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Il numero 21

Dybaleyde, la Joya da Cordoba alla Roma: "Era destino"

Dalla “profezia” dell’amato papà Adolfo all’exploit col Palermo e gli anni da “grande” con la Juve. Tra il continuo riscatto e quello spirito da gladiatore

Paulo Dybala

Paulo Dybala (GETTY IMAGES)

23 Luglio 2022 - 10:52

"Uno dei miei figli nascerà con la missione di giocare a calcio". Sono parole di Adolfo, il padre di Gustavo, Mariano e di Paulo Dybala e l’ultimo dei tre (nato il 15 novembre 1993 a Laguna Larga) ha realizzato la profezia, dando un che di mistico e inequivocabilmente argentino alla propria storia.

Adolfo, la cui carriera da calciatore in Argentina non era mai “esplosa”, non era un padre in stile Joe Jackson, papà di Michael e del gruppo Jackson 5 che obbligava i figli ancora adolescenti a giorni interi di prove e non accettava altro che la perfezione pur di raggiungere il compimento della sua “visione”, bensì lui con Paulo condivideva la smodata passione per il pallone limitandosi a sostenerlo e a farsi ore di macchina per portarlo agli allenamenti.

Papà Adolfo però, muore improvvisamente quando il nuovo numero 21 della Roma ha solo 15 anni costringendo Paulo, come accade in questi casi, a crescere molto più velocemente del normale. Lui inizialmente vuole lasciare il calcio ma poi l’Instituto Central Cordoba  diventa quasi una sua seconda casa e si convince a continuare per sé e per il padre. Due anni dopo è l’allenatore Dario Franco il 12 agosto 2011 a lanciare il giovanissimo Paulo nella prima squadra dell’Instituto nella Serie B argentina: con lui da numero 9 e 17 gol in 38 partite la squadra sfiora la promozione e Dybala si rivela agli occhi del mondo dopo essersi già guadagnato il soprannome “La Joya”, il gioiello.

Le prestazioni del talento impressionano la premiata ditta Zamparini-Perinetti del Palermo, che nel 2012 lo portano in rosanero con l’investimento più importante della storia del club fino a quel momento (12 milioni di euro), non senza diverse polemiche e problematiche sulla via del passaggio definitivo dal suo ex club argentino a quello siciliano. Dybala debutta in Serie A il 2 settembre contro la Lazio e segna i primi due gol a novembre nella vittoria ai danni della Sampdoria. Il passaggio intercontinentale è difficile, come lo è anche la stagione dei rosanero, che culmina con la retrocessione in Serie B nonostante abbia in grembo uno dei talenti più luminosi del nostro calcio.

Paulo però si adatta, impara la lingua e cambia soprannome (diventa “U picciriddu”, il piccoletto, per quell’eterno aspetto bambinesco che ha ancora oggi) e insiste per restare anche nella serie cadetta, convinto di aver ancora tanto da dare alla Serie A e di poterci tornare presto: fa 5 gol e 6 assist e aiuta il club a risalire da protagonista, cominciando a scoprire anche la sua duttilità sul fronte offensivo del campo.

Gioca per lo più da seconda punta vicino al “Mudo” Vazquez nel 3-5-2 di Iachini e segna subito, ancora contro la Sampdoria, il 30 agosto del 2014 alla prima di campionato. È l’anno dell’exploit definitivo: nel 2014-15 mette a referto 13 gol (uno dei quali alla Roma allenata da Garcia nel pari al Barbera del 17 gennaio) e 10 assist in 34 presenze complessive. Ormai è chiaro, Dybala è maturato e ha preso consapevolezza delle sue qualità con una lucidità che difficilmente si accosta a uno che ha poco più di vent’anni. «Io personalmente penso di essere più veloce con la testa che con i piedi.

"È una mia arma molto importante" - ha dichiarato in un’intervista a Ultimo Uomo di qualche anno fa -  se tu riesci a capire i movimenti che può fare l’avversario, ti aiuta tantissimo. Ed è difficile trovare difensori così, che siano più veloci con la testa che con i piedi». La velocità di crescere e di capire la cosa giusta da fare, quella di superare la morte del padre e di adattarsi in un continente lontanissimo da casa solo con la forza del talento. Lo stesso talento che attira l’attenzione di diversi club europei, tra cui la Juventus: Marotta, allora dirigente bianconero, lo strappa al Palermo per 40 milioni di euro e lo regala alla rosa di Allegri.

Come i più grandi

Quello a Torino è il capitolo più lungo della carriera di Dybala: lì passa sette stagioni, tra titoli, gol e una costante crescita tattica e personale che lo confermano pian piano come assoluta certezza del calcio italiano. Il primo anno, con la 21 sulle spalle, disputa 46 presenze in tutte le competizioni mettendo in cascina 23 gol (19 in A, di cui due alla Roma) e con i bianconeri porta a casa la Supercoppa Italiana, il quinto scudetto consecutivo della squadra e la Coppa Italia. Nell’ottobre dello stesso anno ottiene anche la prima convocazione con la nazionale dell’Argentina (due anni prima aveva rifiutato l’Azzurro, propostogli dal Ct Antonio Conte, pur possedendo la cittadinanza italiana), entrando al 75’ al posto di Tevez da punta di un 4-2-3-1 nella sfida contro il Paraguay valida per le qualificazioni al Mondiale del 2018.

La sua carriera con l’Albicelesteperò non è all’altezza del talento che mette in mostra nel suo percorso juventino: lui ormai spazia regolarmente sul fronte d’attacco ed è di fatto una seconda punta o trequartista con uno spiccato senso del gol, caratteristiche che, suo malgrado, corrispondono a quello di un certo Lionel Messi. Tra il 2019 e il 2021 non viene neanche convocato (complici anche qualche infortunio e il Covid) e solo recentemente ha ritrovato il feeling con la sua nazionale.

Alla Juve invece, soprattutto i primi anni è una costante: quando nel gennaio 2017 (l’anno della finale di Champions persa a Cardiff) Allegri lo schiera al centro della trequarti del 4-2-3-1 con accanto Cuadrado e Mandzukic e alle spalle di Higuain lui trova quella che probabilmente è la migliore espressione del suo calcio (22 gol in Serie A). Al netto dei cambi di tecnico, voci di mercato più o meno insistenti e alcuni infortuni muscolari che ne hanno limitato parzialmente la continuità, ha lasciato la Juventus per il mancato rinnovo di contratto dopo aver portato la maglia numero 10 dal 2017 e aver segnato coi torinesi 115 gol, come Baggio, più di Platini e poco meno di Ronaldo.

La lunga estate calda

"Dybala è il mio giocatore preferito della Serie A": lo diceva Tiago Pinto quando ancora lavorava nel Benfica. E mentre per diverso tempo è stato accostato all’Inter di Marotta, il portoghese lo ha portato a Mou nella bollente e lunghissima estate romanista. Quel Dybala la cui esultanza rappresenta la maschera di un gladiatore ed è stata ispirata dal film con Russel Crowe per i valori di lotta e riscatto su cui ha sempre contato nella vita, quello appassionato alla città di Roma, quello per il quale il padre aveva profetizzato un futuro da grande calciatore. E allora sì, era veramente destino.

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