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Mondiali Story - Carlos Caszely, il bomber che sfidò Pinochet

Nel 1974 guidava l’attacco del Cile ai Mondiali. Prima della partenza si rifiutò di stringere la mano al Generale: il motivo del gesto si scoprì molti anni più tardi

03 Giugno 2018 - 19:54

C'è una data ben precisa a fare da spartiacque nella vita di Carlos Humberto Caszely, detto "el Rey de l'area chica" per le sue doti di bomber rapace dell'area piccola. Quella data è l'11 settembre 1973, quando in Cile ebbe inizio un altro orribile capitolo della storia del ventesimo secolo: il generale Augusto José Ramon Pinochet Ugarte, alla guida del suo esercito cinge d'assedio il Palazzo Presidenziale di Santiago, all'interno del quale c'è Salvador Allende, Presidente eletto democraticamente tre anni prima. Il golpe dura un attimo, il tempo di sganciare qualche bomba con i caccia Hawker Hunter: Allende viene trovato morto, probabilmente suicidatosi per non finire delle mani dei militari. Pinochet è al potere e, da quel momento in avanti, sarà il padrone assoluto del Cile per quindici anni.

Ma a partire da quella stessa notte, inizia la "pulizia" scientifica ad opera della giunta militare: l'obiettivo è quello di far scomparire qualsiasi tipo di opposizione, di protesta, di dissenso. Perciò l'esercito rastrella letteralmente la città: migliaia di persone - tra le quali intellettuali, scrittori, artisti e semplici cittadini – vengono prese e rinchiuse nell'Estadio Nacional de Chile, trasformato di fatto in un campo di prigionia: lì, gli uomini vengono torturati, le donne violentate. L'obiettivo è quello di farli parlare, di spingerli a denunciare altri possibili "dissidenti". Alcuni, che si rifiutano di aprir bocca, vengono uccisi sul posto o gettati in volo dagli aerei. La situazione è drammaticamente simile a quella che si verifica nella vicina Argentina, sempre ad opera di una giunta militare, più o meno nello stesso periodo.

A pochi giorni dalla presa del potere di Pinochet, la nazionale cilena è impegnata nello spareggio per i Mondiali del 1974. La Roja deve infatti giocarsi l'ultimo posto a disposizione per i Mondiali che si disputeranno in Germania Ovest con un'altra squadra: l'Unione Sovietica. La situazione non è esattamente idilliaca, a voler usare un eufemismo. La nazionale di un Paese in cui è appena stato destituito con un colpo di Stato un presidente comunista, deve affrontare la nazionale del Paese comunista per eccellenza. Il tutto in piena Guerra Fredda. La tensione è alle stelle quando Caszely e compagni si recano a Mosca per la gara d'andata. Si gioca allo Stadio Lenin (oggi Luzhniki) il 26 settembre 1973, quindici giorni dopo la presa del potere di Pinochet, in un'atmosfera surreale. Termina 0-0, con poche occasioni da gol e tanti calci dati e ricevuti da una parte e dall'altra.

Cile-Urss: la partita fantasma

Per la gara di ritorno, che dovrà disputarsi proprio all'Estadio Nacional di Santiago, l'Unione Sovietica chiede alla FIFA di verificare le condizioni di quello che è ormai a tutti gli effetti un campo di concentramento per qualsiasi tipo di oppositore. I generali, però, fanno sparire ogni traccia delle loro malefatte dall'impianto e quando gli ispettori arrivano non trovano nulla di strano: si può giocare senza alcun problema. L'Urss però decide di non presentarsi, regalando la qualificazione a tavolino ai sudamericani. I quali scendono comunque in campo: il 26 novembre il Ct Luis Alamos vuole infatti che i suoi segnino almeno un gol, simbolico, che suggelli la loro partecipazione alla Coppa del Mondo che si terrà di lì a qualche mese. In uno stadio semivuoto, quattro calciatori in maglia rossa e pantaloncini blu si passano il pallone mentre, indisturbati, avanzano verso l'area "avversaria" e la buttano dentro.

Tra di loro c'è anche Carlos Caszely, idolo dei tifosi del Colo Colo che si è però da poco trasferito in Spagna, al Levante. È il giocatore più rappresentativo di quella squadra, il bomber: peccato che abbia chiare simpatie di sinistra e che sua madre sia stata da poco imprigionata a seguito del golpe. È lui che serve di malavoglia il pallone a Francisco Valdés affinché lo infili dentro la porta sguarnita. La leggenda narra che, una volta rientrati negli spogliatoi, i due siano corsi a vomitare: per il disgusto, per la vergogna, forse – chissà – anche per la paura.

Stretta di mano negata

Quando, alla vigilia del match d'andata in Russia, Pinochet ha incontrato la nazionale per augurare buona fortuna agli atleti, Caszely si è rifiutato di stringergli la mano. Tra lui e il Generale, per un secondo o due, è passato uno sguardo a dir poco incendiario: nella foto sembra che sorridano, in realtà è più probabile che stiano ringhiando l'uno contro l'altro. Carlos non vuole fare nulla che possa giovare al dittatore del suo Paese, perciò pensa addirittura di non prendere parte alla spedizione per il Mondiale. Alla fine, però, si rende conto che non ha scelta, perché le scelte in Cile da qualche tempo non sono più contemplate. Quindi parte per l'Europa insieme ai compagni, con lo stesso stato d'animo di un leone ferito rinchiuso in una gabbia.

La Roja finisce nel girone A, dove ci sono i padroni di casa della Germania Ovest, i loro "cugini" (ma forse sarebbe meglio chiamarli fratelli) dell'Est e l'Australia. Nella gara d'esordio, il Cile affronta Beckenbauer e soci: dopo 16' Breitner porta in vantaggio i suoi. Poco più tardi, Caszely si fa buttare fuori per un destro a Berti Vogts. In Cile gli unici due giornali che Pinochet ha voluto lasciare in vita malignano: «Lo ha fatto apposta, per non essere costretto ad affrontare i suoi amici comunisti della Germania Est». Difficile credere che Carlos abbia potuto pensare ad una cosa del genere. I suoi compagni strappano un discreto 1-1 contro la Germania Est, ma poi vanificano tutto con uno 0-0 con l'Australia. Due punti in tre gare e terzo posto nel girone: la squadra di Alamos torna a casa. «Volutamente», secondo quei soliti due giornali.

Caszely viene di fatto bandito dalla Nazionale per circa cinque anni. Per altri quattro anni resta in Spagna, all'Espanyol, quindi torna al Colo Colo nel 1978 e si riprende la Roja. Con i suoi gol, contribuisce alla qualificazione ai Mondiali del 1982, ma nella prima partita contro l'Austria, fallisce un calcio di rigore. I sudamericani chiudono il girone con zero punti. "El Rey de l'area chica" continua a segnare caterve di gol per il Colo Colo fino al 1985. Quindi, dopo una brevissima parentesi in Ecuador, decide di appendere gli scarpini al chiodo. Ma la sua storia, per certi versi, deve ancora avere inizio.

Il referendum

Due anni dopo il ritiro di Carlos, infatti, viene indetto un referendum: la Costituzione provvisoria, che lo stesso Generale ha voluto, impone che ci sia una votazione. «Volete che Pinochet compia un altro mandato, della durata di otto anni?». La domanda sembra essere retorica. Ma il fronte del "No", quello che sogna un Cile libero da Pinochet, inizia una campagna pubblicitaria che oggigiorno verrebbe definita "guerrilla marketing": negli spot televisivi non si ha paura di mostrare le barbarie compiute dalla giunta militare nell'arco degli ultimi quindici anni. Le testimonianze sono raccontate in favore di camera dalle vittime stesse.

La signora Olga Garrido ha una sessantina d'anni: la macchina da presa la riprende nel salotto di casa sua. Ha lo sguardo vuoto di chi ha sofferto tanto. «Fui rapita da casa mia e portata in un luogo sconosciuto, dove fui torturata e violentata brutalmente. Per rispetto nei confronti dei miei figli, della mia famiglia e di me stessa non raccontai tutte le vessazioni che subii. Le torture fisiche si possono cancellare, ma le torture morali non le dimenticherò. Non posso riuscirci, perché le ho ancora ben chiare nella mia mente e nel mio cuore. Perciò, io voterò No: affinché un domani si possa vivere in una democrazia libera, senza odio, con amore e gioia».

A quel punto la telecamera stacca e… Carlos Caszely in primo piano! Il "Re dell'area piccola" ha l'espressione sorridente. «Per questo il mio voto è No. Perché la sua allegria è la mia allegria - dice mentre siede al fianco della signora Olga - Perché i suoi sentimenti sono i miei sentimenti. Perché domani si possa vivere in una democrazia libera, sana, solidale… perché questa bella signora è mia madre».

Il "No" ottiene quasi il 60% dei voti: il Cile torna a essere libero dopo quindici anni di giogo. Merito di tutti coloro che si diedero da fare affinché chiunque venisse a conoscenza delle barbarie compiute dai Generali. Merito anche di Carlos Caszely, il bomber noto come "Re dell'area piccola" perché ogni pallone che arrivava in area di rigore lui lo trasformava in gol: il più bello, però, lo segnò tre anni dopo il suo ritiro. Perché aveva ragione Salvador Allende, dopotutto, quando disse: «È possibile che ci annientino, ma il domani apparterrà al popolo, apparterrà ai lavoratori. L'umanità avanza sempre verso la conquista di una vita migliore».

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