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Amelia: "Alla Roma serve un allenatore come Mourinho"

L'ex portiere giallorosso a Il Romanista: "In panchina c'è bisogno di qualcuno che abbia personalità. I problemi di Olsen sono tutti dentro la sua testa"

Marco Amelia, di LaPresse

Marco Amelia, di LaPresse

05 Aprile 2019 - 10:11

Indovinello: è campione del mondo, ha vinto lo scudetto con la Roma, è cresciuto nel settore giovanile di Trigoria, è tifoso della Roma. Chi è? Sbagliato. Perché non crediamo di dire una cosa errata immaginando che la risposta unanime sia stata quella lì, sì, il numero Dieci, il Capitano che ora vediamo seduto in tribuna e del quale ci sentiamo un po' tutti orfani.

No, non è lui. Perché stiamo parlando di Marco Amelia, campione d'Italia in giallorosso, campione del mondo in azzurro, Trigoria è stata casa sua per anni e, soprattutto ci viene da dire, tifosissimo della Roma. Chi scrive, tanto per dire, se lo ricorda qualche anno fa al Franchi di Firenze in occasione di una partita della Roma contro i viola, seduto in tribuna a tifare.

Qualche ora prima aveva giocato con il Livorno, la sua squadra dell'epoca, poi si era precipitato a Firenze per seguire la sua Roma. «Sono cresciuto tifoso, in una famiglia di romanisti, per la Roma ho fatto anche di peggio» ci ha detto nella hall di un albergo superlusso dove lo abbiamo incontrato dopo che era stato appena intervistato dalla televisione francese che sta realizzando un documentario su Cristiano Ronaldo e Lionel Messi. E allora cominciamo dal peggio.

Marco raccontacelo questo peggio.
«Sapessi quante partite ho visto in Sud».

Come riuscivi ad andarci?
«L'importante era che la Roma giocasse in notturna. Io magari ero impegnato con la mia squadra del momento nel pomeriggio. Giocavo, mi facevo la doccia, salivo in macchina e volavo a Roma».

Allo stadio?
«In Sud. Qualche volta non avevo neppure il biglietto. Lo rimediavo all'ultimo minuto e poi entravo, tifoso tra i tifosi».

Ma non c'era il rischio che ti riconoscessero?
«Certo che c'era. Ma io mi nascondevo».

Come ti nascondevi?
«Mi camuffavo con i vestiti, mi coprivo per non farmi riconoscere. E poi tifavo, cantavo, gridavo. È peccato?».

Neppure veniale, semmai è una medaglia.
«Io sono così. Non ho mai fatto mistero di essere tifoso della Roma. E nel corso della mia carriera più di una volta ho provato a tornare in maglia giallorossa. Purtroppo non è mai stato possibile».

L'ultima volta quando è successo?
«Con Monchi».

Con Monchi?
«Sì. Era appena arrivato alla Roma, gli dissi che ero pronto a fare il terzo portiere».

E cosa ti rispose?
«In realtà niente, era solo un mio sogno, ormai non avrei più potuto tornare in campo avendo già fatto il corso allenatori che ti obbliga a smettere».

Hai parlato di Monchi, mi sembra il giusto lasciapassare per cominciare a parlare della Roma di quest'anno. Te la aspettavi così al di sotto delle attese?
«No. Ero convinto che potesse fare meglio. Non dico al livello della Juventus, forse neppure del Napoli, ma questa Roma secondo me vale parecchio di più rispetto a quello che ha ottenuto in campo».

Certo però che Monchi di errori ne ha fatti parecchi...
«Ma io non sono così negativo sul lavoro che ha fatto».

Marco, questa forse è una cosa difficile da capire.
«È indubbio che le cose non siano andate come si sperava. Alcuni giocatori, penso a Nzonzi e Pastore soprattutto, che avevano un mercato importante, non hanno avuto il rendimento che si pensava nel momento in cui sono stati acquistati. Io credo che non sia stato capito e forse pure lui non ha capito tante cose di Roma. Non va neppure dimenticato che doveva anche rimettere a posto i conti».

Il risultato però è la Roma di quest'anno che rischia di non andare in Europa.
«Penso che ci si possa ancora andare in Europa, ma in ogni caso i problemi sono stati anche altri».

Quali?
«Uno su tutti: la problematica degli infortuni. Ce ne sono stati tanti, troppi muscolari. E sai questo che cosa può scatenare nella testa dei giocatori?».

Che vuoi dire?
«Che quando manca la fiducia dal lato fisico, un giocatore non riesce a giocare come sa e può. Se ti fai prendere dall'ansia che, scattando, ti fai male, quello scatto non lo fai mai perché temi di infortunarti. Questa cosa nella testa di un giocatore può essere devastante. Lo dico perché nella mia carriera mi è capitato».

Quando?
«Al Milan. Ci fu una stagione in cui si fecero male in molti, parecchi a causa di traumi. La squadra ne risentì. Te lo ricordi il brasiliano Pato?».

Certo, sembrava un campione.
«Era un campione. Quando è entrato nella spirale degli infortuni ha fatto fatica a riprendersi. Mi sarebbe piaciuto vederlo alla Roma, un giocatore che sarebbe piaciuto anche a Totti».

A proposito di Totti. C'è chi lo vorrebbe come capo di questa Roma.
«Per il bene che gli voglio, gli dico di scegliere la strada della prudenza».

Cioè di fare un passo indietro piuttosto che uno in avanti?
«Non dico questo. Ma semplicemente che diventare un dirigente importante è una strada lunga, complessa e piena di trappole. Totti può fare tutto, sia chiaro, ma in questo momento prendersi la Roma sulle spalle come faceva quando giocava e decideva, rischia di essere un compito molto gravoso, oltretutto in un momento molto delicato. Dovrebbe essere supportato da un team di professionisti e, grazie a un lavoro di squadra, sfruttare le sue qualità di uomo di campo».

Quali?
«Quelle di riconoscere i grandi giocatori perché lui è stato un campionissimo, un autentico fenomeno che ha avuto la forza di rimanere con la maglia della Roma per tutta la sua carriera. Il resto, con il tempo, lo apprenderebbe. Ma oggi dargli tutta la responsabilità rischierebbe di bruciarun patrimonio di Roma, della Roma e dei romanisti».

Ma è Totti, a Roma non si brucia.
«Purtroppo devo rispondere che non è così scontato. Io non dimentico che più di qualcuno lo criticò anche quando giocava. Roba da pazzi considerando il campione che è stato».

Si parla anche di De Rossi come possibile futuro allenatore.
«Daniele è un altro mio amico vero, ma domando: ha deciso di smettere di giocare?».

Per ora non si sa.
«Ecco, allora lasciamolo tranquillo di decidere il suo futuro. Ho parlato con lui, mi ha sempre detto che gli sarebbe piaciuto fare un'esperienza all'estero, ma poi è rimasto sempre qui perché troppo legato alla maglia. Come allenatore del futuro, poi, nell'immediato c'è un altro problema da affrontare e risolvere».

Quale?
«Deve prima passare per la scuola di Coverciano per fare i corsi da allenatore quindi adesso non potrebbe farlo. Io sono convinto che possa diventare un tecnico di prima fascia, ma darei tempo al tempo».

Hai vinto con Capello alla Roma, Allegri al Milan, hai lavorato con Mourinho: ci fai l'identikit del tecnico che prenderesti?
«Un tecnico con un carattere forte, la mente aperta, maniacale nella cura dei dettagli, comunicatore di prima qualità all'interno e all'esterno dello spogliatoio».

Ci sembra l'identikit più di Mourinho, con cui hai lavorato al Chelsea, che di Conte.
«L'hai detto te, ma è così. Special One è un fenomeno. Se un giocatore vale cento, lui lo fa andare a duecento. E questo vale non solo per i giocatori, ma per tutti quelli che lavorano per un club, dal giardiniere al magazziniere. E poi è uno che sa calarsi nell'ambiente dove va a lavorare, prima lo studia, poi si presenta. Ricordate quando andò all'Inter e fece la battuta «mica sono un pirla?». Dovesse arrivare qui ce ne farebbe una in romanesco. Potrebbe essere l'uomo giusto. Potrebbe essere l'uomo giusto per l'immediato».

La Roma quest'anno ha avuto un problema anche in porta. Olsen non è stato il massimo.
«Quando si parla di un portiere non va mai dimenticato il resto della squadra. Se è in difficoltà la squadraquello a risentirne di più è il portiere che quando sbaglia si trasforma in colpevole. Savorani, che è il top come preparatore dei portieri, mi ha parlato bene di lui, spero possa riprendersi e diventare decisivo».

Alla Roma società che consiglio ti senti di dare per ripartire?
«Non mi permetto di dare consigli, ma posso parlare in base alla mia esperienza. L'unica cosa che dico è che sarebbe importante ricreare feeling con i tifosi che hanno un peso ovunque, ma quelli della Roma sono unici».

Vogliono costruire lo stadio.
«Fanno bene. Io ho giocato in Inghilterra e lì ho capito l'importanza di un impianto di proprietà per un club. Ma te li immagini i tifosi della Roma in uno stadio concepito e costruito per il calcio? Altro che uomo in più».

Oggi fai l'allenatore. Se ti telefonasse la Roma per un ruolo a Trigoria cosa risponderesti?
«Quello che ha risposto Ranieri, cioè alla Roma non si può dire di no. Devo fare ancora il master da allenatore, l'ultimo step, ora lavoro con la Lupa Roma e sto facendo un'esperienza costruttiva e formativa. Adesso tocca a me, devo lavorare sodo per scrivere una nuova pagina della mia storia professionale».

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