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La partita

C'è Solbakken, non serve altro

8ª vittoria di misura in campionato. Decide l'attaccante norvegese (all’esordio) a fine primo tempo. Lo stadio canta per i Fedayn e festeggia la Roma

Ola Solbakken durante Roma-Hellas Verona

Ola Solbakken durante Roma-Hellas Verona (GETTY IMAGES)

20 Febbraio 2023 - 10:01

Vince la Roma, tra 61009 sospiri di sollievo, qualcuno più mugugnante (da cui l’arrabbiatura di Mourinho), qualcuno con l’emozione sotto la pelle non solo per la palpitazione della partita ma anche per il tributo riconosciuto ai Fedayn prima, durante e al termine della gara, quasi tutti convinti dall’impegno dei romanisti in campo, con Dybala in tribuna, Pellegrini in panchina proforma e Abraham in campo solo 15 minuti, il tempo di venir calpestato fortuitamente in faccia e di raggiungere quindi Villa Stuart per il pronto soccorso (ferita sotto l’occhio, è ovviamente in dubbio per giovedì), con Karsdorp e Spinazzola al rientro sulle fasce, Solbakken all’esordio e Bove in mediana. E alla fine è arrivata la sospirata vittoria, l’ottava in campionato di misura, la quarta di fila all’Olimpico nel 2023 senza subire reti (non accadeva dai tempi di Garcia, 2004), grazie proprio al sigillo di Solbakken, felicissimo di sbloccarsi al primo colpo e di trascinare di nuovo la squadra al terzo posto, a pari merito con il Milan, a tre punti dall’Inter e a 18 dall’imprendibile Napoli. Non è stato facile vincere, ma è stato comunque il risultato più giusto. 

Contro queste squadre non è mai facile del resto vincere bene, perché sono studiate per complicare il lavoro degli avversari, per impedire di giocare, per distruggere ogni ispirazione, e per ripartire sugli errori. E fanno così per novanta minuti, senza pausa, a volte rinunciando a priori alla costruzione della manovra, e comunque trovando conforto nella natura ostruzionistica stessa, eletta a valore unico. Sono 11 marines più che 11 giocatori e se qualcuno va oltre, come ad esempio ha fatto l’invasato svedese Hien, dovrebbe essere l’arbitro ad intervenire e non, com’è accaduto ieri sera, l’allenatore. Perché il difensore centrale del Verona ha rimediato il primo, sacrosanto giallo al 28’ e in altre due occasioni si sarebbe meritato il rosso, in particolare al 40’ quando nell’ennesimo duello con Belotti, lo ha colpito da dietro, senza che né Sozza né il suo disattento assistente di fascia sotto la Tevere (Imperiale), ritenessero di dover intervenire. Scampato il rosso, a farlo fuori ha pensato Zaffaroni all’intervallo, col vantaggio però di poterlo sostituire. Belotti, per dire, era entrato in campo al 15’ perché Abraham aveva dovuto lasciare il campo dopo essere stato addirittura calpestato in faccia, ovviamente in maniera involontaria, in una mischia su un calcio d’angolo. Così di fatto anche lui ha dovuto dare forfait, dopo Dybala e Pellegrini, a riposo in vista dell’importantissimo ritorno col Salisburgo giovedì sera. E poi si andrà a Cremona, in un tour infinito e stressante che però forse potrà essere affrontato meglio col conforto dei giocatori in più ritrovati ieri sera da Mourinho. 

Dal primo minuto infatti il portoghese ha schierato Karsdorp e Spinazzola sulle fasce, ai fianchi dei soliti tre centrali, mentre Bove è stato affiancato all’instancabile Cristante, e con El Shaarawy e Solbakken alle spalle di Abraham (e quindi di Belotti), inedito trio d’attacco naturalmente portato all’aggressione alta più di quanto non faccia quello con Pellegrini e Dybala. E infatti la Roma ha accettato senza batter ciglio l’inevitabile struttura tattica di dieci duelli individuali tipica delle sfide con le squadre di impronta gasperiniana. Messi a specchio con lo stesso sistema di gioco, i giallorossi andavano a prendere con le tre punte i centrali Magnani, Hien e Dawidowicz, con i quinti Depaoli e Doig, con i mediani Tameze e Duda, con i difensori Ngonge, Lazovic e la punta centrale Gaich. Quand’è così, la partita di solito viene fuori bruttina, e vince la squadra con maggior qualità. E allora per descrivere il senso della gara si può partire dalla splendida realizzazione che l’ha decisa, con un lungo giro palla romanista sulla trequarti offensiva da destra a sinistra, con scarico per Cristante, verticale di sinistro per Spinazzola, tacco del redivivo terzino a liberare la profondità per Solbakken, che per lui è come un invito a nozze nella chiesa di casa, e infatti su quella palla s’è lanciato e quella palla ha deviato di punta col sinistro nell’angolo opposto. Splendido gol e bella pure l’esultanza: all’Olimpico aveva segnato da avversario con il Bodø, ieri ha capito la differenza.

Nel primo tempo e fino al gol è stata una gestione continua romanista, spezzata dalle aggressioni fisse degli avversari, a volte lecite altre meno. Così alla fine è emersa la precarietà dell’arbitro Sozza di Seregno, incerto nella distribuzione dei provvedimenti (puntuale però nel sanzionare Mourinho per le sue proteste) e soprattutto incapace di capire chi cercava di costruire e chi invece provava solo a distruggere. Gli ospiti per tutti i primi 45 minuti si sono visti dalle parti di Rui Patricio solo al 18’ per una punizione calibrata su un allungo a sinistra di Lazovic, con deviazione bloccata dal portiere, e al 22’ per una conclusione alta di Tameze. La Roma invece era stata pericolosa già al 2’ con un altro assist di tacco di Spinazzola a liberare la transizione di El Shaarawy e suggerimento impreciso per Solbakken partito in solitaria. Al 21’ l’attivissimo El Shaarawy (poi si spegnerà nel secondo tempo) ha cercato ancora di servire vanamente il norvegese, al 37’ si è messo in proprio Spinazzola, tiro deviato in corner in volo plastico da Montipò, al 47’ subito dopo il gol del vantaggio, ancora El Shaarawy ha tagliato il campo e ha provato a sorprendere il portiere avversario, bravo invece a respingere.

Nel secondo tempo, con Coppola a rilevare Hien, il canovaccio tattico non è cambiato, né la spinta della Roma soprattutto a sinistra: all’8’ Spinazzola ha tagliato ancora verso il centro, servendo Solbakken che ha cercato il tiro a giro di collo interno di sinistro per trovare lo stesso gol che aveva segnato da avversario, trovando però stavolta l’obiezione di un avversario. Il centrocampo del Verona è sembrato a poco a poco trovar fiducia, quando Cristante e Bove hanno ridotto un po’ il loro raggio d’azione senza perdere però mai l’intensità del loro contributo. Al 14’ Zaffaroni/Bocchetti hanno provato a cambiare l’inerzia inserendo due attaccanti nuovi, Lasagna e Braaf al posto di Gaich e Lazovic, e proprio l’olandese ha cercato fortuna con un tiro respinto, imitato subito dopo da Roig. Al 22’ Smalling, già ammonito, ha rischiato di rimediare il secondo giallo, ma sarebbe stato un paradosso vista la mancata espulsione di Hien. Con la stanchezza affiorante, Mou ha deciso di rinforzare qualche reparto, mandando in campo Celik e Zalewski per Karsdorp e Solbakken, lasciando il polacco nel suo ruolo naturale, quello da trequartista. E l’inerzia si è riequilibrata, con la Roma brava a prosciugare ogni fonte di gioco veronese. Zaffaroni/Bocchetti si sono giocati allora gli ultimi due jolly, inserendo Kallon e Abildgaard per Ngonge e Doig, cercando di aumentare anche il tasso dinamico dei reparti offensivi, ma mettere in difficoltà la Roma è davvero complicato, soprattutto quest’anno e soprattutto all’Olimpico. E infatti nel finale l’ardore scaligero si è smontato, mentre i giallorossi hanno ripreso vigore, aiutati pure da Wijnaldum che entrato all’86’ (per El Shaarawy) è sembrato per la prima volta sciolto come ai tempi belli di Liverpool e con un paio di discese delle sue ha messo in difficoltà gli avversari. E l’ultima occasione è stata per Belotti, ad incornare una torre di Ibañez su corner chiamando Montipò al miracolo finale.

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