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Il nuovo impianto

Con il Genius loci

Il Genio dell’Olimpico, teatro di sconfitte, di vittorie e di tradizione può volare a Pietralata e andare incontro all’incrocio dei venti di passione e finanza

L’Olimpico gremito in occasione di Roma-Leicester della scorsa stagione in Conference League (AS Roma via Getty Images)

L’Olimpico gremito in occasione di Roma-Leicester della scorsa stagione in Conference League (AS Roma via Getty Images)

Stefano Menichini
12 Luglio 2022 - 16:43

Caro direttore, il Genius loci, lo spirito del luogo al quale credevano gli antichi romani, esiste davvero. L’ho visto coi miei occhi un sabato sera del giugno scorso, come una specie di nuvola rarefatta, trasparente eppure evidente, sospesa a mezz’aria più o meno tra la Curva Sud dell’Olimpico e la zona di centrocampo. Antonello Venditti stava lì, sul palco allestito appunto a centrocampo, cantando con Francesco De Gregori. Non Grazie Roma, non ancora, troppo ovvio. Stava cantando Notte prima degli esami, e quando ha evocato la “notte di coppe e di campioni” improvvisamente tutti – o quasi tutti – hanno realizzato che il verso famosissimo di una canzone famosissima veniva cantato in quel momento nel luogo esatto che l’ave va generato, a pochi metri da dove s’era consumato il concreto evento storico che aveva originato un drammatico mito collettivo e segnato migliaia di esistenze: alcune di quelle esistenze (o molte, vista l’età media degli spettatori) erano lì quel sabato sera come c’erano trentotto anni prima, come ci sono state tante altre volte dopo.

Nella nuvola che ho visto io c’era come un cerchio che si chiudeva. I sogni di allora, l’attesa, la sofferenza, quei rigori sbagliati, e poi la lunga strada fatta di gioie e delusioni ma sempre ombreggiata da un ricordo impossibile da cancellare. E infine la leggerezza di poter cantare insieme senza tristezza, perché nel frattempo almeno in parte quella ferita è stata finalmente chiusa: in un altro stadio, piccolo, in un piccolo nobile paese al di là del mare. Ecco che cos’è, il Genius loci. Ed ecco che cos’è, l’Olimpico. Un luogo di sentimenti, di memoria, di dramma, palcoscenico della storia di una squadra che lì ha tanto perso e ha tanto vinto, ma anche il luogo delle vite dei padri, delle madri, dei figli, e dei figli dei figli. Un posto che ha un suo spirito, e non penso che questo spirito potrà mai traslocare da lì.

Ora caro direttore, in un tempo ragionevole avremo, penso, uno stadio nuovo. Più moderno, più comodo, più accessibile, da non dividere con nessuno, e che farà il nostro club più ricco e più forte, spero più vincente. Si formerà lì un altro spirito del luogo, si bruceranno passioni ed esistenze, e fra un paio di generazioni l’ep op ea dell’Olimpico giallorosso sarà evocata come facciamo noi col campo Testaccio: con devozione, affetto e rispetto, ma senza averlo mai neanche sfiorato. Manca tanto tempo però, prima di arrivare a questo. E il Genio dell’Olimpico nel frattempo vorrà difendersi. Non cederà facilmente. Questo è un punto, per la As Roma, ora che anche ufficialmente è partita l’operazione Pietralata. Naturalmente è solo un punto fra tanti, alcuni tecnicamente più decisivi (vi accennerò fra poco), però è un punto importante del quale merita di parlare. Qualche anno fa ho avuto modo, per motivi professionali, di mettere il naso nel progetto Tor di Valle. Il primissimo progetto, quello con le Torri per capirci, prima che per vincere resistenze politiche venissero tagliate le cubature (ma anche tante infrastrutture utili) e soprattutto si finisse per cadere in vecchi errori.

Ricordo che a quel tempo uno dei tanti problemi che Pallotta aveva di fronte era la difficoltà a scaldare i cuori dei romanisti per il nuovo stadio e a schierarli a fianco a sé nelle controversie d’ogni tipo che s’erano accese in città. Parlo di molto prima che fra quella dirigenza e i tifosi si aprissero le voragini che conosciamo. Bello e moderno, il progetto Tor di Valle non emozionava. Del resto si provò a fare davvero poco per un coinvolgimento positivo dei più diretti interessati, sicché tutta la storia finì per essere vissuta quasi solo come un business, legittimo ma estraneo, “freddo”. E invece anche l’emozione sarebbe servita, in una vicenda che aveva tante criticità e tanti nemici. Quando ci si decise a mobilitare Totti, Spalletti e i loro hashtag era davvero tardi, le cose erano andate già troppo m a l e. Ora la gestione della famiglia Friedkin dimostra concretamente, a ogni tornante, di avere il coinvolgimento emotivo dei tifosi come una autentica priorità. La logica è capovolta, per quanto sia ovvio che sempre di una logica di business si tratta. Gli effetti sono sotto gli occhi di tutti, si misurano anche in moneta sonante oltre che in tensione positiva, passione e sostegno sportivo. Sono molto curioso di vedere come questa politica societaria si applicherà ora alla vicenda dello stadio. Perché appunto qui si tratterà di lavorare su una materia delicata come sono i sentimenti, i ricordi, le emozioni, le armi micidiali del Genio che ha eletto il suo tempio sotto Monte Mario.

Lo scambio fra il sentimento e la comodità, l’efficienza e la forza economica di avere uno stadio nuovo di proprietà è logico, è facilmente comprensibile, è giustificato ed è già stato razionalmente accettato dalla tifoseria da diversi anni, ma potrebbe non bastare. La scommessa sarà riuscire a trasmettere il senso di una continuità famigliare, pur nel momento di un distacco, di un trasloco, di una separazione: un dilemma che sarà capitato a tanti di dover risolvere, nella propria vita privata. La Roma dei Friedkin ha già dimostrato di voler avere i romanisti sempre al proprio fianco, e credo che sappia che questa carta deve poter essere giocata, all’occorrenza, anche nella vicenda dello stadio di proprietà. Naturalmente non sarà questo il fattore determinante per garantirsi il successo. Ben altri lo saranno, a cominciare dalla qualità del progetto. Ma non tutti i fattori saranno nella disponibilità della società di via Chopin. Quando si rievoca il fallimento dell’operazione Tor di Valle bisogna sempre ricordare un dato: dal giorno in cui il progetto fu lanciato (2012) a quando è stato definitivamente abbandonato (2021) sono trascorsi quasi dieci anni, e Roma ha visto tre elezioni comunali, quattro sindaci, un commissario straordinario e decine di assessori. Neanche il progetto più fantastico sarebbe andato in porto in una tale condizione di instabilità politica e amministrativa.

Ora siamo appena agli inizi del mandato di Roberto Gualtieri, non c’è alcun segnale di turbolenza politica e, per quanto in città non mancheranno mai polemiche e contestazioni all’amministrazione, non si vede chi, come e quando possa mettere in discussione la stabilità del governo capitolino. In più, in questi primi mesi l’alternarsi di silenzi (quando c’era da lavorare tacendo) e di comunicazione (quando è venuto il momento di comunicare) testimoniano della sintonia tra Comune e società e dell’intento di arrivare a destinazione insieme. Ma verranno i momenti difficili, nel procedere di un progetto comunque ambizioso e pieno di variabili. Perché ovviamente non tutti a Roma sono tenuti a essere amici di Gualtieri o dei Friedkin, e perché già per Tor di Valle si vide quanti ostacoli possono essere frapposti in maniera più o meno motivata e trasparente da chi eventualmente non trovasse di suo gradimento quello che è anche un importante piano di trasformazione di un quadrante urbano. Ed ecco che torniamo al fattore emotivo. E all’importanza che un progetto inattaccabile sul piano urbanistico, ambientale, sociale e sportivo venga comunque sentito proprio, con passione e non per fatalismo, anche da una schiera di cittadini motivati, informati, interessati, coinvolti (a cominciare, si intende, dagli abitanti di Pietralata): saranno loro a dare la forza necessaria a superare gli ostacoli, a fare da sfondo alla necessaria opera diplomatica politica e manageriale.

Caro direttore, ti dico la verità: io penso ancora che il Genio dell’Olimpico avrebbe preso bene l’idea di trasferirsi dalle parti di Testaccio, e alcune delle cose che ho scritto sarebbero venute, come dire, da sé. Ma questo lo dico solo perché sono romantico, e soprattutto perché vedo il Gasometro dalle finestre di casa mia e confesso che sognavo una vecchiaia di comode passeggiate domenicali. In realtà, qualche giorno fa ho svolto un personalissimo ma accurato sopralluogo tra la stazione Tiburtina e l’ospedale Pertini, e ne ho ricavato che sì: va bene anche così, va bene anche lì. Anzi, l’area scelta dalla Roma e dal Campidoglio ha già ora alcuni vantaggi evidenti e altrettanto evidenti potenzialità, a cominciare da una leggera ma sensibile sopraelevazione naturale che garantisce un effetto scenografico potente, che per esempio si imporrebbe alla vista di chiunque arrivi a Roma in treno dal Nord. Anche queste cose hanno un valore. Chiaro, con tutto il rispetto per Pasolini e per i tanti romanisti di Pietralata: non abita da quelle parti alcun particolare Genius loci giallorosso, e obiettivamente non c’è molto di evocativo tra quegli sterrati che ricoprono antiche cave inesplorate. Ma come ci insegna José Mourinho, non bisogna vivere nel passato né fermarsi sul presente. Pietralata si farà, e sarà la casa della nostra passione. Solo, ogni tanto, quelli che avranno un’età per ricordarsi della lontana notte di coppe e di campioni andranno a versare una lacrimuccia davanti alla Palla, e sarà solo una cosa innocua e romantica.

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