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Bruno Conti: "Vedevi la Curva e la Roma ti entrava nel cuore"

L'intervista con una leggenda giallorossa per i 42 anni dalla nascita del Cucs: "Un gruppo che ha fatto la storia del tifo, c’era amore, rispetto, stima e fratellanza"

09 Gennaio 2019 - 08:44

Li ha visti nascere, crescere, entusiasmarsi, piangere, ridere. Sempre al fianco della Roma. Quando il Cucs è nato, Bruno Conti aveva ventidue anni ed era già un campione emergente. Come la Roma di quegli anni che stava cambiando la sua storia. Grazie anche a quei tifosi, a quel Cucs, a quella Sud che ha fatto sempre la sua parte. E Bruno Conti ancora oggi, quando gli anni è meglio non contarli più, si commuove al ricordo di una tifoseria che come diceva il suo amico Agostino Di Bartolomei era diversa, «perché ci sono i tifosi di calcio e poi ci sono i tifosi della Roma».

Bruno se ti dico Cucs che mi rispondi?
«Non rispondo, mi commuovo».

Allora proviamo a prendere tempo: Commando Ultrà Curva Sud.
«Meravigliosi. Quanti ricordi. Un gruppo che ha fatto la storia del tifo. C'era amore, rispetto, stima, fratellanza. Ideavano e realizzavano coreografie magnifiche. In trasferta li incontravamo sempre, sapendo che nei momenti di difficoltà, li avremmo avuti al nostro fianco».

Cosa vi davano quando entravate in campo?
«Adrenalina e consapevolezza di poter sbagliare. Per loro, qualsiasi giocatore in campo dava sempre tutto».

Giocavate anche per loro?
«Ovvio. Sapevamo benissimo quanti sacrifici economici facevano per poterci seguire in tutte le partite, in particolare quelle in trasferta. Ci trasmettavano amore e passione, noi volevamo dargli soddisfazioni. E per fortuna qualcuna riuscimmo a darla, anche se quella Roma degli anni Ottanta avrebbe meritato di vincere di più di uno scudetto, quattro coppa Italia e una finale di Coppa dei Campioni».

Ma è vero che ai nuovi arrivati, in particolare gli stranieri, li portavate sotto la Sud per fargli capire Roma e la Roma?
«Certo. Mi ricordo l'emozione negli occhi di Falcao o Voeller quando videro la Sud con il Commando, Agostino lo diceva a tutti, "guarda i tifosi, rispettali sempre"».

Per questo quando segnavi andavi a inginocchiarti sotto di loro?
«Sì. Più di una volta mi sono sbucciato le ginocchia, ma chissenefrega. Mi commuovevo sotto quella Curva».

All'epoca, poi, alcuni del Cucs erano proprio in campo con i bandieroni.
«Sì. E quando facevamo gol ci venivano incontro e ci abbracciavano. La cosa bella è che non ci fu mai un incidente. Una cosa del genere, i tifosi in campo, oggi non è neppure ipotizzabile».

Qual è il ricordo che ti lega di più al Cucs e ai tifosi della Roma?
«Il giorno del mio addio al calcio. E pensare che temevo non sarebbe venuto nessuno».

Come?
«Sì. La sera prima avevamo perso la finale di coppa Uefa, pensavo che la delusione avrebbe avuto il sopravvento sul desiderio di salutarmi».

Invece?
«Invece se ci ripenso mi rimetto a piangere. C'erano tutti, mi fecero molti regali. Io ero triste perché stavo dicendo addio al calcio, ma quella è stata una delle sere più belle della mia carriera. Per questo ancora oggi dico grazie al Cucs e ai tifosi della Roma».

E noi lo diciamo a te, Bruno.

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