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Il commento

Pinto e virgola

Il gm portoghese va via lasciando una Roma migliore. E i Friedkin, in silenzio, continuano ad agire

Tiago Pinto sul terreno di gioco di Trigoria

Tiago Pinto sul terreno di gioco di Trigoria (GETTY IMAGES)

02 Febbraio 2024 - 08:24

Tra le (poche) cose che sappiamo dei Friedkin una è certa: quando c’è da pagare il conticino non si voltano dall’altra parte. Lo hanno fatto anche in queste ore, versando 10 milioni cash per chiudere l’operazione Baldanzi, assicurando così alla Roma a titolo definitivo il miglior talento italiano under 21. E questo è un merito essenziale in una società affidata a manager di alto profilo che vengono chiamati periodicamente a rispondere delle proprie responsabilità dopo aver operato in ogni caso con la più ampia copertura finanziaria possibile e nelle migliori condizioni professionali. Il rimprovero che ai proprietari della Roma viene più frequentemente rivolto (mai, se ci fate caso, sul giornale che state leggendo) è che non concedono interviste. E se noi non lo facciamo notare non è certo per soggezione o subalternità. È solo che siamo convinti che tra due modelli differenti (il presidente chiacchierone che interviene su tutto, gira le frittate a modo suo ma poi razzola male, e quello silenzioso che però parla attraverso i fatti) sia decisamente preferibile il secondo.

Poi però cerchiamo di valutare i fatti, magari resistendo alla tentazione di farlo cavalcando le onde dei picchi di umore di una città troppo sensibile. La chiusura della gestione Mourinho, per esempio, non è piaciuta a noi come non è piaciuta a nessuno, al netto di quei (pochi) tifosi che il portoghese non l’hanno mai digerito. Restiamo del parere che José meritasse la chance di poter restituire un senso alla stagione nel momento in cui avrebbe trovato di fronte gli stessi avversari modesti che stanno consentendo a Daniele De Rossi di rivitalizzare la squadra. Ma se guardiamo le cose dal punto di vista dei proprietari del club, che temevano di vedere sfumare la possibilità di arrivare in Champions, appare chiaro come proprio in coincidenza di questo momento della stagione sia stata individuata l’ultima possibilità di intervento per migliorare il rendimento e impostare il futuro, stante il fatto che avevano ormai raggiunto la convinzione di non proporre a Mourinho alcun rinnovo di contratto. E se i risultati a maggio avranno loro dato ragione, in qualche modo avranno raggiunto il classico risultato doppio con un solo intervento: con la fava dell’esonero del portoghese, il piccione della Champions League, con relativi benefici economici, e il piccione di un allenatore altrettanto amato ma economicamente (assai) meno impegnativo.

Mourinho ha lasciato comunque un patrimonio davvero inestimabile: ha fatto capire a tutti (società, squadra, tifosi, media) che cosa significa, realmente, giocare per vincere. La sua personalità luminosa sparge luce nel raggio di chilometri, a volte se ne resta accecati, ma è indubbiamente un top nel suo ruolo e chiunque abbia avuto modo di rapportarsi con lui esce dall’esperienza migliorato. Ammesso che gradisca consigli non richiesti, l’unico appunto che ci sentiamo di muovergli è che avrebbe potuto con due o tre accorgimenti migliorare la qualità della manovra della squadra, magari anche affidando l’addestramento tattico specifico a qualche collaboratore: nel suo ruolo se lo può permettere. Ma per il resto ha saputo incarnare la figura dell’allenatore della Roma forse meglio di quanto avrebbero potuto fare persino tanti romanisti. E gli saremo eternamente grati e riconoscenti per questo. 

Rinunciando a Mou, i Friedkin potevano fare due sole mosse: chiamare un altro Mourinho (ma nel mondo ce ne sono due o tre, e non sarebbe stato facile convincerli in due giorni) oppure affidare la squadra a Daniele De Rossi, l’unico in grado di gestire l’inevitabile malumore dei tifosi coltivando contemporaneamente la prospettiva di diventare un grande allenatore, dando seguito a quelle che per ora sono solo potenzialità. Ecco perché su questo giornale abbiamo rapidamente elaborato il lutto per l’allontanamento di Mourinho e abbiamo immediatamente sposato la causa del nuovo tecnico, soprattutto dopo che le perplessità per la fiducia a tempo (per via del contratto di cinque mesi) sono state spazzate via dallo stesso De Rossi in conferenza: e quando raccontava di aver avuto la garanzia che sarebbe stato giudicato esclusivamente sulla base del suo comportamento gli brillavano gli occhi. Meritava di essere creduto.

Infine, tra le (poche) cose che ci ha detto questa sessione di contratto ce ne sono un paio chiarissime: intanto che Baldanzi e Angeliño sono due giocatori non solo avallati ma fortemente richiesti dallo stesso allenatore. Segno che la fiducia nei suoi confronti non è poi così limitata. L’altra è che un po’ di riconoscenza la dovremmo anche all’architetto che ha disegnato la squadra prima di lasciarla: ottimo manager e persona per bene, Tiago Pinto è stato avversato dalla maggior parte dei comunicatori che gravitano intorno alla Roma forse per via della sua naturale tendenza alla riservatezza. E alla fine sta lasciando, come aveva promesso, una Roma migliore e finanziariamente meno esposta rispetto a quello che ha trovato: basta vedere il numero dei giocatori sotto contratto, la diversa qualità tecnica della squadra, il livello raggiunto dalla squadra femminile e dei diversi gruppi di settore giovanile. Ci resta un solo rammarico: con Daniele De Rossi avrebbe formato una coppia davvero ben assortita.

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