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l'intervista

L'avvocato dei tifosi: "Necessarie riforme su Daspo e processi"

Luca Maggi: "Provvedimenti spesso rovesciati in sede penale, ma nessuno risarcisce del tempo perso. E durante la pandemia misura paradossale"

A sinistra, la Curva Sud negli Anni 80, prima delle misure restrittive; a destra, dall’alto: l’avvocato Luca Maggi; l’esterno dello Stadio Olimpico @Getty, Mancini

A sinistra, la Curva Sud negli Anni 80, prima delle misure restrittive; a destra, dall’alto: l’avvocato Luca Maggi; l’esterno dello Stadio Olimpico @Getty, Mancini

15 Agosto 2021 - 19:07

Il graduale ritorno alla normalità passa anche dal rientro del pubblico negli stadi. Eppure gli spalti vuoti hanno fatto scivolare in secondo piano le vicende giudiziarie che coinvolgono parte del tifo. Ma non per tutti. Fra le eccezioni Luca Maggi, avvocato barese di 44 anni, venti dei quali trascorsi occupandosi di normative su reati da stadio, fra i primi ad aver affrontato il decreto Maroni istitutivo della Tessera del tifoso e il cosiddetto Daspo di gruppo, successivo agli episodi della finale di Coppa Italia fra Napoli e Fiorentina.

Avvocato, gli impianti sono in fase di riapertura, si percepisce forte desiderio di tifo e aggregazione, ma la situazione impone ancora distanziamenti.
«Le misure attuali col pubblico a scacchiera non credo siano conciliabili con le esigenze del tifo organizzato. Un'opzione sarà restare fuori, anche per non prestare il fianco a eventuali forme di repressione, dagli stadi alle città».

Non nutre grande ottimismo.
«Queste ultime stagioni senza pubblico hanno soltanto offuscato il problema, ma nel frattempo i Daspo sono proseguiti».

Anche in pieno lockdown?
«L'aspetto che ha spronato di più me e i colleghi che si occupano di queste vicende è che negli uffici giudiziari di certe città si sono ostinati a rigettare le istanze di sospensione dell'obbligo di presentazione presso gli uffici di PS».

Sembra un paradosso.
«Lo è. Sia perché le partite si giocavano a porte chiuse, sia per l'emergenza sanitaria in corso che metteva in pericolo la salute di chi era chiamato a firmare nonostante i divieti di circolazione. È il paradigma dell'inspiegabile livello di repressione anti-ultras e della schizofrenia delle misure che li riguardano».

I Daspo continuano a essere visti come panacea: c'è perfino chi li ha invocati per la festa dei romanisti del 22 luglio scorso.
«Non mi stupisce più nulla. Sembra che il problema dell'Italia sia nelle forme gioiose di aggregazione. Tutta la normativa attuale punta a vederci soli e disgregati».

Ne fa una questione sociale.
«O social... Meglio confinare tutti lì. Vedo un filo conduttore partito ormai da inizio terzo millennio coi vari grandi fratelli (l'idea della reclusione che diventa "cool") che ci fanno vedere la vita degli altri da casa. La società civile ingoia medicine amare che portano verso l'isolamento, la disgregazione sociale. Ci si incontra quasi soltanto on line. Il movimento ultras è aggregazione, mette in discussione le regole, perciò va confinato».

Si parla spesso di discrepanze fra Daspo e giudizio penale.
«La questione è annosa. Nel 1989 hanno deciso di definire il Daspo misura di prevenzione, come tale appannaggio del questore, con convalida entro 96 ore e obbligo di presentazione per firmare. Ma per fare le cose per bene si sarebbe dovuto prevedere un giudizio di convalida alla presenza dell'avvocato in aula e un processo immediato dando giuste garanzie».

Invece?
«Invece il Gip non ascolta il destinatario del provvedimento, convalida al 99% le decisioni del questore. Quello che noi chiediamo è che l'obbligo di convalida si attui in presenza del destinatario e del suo avvocato, e che riguardi l'intero provvedimento. Se viene comminato un Daspo di 5 anni che poi il processo penale rivela immotivato (e capita...) chi restituisce al destinatario il tempo perso?».

Non si riferisce esclusivamente alla rinuncia allo stadio?
«Purtroppo c'è molto altro, che investe limitazioni alla vita pubblica e alla libertà di circolazione. Per esempio il daspato non può partecipare a concorsi. Noi avvocati depositiamo memorie scritte che spesso nemmeno vengono lette. E magari i nostri clienti sono assolti in sede penale dopo 5 anni persi».

Non esiste risarcimento danni?
«Una richiesta del genere deve smontare una serie di sbagli che equivalgono a scalare l'Everest: bisogna provare dolo e danno ricevuto, avere tempo e soldi per sostenere le cause. Ma entreremmo nella responsabilità dei giudici, un campo fin troppo vasto».

Quale può essere la soluzione?
«Il giudizio cautelare non dà alcuna garanzia. L'indiziato ha diritto al giudizio pieno o ancora meglio a un processo penale rapido, e solo dopo colpevolezza il giudice - e non il questore - dovrebbe avere facoltà di emanare il Daspo».

Da qualche anno lo si rischia anche restando in piedi o cambiando seggiolino.
«All'inizio era un provvedimento per tutelare l'ordine pubblico, oggi ha perso il significato originario e si assiste a evidenti abusi».

La legislazione d'emergenza nasce sull'onda emotiva degli episodi, ma sembra non finire.
«Il trucco è proprio mantenere la situazione emergenziale. In termini di tempo e risorse mentali costano molto di più una legislazione ragionata e una riforma organica. Noi abbiamo proposto diverse bozze di riforma legislativa in materia, mai prese in considerazione».

Al di là di chi è coinvolto direttamente, il tema non appare molto "popolare".
«Chi cerca il consenso interviene più facilmente quando c'è da sbattere i pugni sul tavolo. Attendiamo la riforma del processo penale da oltre trent'anni: evidentemente le lungaggini processuali fanno comodo. In Germania il rinvio è al giorno dopo, in Italia a un anno e mezzo. Mi sembra ci sia interesse a non cambiare. O peggio, a fare in modo che tutto cambi affinché nulla cambi realmente».

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