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La storia

Un anno dal suo arrivo: se Mourinho riesce a metterti le ali

Il 2 luglio 2021 José arrivava a Trigoria. Fin da quel giorno ha iniziato a costruire la sua Roma: tra corse e lacrime, ci ha ridato la nostra identità

José Mourinho con la Conference in mano a Tirana (As Roma via Getty Images)

José Mourinho con la Conference in mano a Tirana (As Roma via Getty Images)

02 Luglio 2022 - 07:56

Con l'indice della mano destra, l'uomo del destino indicava il nostro stemma, la Lupa capitolina che allatta Romolo e Remo. José Mourinho indicava la nostra identità, le nostre radici: era esattamente un anno fa, il 2 luglio 2021, e già da allora si sentiva l'aria del cambiamento. Anche nel torrido caldo che - allora come oggi - infuocava la Capitale, una fresca brezza spirava sulla Roma. Lo "Special One" era appena sbarcato, accolto calorosamente prima in aeroporto, poi a Trigoria: i tifosi in delirio che inneggiavano al portoghese, e lui che si batteva il cuore, mandava baci e indicava il centro di tutto. La Lupa, la Roma. Un gesto semplice, per qualche sprovveduto forse persino banale, ma era una profezia di ciò che sarebbe accaduto di lì a poco.

Il peso delle parole

Mou è così: non lascia nulla al caso. La dichiarazione d'intenti è arrivata fin dalla sua prima conferenza da allenatore giallorosso: "Non voglio la Roma di Mourinho; voglio la Roma dei romanisti". E il primo trofeo conquistato dal mago di Setubal è stato proprio questo, ben prima del trionfo in Conference League: ha fatto sì che il legame tra squadra e tifosi tornasse saldo come non era da tempo. Complice la sinergia con i Friedkin e Tiago Pinto, la gente - reduce da annate a dir poco apatiche - e il Club sono tornati a essere un tutt'uno. Il calore dell'Olimpico - e del settore ospiti in trasferta - è tornato a svolgere il ruolo di undicesimo uomo in campo. Lo dimostrano i sold-out, con oltre 60.000 spettatori, in gare non di cartello (vedi Salernitana, Bologna e Venezia); ma per questi tifosi, ogni gara giocata dalla Roma è di cartello. E questo Mou l'ha capito fin dal primo istante, forse persino prima del suo arrivo.

In estate si è esaltato per l'agonismo evidenziato dalla squadra in alcune amichevoli in Portogallo, ha costruito un legame con i calciatori, e li ha redarguiti duramente quando, a Bodø, sono stati travolti da una squadra norvegese. Le parole rilasciate quel 21 ottobre sono state la prima pietra per la vittoria di Tirana, hanno tracciato un solco: non è un caso se, da quel momento in poi, la Roma non ha sbagliato mai l'approccio a una partita europea. Ha usato il bastone anche dopo prestazioni surreali, come il black-out casalingo contro la Juve: "La squadra non ha leadership: ho detto ai ragazzi che devono essere loro a venire nella mia direzione, non sono io che devo andare verso di loro sotto il profilo psicologico". Le parole sono importanti; soprattutto se ben dosate, possono essere decisive tanto quanto l'azione. José, che in comunicazione ha conseguito tutti i Master possibili sui più prestigiosi campi d'Europa, lo sapeva bene: proprio dalla comunicazione (verbale e gestuale) ha costruito la sua rivoluzione, novello Copernico pronto a far trionfare il "sistema Roma-centrico".

Gesti che parlano

La corsa sotto la Curva Sud al gol di El Shaarawy al 91' contro il Sassuolo, nel giorno della sua millesima panchina, è stata un lampo capace di gettare luce su ciò che Mourinho stava facendo ormai da un paio di mesi: costruiva un gruppo, una squadra, e lo faceva rimettendo insieme i cocci del passato usando come collante la passione, l'entusiasmo, il cuore. Tutte cose che non puoi comprare in sede di mercato: puoi anche prendere i migliori leader in circolazione, puntare tutto sulla mentalità della rosa, ma poi queste caratteristiche devono essere convogliate nella giusta direzione.

Quale direzione? Semplice: quella della Roma e dei suoi tifosi. Quella indicata dal tecnico portoghese con quel pianto liberatorio al triplice fischio della semifinale di ritorno con il Leicester. "Ho versato una lacrima per ogni romanista". E nella stessa occasione batte a più riprese sul concetto di "famiglia", sull'unione di intenti che ha portato non solo la squadra, ma tutto il popolo giallorosso a raggiungere una finale europea a 31 anni di distanza dall'ultima volta. Quella finale, terminata in un tripudio d'estasi, lo "Special One" aveva iniziato a prepararla fin dal 2 luglio, quando aveva puntato il dito sull'unica cosa che meritasse davvero attenzione.

Nuovi traguardi

La città in festa, l'esplosione di gioia collettiva iniziata nella tarda serata del 25 maggio e proseguita con la parata della squadra per le vie della Capitale il pomeriggio seguente, hanno fatto sì che, come Giulio Cesare, potesse dire "veni, vidi, vici". Ma José non ha alcuna intenzione di fermarsi, e lo ha ribadito nel post pubblicato su Instagram il 28 maggio. Non erano trascorse neanche 72 ore dal trionfo, e lui scriveva: "Devo pensare a cosa c'è dopo". Perché i grandi condottieri sono così: non si adagiano sugli allori (cosa che spesso è invece accaduta in passato a Roma), ma si proiettano immediatamente alle prossime sfide, ai prossimi traguardi. Uno, il più importante di tutti, è già stato fissato: "Vorrei vedere questo club unito per sempre da questa passione e da questo amore". Con Mourinho al timone, niente è impossibile. Perché si tratta di un capitano che, al netto delle difficoltà che ci sono state e che ci saranno anche in futuro, non ha mai perso di vista la rotta e l'orizzonte: conducono alla Lupa, conducono alla Roma e al suo popolo innamorato. Brillano come un faro nella notte e lo "Special One" sa come raggiungere il porto.

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