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L'asso dalla Manica: l'Europa ai piedi di Abraham

Tammy torna in Conference da capocannoniere. Dopo l’ennesimo gol decisivo, continua a essere inamovibile. I suoi 20 centri stagionali lo hanno già proiettato fra i grandi

Abraham dopo il gol all'Atalanta all'Olimpico (As Roma via Getty Images)

Abraham dopo il gol all'Atalanta all'Olimpico (As Roma via Getty Images)

09 Marzo 2022 - 08:57

Oggi è una certezza, di quelle granitiche. Un posto in squadra Tammy Abraham ce l'ha sempre, che si tratti di coppa o campionato; big match o scontri sulla carta più accessibili; che sia al top della forma o reduce da qualche piccola noia fisica. Se c'è una maglia assegnata in partenza nella formazione che stila José Mourinho è quella dell'inglese. Che da quando è arrivato nella Capitale è rimasto a guardare i compagni soltanto in un'occasione: in campionato con l'Inter, per squalifica. Poi sempre in campo, 36 volte su 38 partite ufficiali disputate finora (ma nella prima in casa del Trabzonspor non era ancora convocabile). Soltanto Rui Patricio può vantare una presenza in più nell'intera rosa. L'alfa e l'omega della squadra, l'ultimo baluardo e il terminale offensivo. Soprattutto, i due giocatori espressamente richiesti dallo Special One nel suo primo mercato da tecnico giallorosso. Oggi nessuno si azzarda a metterli in discussione.

Basterebbe riavvolgere il nastro però e tornare ai primi vagiti della stagione, quando (della serie incredibile ma vero) al cospetto di questo attaccante dall'espressione gentile e sorridente - ma dalla grinta infinita in campo - c'era chi storceva il naso. «Bravino coi piedi, ma segna poco»; «la porta non la vede»; «coglie più i pali che la rete», e via discorrendo, già incanalati verso la bocciatura preventiva. Un bottino di due reti in Serie A e altrettante in Conference League fino a inizio novembre era stato sufficiente a dare argomenti agli scettici. Senza alcuna presa sul pubblico dell'Olimpico però, che ha sostenuto Abraham fin dalla prima presenza: un colpo di fulmine culminato in quell'empatia che tanto piace a Mou, con dichiarazioni d'amore reciproche e l'inno cantato in mezzo al campo dal numero 9.

Tanta corrispondenza di sentimenti non poteva non sfociare in qualcosa di grande. E Tammy ai grandi si è avvicinato anche con le cifre, innestando da novembre in poi le marce alte e arrivando a inizio marzo a 20 gol, la gran parte dei quali decisivi. Alta quota toccata in così poco tempo soltanto da bomber che hanno fatto la storia del club: Volk, Manfredini, Batistuta. I primi due appartenenti a un calcio d'altri tempi, l'altro eroe dell'ultimo tricolore. Ma i ritmi di marcia dell'ex Chelsea "rischiano" di fargli mettere a breve la freccia perfino sul Re Leone. E alla prima esperienza italiana, appena da ventiquattrenne. Mica male.
I graffi vincenti nelle due sfide con l'Atalanta (quella recentissima in casa come il trionfo di Bergamo) lo hanno consacrato azzerando ogni residuo dubbio. Ma è la Conference che gli ha permesso di mettere in mostra anche le sue enormi doti da bomber di talento, oltre che quelle tecniche evidenti fin dall'esordio.

Sei centri in sei presenze (peraltro circoscritte a soli 297 minuti giocati): una media stellare, che lo ha proiettato al vertice della classifica cannonieri della competizione e ha dato il via alla straordinaria striscia di firme d'autore, fino a fargli toccare la fatidica cifra tonda. E in poco tempo anche l'Europa ha rappresentato uno dei suoi terreni di caccia prediletti, con la vittoria del girone che è passata dai suoi gol (la doppietta di Sofia ha consentito di superare il Bodø in extremis e di risparmiarsi il turno di spareggi). Adesso però si fa ancora più sul serio, il margine d'errore scende al minimo e con gli scontri diretti che cominciano domani in Olanda, inizia anche il cammino verso un reale obiettivo. Quello massimo per la stagione in corso. E Abraham conosce bene le sensazioni di un trionfo europeo. Motivazione in più - se ce ne fosse bisogno - per continuare a condurre la Roma a suon di gol.

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