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dalla pandemia

365 giorni senza di te: un anno fa l'ultima partita della Roma all'Olimpico con i tifosi

Il 23 febbraio 2020 si giocava per l'ultima volta con il pubblico in Curva. Dopo l’estate una breve riapertura per mille sostenitori. Dal 17 maggio in Inghilterra 10mila spettatori

L'Olimpico il 23 febbraio 2020 durante Roma-Lecce

L'Olimpico il 23 febbraio 2020 durante Roma-Lecce

23 Febbraio 2021 - 06:30

Gli obiettivi non dichiarati si chiamano Europei e Wimbledon, la data da segnare sul calendario è il 17 maggio, quando saranno ammessi negli impianti fino a 10mila spettatori. Una sorta di prova generale per i grandi eventi sportivi dell'estate. Lo ha annunciato il primo ministro inglese Boris Johnson, illustrando i primi passi verso le riaperture dopo la diffusione del vaccino. In tempo per l'ultima giornata di Premier League. In Serie A tutto è fermo alla 26ª della scorsa stagione. Ma per la Roma l'ultima coi propri tifosi in casa risale alla settimana precedente.

Ventitré febbraio 2020, pomeriggio inoltrato. Il cielo sopra l'Olimpico sembra dipinto e non a caso coi colori della Capitale e della sua squadra. Tutto parla di Lei, quasi si preparasse al commiato. Suggestioni al crepuscolo. La Roma che ospita il Lecce allenato da un suo vecchio tifoso è reduce un periodo difficile: tre sconfitte consecutive. Ma a supportarla c'è il suo pubblico, la sua Curva, che sa come stringersi nei momenti di difficoltà. In Sud appare uno striscione: «Fuori la voce, avanti romanisti».

Sarà così, sugli spalti come in campo: la squadra cala il poker, mentre il tripudio di colori con l'avanzare della notte si trasferisce dal cielo al settore più caldo. Sono sempre gli stessi, visibili in quello sventolio senza soste di bandiere. Fino al fischio finale e oltre, come da abitudine. Nessuno può immaginarlo in quel momento, ma quell'immagine così consuetudinaria per i frequentatori dell'Olimpico resterà l'ultima del 2020, quanto ispiratrice di speranza per il 2021.

È trascorso appena un anno da allora, che però pesa quanto un secolo. Di quelli bui. Il mondo si è chiuso per opporre resistenza al virus che lo ha travolto, tutto si è fermato, molto non esiste più, e anche il calcio ha dovuto arrendersi per qualche mese. Salvo tornare nella scorsa estate, in una veste inedita, fino ad allora confinata alle amichevoli del giovedì o a qualche sanzione comminata al pubblico per gravi comportamenti. In qualsiasi modo la si voglia vedere, è comunque triste, silenziosa, relegata a qualche urla nel silenzio, fra panchina e campo, di quelle che si possono ascoltare assistendo agli allenamenti.

Questa volta nessuno è stato carnefice, tutti vittime allo stesso modo. E la punizione, per chi saliva quei gradini verso il boccaporto che spalanca il campo con la stessa emozione della prima volta, terribile. Niente più stadio, niente più 90 minuti settimanali (e oltre) di sospensione dal mondo esterno, di sogni, bandiere, colori, calore e cori. Niente di niente. Le partite ci sono ancora, certo, ma a distanza. E si possono seguire soltanto nel modo più freddo possibile: in tv, da lontano, sul divano di casa.

Nel periodo di emergenza più grave sono proprio i tifosi più caldi a distinguersi per una serie di iniziative benefiche, a Roma come altrove, fino al cuore della pandemia. La simbiosi col proprio club non è altro che un'altra forma di legame al proprio territorio, che si svela nel momento di massimo bisogno. Come già in passato, in silenzio, lontano dai riflettori. Ma questa volta se ne accorgono tutti. Anche perché per i padroni del vapore gli spalti vuoti costituiscono un danno irreparabile. I bilanci vanno sottosopra perfino per i colossi: toccati negli interessi, tutti si rendono conto dell'importanza della componente-pubblico.

È più prosa che poesia, ma la consapevolezza è già qualcosa. Dopo l'estate si provano timide e ristrette riaperture, limitate a mille persone e soltanto in tribuna. La Roma invita gli eroi del settore sanitario e quello sprazzo di colore dentro lo stadio sembra già tanto, rispetto all'assoluto vuoto estivo. Ma dura poco. Il virus non concede tregua e si torna alle sagome cartonate (fortunatamente non per noi) e al silenzio. Fino all'ultima apertura di marca inglese.

Un altro mondo è possibile, si spera, e magari anche un altro calcio. Perché al di là dell'amore immutato per la propria squadra, questo attuale appare svuotato. E anche il dipinto del cielo più bello manca della sua cornice. Che in quel caso non è più orpello, ma completamento, parte fondamentale dell'opera d'arte: la sua anima, i tifosi.

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