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Cadetti anche in Europa: l'impietoso confronto tra la nostra storia internazionale e la loro

Visioni e revisioni storiche dei laziali e coppe che valgono, ma solo per loro. Tutto smontato: nelle competizioni continentali abbiamo giocato un terzo di gare in più di loro

Stefano Quinti
22 Maggio 2018 - 14:08

La Roma in Champions League, la Lazio in Europa League. La Roma nell'Europa che conta, la Lazio in quella minore, se ci va. È così, è sempre stato così, sarà sempre così. Il verdetto dell'ultima giornata di campionato altro non fa che confermare ciò che la storia ha sempre detto, anche se la propaganda altrui diffonde concetti falsi ai quali spesso gli stessi romanisti finiscono col credere.

Uno dei cavalli di battaglia, ad esempio, è la presunta illegittimità della Coppa delle Fiere, ma su questo torneremo più avanti. Già, perché nel periodo in cui, solo per il semplice fatto che Totti aveva superato Nordahl nella classifica cannonieri di tutti i tempi in Serie A, alcuni si ricordarono che, oltre a Pro Vercelli, Novara, Juventus e Torino, Silvio Piola aveva giocato anche nella Lazio, si sottolineava anche come lo stesso Piola avesse disputato una finale europea. Vero, per carità, era quella della Coppa dell'Europa Centrale (Mitropa Cup) del 1937.

Ma qui vanno fatte almeno due considerazioni: la prima è che non si capisce come mai la Coppa delle Fiere non debba valere perché «non organizzata dalla Uefa» (solo parzialmente vero), mentre un torneo di mezzo secolo prima cui partecipavano squadre di non più di 6 nazioni, sì. La seconda riguarda il modo in cui la Lazio arrivò in finale. E cioè senza giocare la semifinale, dato che sia Genoa sia Admira Vienna furono squalificate per motivazioni, diciamo così, "politiche". Facile così, eh? La finale naturalmente la vinse il Ferencvaros.

La Coppa delle Fiere, dicevamo. Competizione non riconosciuta dalla Uefa, dicono. Sarà vero? Il torneo era organizzato direttamente dalla Fifa e infatti fu il presidente Stanley Rous a consegnare la coppa a Losi, come fece ad esempio nel 1968 al Leeds United. Fu lo stesso Rous peraltro l'ideatore della coppa, quando era segretario della Football Association, assieme ad altri dirigenti europei tra cui il vicepresidente Figc Ottorino Barassi. Il comitato organizzatore, di cui faceva parte la Uefa, era gestito direttamente dalla Fifa, presso la cui sede si tenevano i sorteggi.

A prescindere dalla scontata superiorità della Fifa sulla Uefa, e dalla presenza della Uefa stessa nel comitato organizzatore, più di un indizio accerta la continuità tra la Coppa Uefa la Coppa delle Fiere. Intanto il fatto che già dall'edizione 1965- 66, vinta dal Barcellona, il formato della competizione era già quello della Coppa Uefa.

Inoltre il presunto mancato riconoscimento da parte della Uefa non è mai stato accertato, come ha fatto notare El Mundo Deportivo nel 2003 in un pezzo a sostegno della legittimità del trofeo vinto dal Barça per tre volte . La Juve ha perso tre finali. E la Roma, solo perché il regolamento imponeva di disputare la finale nell'autunno dell'anno successivo, non è stata la prima squadra italiana a vincere una competizione veramente europea.

Infine, basta leggere che cosa racconta Hans Bangerter, segretario Uefa dal 1960 al 1968, sulla rivista ufficiale Uefa: «A un certo punto il comitato esecutivo della Uefa pensò che una competizione così importante dovesse essere organizzata dalla Uefa stessa, che avrebbe potuto assicurare il rispetto delle regole standard e avrebbe potuto affrontare questioni arbitrali e disciplinari.  La decisione fu presa a Roma nel 1968. Andai a rappresentare la Uefa all'ultima riunione del comitato esecutivo della Coppa delle Fiere e mantenemmo comunque alcuni dei membri del comitato della Coppa delle Fiere nel nuovo comitato organizzatore. Poi nel 1971 decidemmo di assegnare il trofeo alla vincente tra Barcellona e Leeds. Cambiammo il nome in Coppa Uefa, aumentammo il numero delle squadre e producemmo un nuovo trofeo».

In pratica, come potrebbe la Uefa disconoscere una competizione alla cui organizzazione ha sempre partecipato e di cui a un certo punto ha semplicemente preso il controllo?

E non è neanche del tutto vero che era una semplice "competizione a inviti". Nel tempo ebbe una evoluzione in base alla quale partecipava una squadra per ogni grande città. Ed è per questo che, com'era scontato, a rappresentare la città di Roma fosse sempre la Roma, capace nel 1962-63 di vincere una partita anche 10-1 (contro i turchi dell'Altay Izmir).

Ci fu solo un'eccezione, nella stagione 1970-71, con la Lazio naturalmente eliminata al primo turno. Nel frattempo, la Roma era già ben inserita nelle competizioni Uefa, tanto che nel 1969-70 era arrivata alla semifinale di Coppa delle Coppe (eliminata senza perdere nessuna delle tre partite col Gornik Zabre). Si potrebbe anche aggiungere che nel 1972 si vinse il torneo anglo-italiano. Anzi, lo aggiungiamo, perché poi ti dicono che quello non conta ma la Coppa delle Alpi - misteriosamente - sì. Come detto, qua i criteri cambiano ogni volta.

Nelle coppe europee la Roma ha giocato 309 partite, contro le 215 della Lazio, ha vinto 43 partite in più e segnato 47 gol in più. Parteciperà per la dodicesima volta alla Champions League, mentre la Lazio è ferma (chissà ancora per quanto) a 6 partecipazioni. 

Naturalmente sappiamo benissimo che la Lazio ha vinto una Coppa delle Coppe e una Supercoppa, sapendo sfruttare la fortuna di incontrare sul suo cammino Losanna, Partizan Belgrado, Panionios e Lokomotiv Mosca (peraltro collezionando più pareggi che vittorie...), prima della finale col Maiorca e della Supercoppa contro la primavera del Manchester United. Un po' di fortuna ci vuole, per carità, ma avere tradizione europea è un'altra cosa.

Avere tradizione europea è, ad esempio, essere arrivati tre volte in finale e due in semifinale. O, per restare nell'epoca recente, considerare che la Lazio non partecipa alla Champions League dal 2007-08 e nel frattempo la Roma ha partecipato 6 volte e quella dell'anno prossimo sarà la settima. E il trito e ritrito «in Europa non vi conosce nessuno», che già era falso prima, figuriamoci se può reggere di fronte alla semifinale raggiunta quest'anno vincendo un girone con Atletico Madrid e Chelsea ed eliminando il Barcellona.

E non reggevano neanche i riferimenti ai rovesci clamorosi della Roma. Che dire, allora, di quelli biancocelesti? Un 4-0 a Ipswich nel 1973-74, un "aggregate 0-7" col Barcellona nel 1975-76, il mitico Lens-Lazio 6-0 del 1977-78, la fuga di Boksic al bagno di Dortmund nel 1994-95, il 5-3 del Tenerife di Heynckes nel 1996-97 o il 5-2 di Valencia del 1999-00 e il 4-1 di Oporto del 2002-03. E si potrebe continuare, spaziando da Lazio-Chelsea 0-4 del 2003-04 ad altre eliminazioni ad opera di Egaleo, Levski Sofia, Ludogorets e Sparta Praga.

Non proprio il Bayern Monaco, insomma. Il 4-1 del Salisburgo, con un nuovo record stabilito: quello dei 3 gol subiti in 4 minuti, che si aggiunge a quello di essere stata l'unica squadra italiana che, pur avendo vinto il campionato, non ha partecipato alla Coppa dei Campioni. Quella è roba irrecuperabile, mentre questa annata europea dimostra che si può passare il turno anche perdendo 4-1 fuori casa. Perfino col Barcellona. Ma per farlo devi essere la Roma.

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