuali future short-notice (ovvero le chiamate con scarso preavviso, ndA)».

Al Gloria Fight Center ti alleni insieme a un noto nipote d'arte, ma di fede opposta alla tua.

«Con Carlo Pedersoli jr ci sfottiamo e ogni tanto lui prova a prendermi in giro. Non riesco a parlare seriamente con i tifosi laziali (ride, ndA). Il mio socio Riccardo Carfagna è un altro laziale doc, dopo la sconfitta contro l'Inter gli dissi che mi sarebbe piaciuto vederli in Champions League alle prese contro top-club come Real Madrid, Barcellona e altre. Lo sfottò ci sta, il derby è una partita unica e se non ci fosse tutto sarebbe diverso. Non sono un romanista che guarda le partite della Lazio, io penso solo e soltanto alla mia Roma».

Hai mai pensato di trasferirti all'estero per motivi legati alla tua professione?

«Per un breve periodo ho pensato di lasciare Roma. Poi però ho pensato che questa è casa mia e ho deciso di restare qua. Abbiamo una patria da difendere e valorizzare, molti ragazzi se ne vanno perché la situazione non è certo ottimale e molti, a torto o ragione, dicono non ci sia futuro. Ho deciso di rimanere qua per cambiare, nel mio piccolo, le cose. Su tutti i fronti».

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