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Cogito Ergo Sud

Né a Boston, né a Houston: la Roma è al Tre Fontane

Fonseca parla ai suoi tifosi: non è un capopopolo, non arringa le folle, non aizza, non blandisce, non s’arruffiana. Ha solo la cura e la premura di parlare ai romanisti a Capodanno

02 Gennaio 2020 - 09:21

Un fumogeno al cielo mezz'ora prima del tramonto quando diventa obbligatorio in città accendere gli anabbaglianti ma non parlare a duemilaseicento persone il primo giorno dell'anno. Un uomo in mezzo al campo che fa l'allenatore della Roma e prende un microfono, accompagna con le parole quei fumi dicendo cose non fumose. Nessuna luce abbagliante, nessun effetto spettacolare, anzi persino semplice buon senso, che è esattamente quello che serve qua.

La Roma non è né a Houston, né a Boston, ma al Tre Fontane, tra un murales che ricorda Liedholm e un luna park che non ricorda quello che era una volta. L'uomo col microfono non è un capopopolo, non arringa le folle, non aizza, non blandisce, non s'arruffiana anche perché Roma non perdona ma sgama. Paulo Fonseca ha solo la cura e la premura di parlare ai tifosi a Capodanno. Buona fine a Firenze e buonissimo principio ieri. Un episodio di una semplicità quasi sconcertante che pure da queste parti non si vedeva (a memoria di tifoso) da quando De Sanctis prese il microfono in mano all'open day della stagione 2013/14 di fronte a uno striscione che ancora oggi resta (o dovrebbe restare) manifesto di "filosofa tifosa" («Non saper rimediare ad una sconfitta è peggiore della sconfitta stessa»).

Anzi, tecnicamente, l'ultima volta che qualcuno aveva parlato col microfono in mano ai tifosi era stato Totti. Ma quel giorno sta nell'a-parte di tutto e di ognuno di noi, tra l'iperuranio e la Sud. Qui c'è una quotidianità ritrovata. Stiamo di nuovo all'aggiungi un posto a tavola che c'è un tifoso in più. Stiamo a quello che serve alla Roma: la Roma, cioè i tifosi sugli spalti, giocatori e allenatore in campo (con società in questo caso vigile in panchina). Tutte le componenti quasi faccia a faccia, tutte le componenti in una, rispettando - si dice così – i rispettivi ambiti: spalti, campo, tribuna.

Tutti insieme, il messaggio di Fonseca è solo quello, sia lì in campo sia poco prima negli studi di Roma tv. «Tutti insieme, dobbiamo andare tutti insieme per riuscire. I tifosi della Roma sono la cosa più bella che ho scoperto qua, per me sono fantastici, loro sono innamorati della Roma e io di loro». Se sei romanista 'ste parole te fregano ma te piace esse "fregato" anche perché chi lo dice è tutto fuorché un ladro.

È un allenatore preparato che sta portando equilibrio rigoroso sia in campo sia fuori (e anche con un microfono tra palco e realtà) ma senza perdere anzi aumentando qualità, come quel colosseo quadrato che si vede sullo sfondo al Tre Fontane. C'è Roma sullo sfondo sempre, soprattutto quando sta con la sua gente. È tutto qua.

La Roma è una squadra che è nata "tutti insieme", che è nata unendo, rioni, quartieri, genti, panchine, sampietrini, serci e monumenti. Aristocratica e popolare, papalina e stradarola, in questo pomeriggio da post cenone, con quasi di fronte le insidie del Toro e all'orizzonte i fisiologici sogni che si porta un cambio di proprietà si è semplicemente ritrovata. Così come il cielo ha ritrovato i suoi colori perché intanto il fumogeno è andato a finire là.

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