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Ma che calcio dite?

Scempions League: basta ipocrisie e finte esultanze nel calcio ai tempi del virus

Se deve essere il campionato del Covid, lo sia fino in fondo. Si giochi in cattedrali chiuse e rispettose, evitando il grottesco dei tifosi virtuali

La coreografia virtuale trasmessa dalla Rai in occasione della finale di Coppa Italia Napoli-Juventus

La coreografia virtuale trasmessa dalla Rai in occasione della finale di Coppa Italia Napoli-Juventus

19 Giugno 2020 - 17:25

Se, col Covid non ancora sconfitto, calcio dev'essere – e abbiamo capito tutti che DEVE essere, altrimenti non sarebbe più, con tutti i rischi connessi alle società in difficoltà finanziaria di riaccedere ai ricavi che le tengono in vita – che sia per l'appunto il calcio al tempo del Covid. Dunque, finto, diverso, altro. Ma fino in fondo. E dunque ci sia risparmiata, per favore, quella baggianata delle bandierine colorate ritmate a tempo – a quale tempo, poi?

A vedere Napoli-Juventus, i giocatori andavano a 10 all'ora – con lo sponsor però a prendersi la parte principale della Tribuna Tevere. Se il calcio, almeno nel senso della competizione sportiva, può essere surrogato e tornare così alla sua essenza, all'idea che muove i milioni di dilettanti che lo praticano, a cui però guarda caso nessuno ha pensato visto che i protocolli costano e torniamo al discorso di partenza, quello che c'è intorno alla partita non potrà mai essere surrogato da nessun software intelligente.

Non ci sono cori finti, non ci sono bandiere finte, non ci sono curve da riempire a portata d'inquadratura (poi l'intelligenza del software si mostra pure abbastanza limitata se le curve sono piene durante l'inquadratura e poi, nei tredicimila replay che ci propinano i registi, si vede la triste realtà di queste gare, con gli spalti muti e desolatamente vuoti).

Quel calcio non c'è. Forse, e lo speriamo tutti, tornerà. Ma questa è un'altra cosa. Quelle che vedremo, finché anche l'ultimo degli abbonati non tornerà al suo posto e non a tre metri dall'altro, sono partite falsate nell'essenza e nella pratica di uno sforzo di 45, forse 60 giorni con le coppe, di impegni quasi insostenibili uno in fila all'altro, d'estate.

Per carità, saranno comunque partite che ci faranno gioire o disperare, ma da lontano, senza quel coinvolgimento diretto che resta componente fondamentale per il calcio di alti livelli. Anzi, non è fondamentale, ma necessario: è un elemento senza il quale il calcio non esisterebbe.

Negli anni ci siamo sentiti persino propinare la storiella che sarebbe stato bello vedere il calcio come a teatro, ognuno seduto al proprio posto, a snocciolare magari un'oliva e a sorseggiare un martini, discorrendo col vicino di posto del più o del meno. Poi alla prima occasione i maghi del computer che s'inventano? La coreografia degli stendardi colorati, una sorta di sciarpata virtuale che rimanda all'estasi delle partite più sentite, quelle in cui il tifo che proviene dai settori popolari trascina e cambia l'atmosfera, sempre mentre negli sky box si scolano il prosecco.

Il trionfo dell'ipocrisia che riconosce il suo zenit nell'osservazione iniziale delle regole del protocollo medico, per cui sul campo giocatori e arbitri opportunamente "negativizzati" (i calciatori della nostra serie A sono ormai i cittadini che subiscono il maggior numero di controlli, persino più del personale medico specializzato) sono prima costretti a darsi di gomito appena scesi in campo per salutarsi, poi però possono fare mucchi selvaggi per festeggiare la coppa, riunirsi felici al centro del campo sudati e abbracciati (un trionfo di droplet a spasso senza guinzaglio), persino lanciare per aria allenatore (e vabbé) e presidente (!).

E contemporaneamente, in città (in questo caso a Napoli) ci si scatena in una festa popolare con la maggior parte della gente scesa in strada senza mascherine (e senza caschi in motorino) per sfogare la comprensibile felicità: e tutto questo mentre migliaia di ragazzi tornano almeno per un giorno a scuola per sostenere l'esame di maturità in mascherina con gli insegnanti a distanza di tre metri.

Dice, ma è l'Italia: te ne accorgi adesso? No, è che forse rifiutiamo l'idea che quell'Italia, o almeno questa specifica alea d'ipocrisia che ammanta il nostro peraltro magnifico paese, stia davvero per infettare anche una delle più vere e riconosciute feste popolari.

Giocatele 'ste partite. Ma in rispettoso silenzio: che le grida dei telecronisti eccitati e dei calciatori felici di segnare il loro gol restino rumori isolati nelle mute cattedrali sconsacrate. E senza disegnini colorati sullo schermo. Il loro ritmo non potrete mai riprodurlo in laboratorio perché si muove col battito del cuore.

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