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Il lungo percorso

22 anni a Piazza Affari: per la Roma non sono stati un successo

Era il 23 maggio del 2000, quando il presidente Franco Sensi mise in vendita il 29% del capitale totale. Il prezzo era di 10.000 lire per ogni singola quota

Franco Sensi, ex presidente giallorosso

Franco Sensi, ex presidente giallorosso

Matteo Cirulli
14 Settembre 2022 - 10:28

14 settembre 2022, la fine di un’era: la Roma esce dalla Borsa dopo 22 anni. Era il 23 maggio del 2000, quando il presidente Franco Sensi mise in vendita il 29% del capitale totale, circa 13 milioni di azioni. Il prezzo era di 10.000 lire per ogni singola quota (oggi al cambio circa 5,5 euro). La Roma fu la seconda squadra in Italia a fare il suo ingresso in Piazza Affari, seguendo l’esempio della Lazio, entrata in Borsa nel 1998. I biancocelesti vinsero lo scudetto l’anno seguente (così come la Roma, e così come la Juventus, che entrò in Borsa nel 2001, trionfando l’anno seguente). In un mondo tutto nuovo, dove ogni singola operazione (di mercato o sul campo) avrebbe influenzato il valore del titolo, il tifoso poteva diventare un azionista, in grado di partecipare alle assemblee societarie. Nonostante la vittoria dello scudetto nel 2001, il valore delle azioni fu subito in perdita: nel 31 dicembre 2002 il titolo aveva perso circa il 78% della prima quotazione.

Se molti vociferavano che la scelta di Franco Sensi di entrare in Borsa servisse per finanziare la campagna acquisti, nel 2009, Rosella, succeduta al padre, annunciava un aumento di capitale, invitando i tifosi a diventare azionisti con lo slogan “Non vogliamo la luna, ma continuare a guardare le stelle”. Un vero e proprio appello ai tifosi romanisti. chiamati ad acquistare delle azioni, in modo tale da rimanere competitivi e non cedere i migliori giocatori in rosa: «L’invito è che tutti diventino tifosi azionisti, in modo da mantenere grande questa Roma insieme - affermava Rosella Sensi nel 2009 - Come in campo e allo stadio, i nostri tifosi rappresentano il dodicesimo uomo: adesso è importante che scendano in Borsa e che tutti partecipino all'aumento di capitale, anche con un investimento contenuto, perché c’è bisogno del sostegno di tutti». 

Nel 2011 la cordata guidata da Di Benedetto diventava azionista di maggioranza della Roma, acquisendo il 67% delle quotazioni disponibili, e fu obbligata a lanciare un’OPA per il 33% delle quotazioni  rimanenti al prezzo di 0,678 euro per azione. I giallorossi diventavano il primo club con una proprietà straniera in serie A. Il passaggio di testimone da Di Benedetto a Pallotta ci fu l’anno successivo, nel 2012. Nel 2018 il penultimo presidente della Roma lanciò una Offerta dei Diritti Inoptati in seguito a un aumento di capitale, con un ritorno di circa 2 milioni e mezzo di azioni. 

Il passaggio ai Friedkin, nel 2020, portò a un’ulteriore OPA obbligatoria, fallita a causa della proposta di acquisto fissata a 0,1165 euro per azione, troppo poco per convincere gli azionisti a cedere le proprie quote. Nel 2022 il secondo tentativo: il prezzo di 0,45 euro ad azione, insieme al programma di fedeltà, hanno permesso ai Friedkin di raggiungere il traguardo prefissato dal loro primo giorno nella Capitale: il delisting.

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