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L'intervista

Francesco Rocca: "La lesione muscolare è sempre un errore"

La leggenda della Roma: "Io so cosa passa chi si infortuna. Non esiste il caso, se succede è perché la preparazione è sbagliata. Un tecnico dev’essere anche preparatore"

, di Mancini

, di Mancini

10 Settembre 2019 - 12:52

Non solo per i romanisti, ma per chi conosce la storia del pallone, se c'è "un infortunato", anzi "l'infortunato" per eccellenza nel calcio questo è Francesco Rocca. Purtroppo. Anzi mille purtroppo e senza nessuno sguardo caritatevole perché a lui farebbe schifo (e senza che questo minimamente lo definisca tout court). Lui, Francesco Rocca ha fatto solo e sempre una cosa nella vita: ha corso e lavorato. Si è fatto male, malissimo, lo hanno curato male, malissimo, non avrebbe dovuto più continuare a giocare ma ci ha provato fino a non poterne più davvero, visto che ancora oggi si fa gli impacchi di ghiaccio sulla gamba rimasta menomata, trasformando tutta la sua vita, non solo sportiva, in una lezione di dignità e di etica. In questo senso Francesco Rocca è tutto tranne che "un infortunato", Francesco Rocca è un esempio. Di romanismo (s'abusa, s'abusa di questo termine, ma nel suo caso è pure poco) e di vita. Non ha mendicato mai nulla e non si capisce perché non lavori nel mondo del pallone, o forse lo si capisce pure troppo bene. Ora è fuori dopo che per più di trent'anni ha fatto l'allenatore per la Federazione Giuoco Calcio, ha fatto il preparatore atletico per le nazionali e ha fatto crescere decine e decine di uomini prima che di calciatori. Riuscendo in una specie di miracolo: nemmeno un infortunio. È un altro scandalo di Francesco, un altro "troppo" a cui è difficile credere, ma è la sua normalità. Partiamo e andiamo là.

Trentadue anni da allenatore delle varie nazionali azzurre e nessun infortunio, ma è un dato vero questo Francesco, pare pure poco credibile?
«Sì che è vero, assolutamente. Ed è persino logico se lavori, se fai il tuo dovere. Io ho lavorato in Figc dal 1984 al 2011, ho lavorato e messo a punto un metodo che mi consentiva allora di poter alzare i ritmi dei carichi di lavoro e di non avere infortuni muscolari, perché soprattutto in federazione quello era l'obiettivo. Nelle nazionali i calciatori sono in "prestito" dai club, devi ridarglieli sani. Bisognava ottenere il massimo risultato dai giocatori a zero impatto».

Su o con chi hai lavorato meglio?
«No, nessun singolo. Forse la migliore preparazione è stata quella fatta per Italia 90. Avevo 36 anni, arrivammo terzi, la squadra viaggiò a ritmo da Mondiale e non avemmo nessun infortunio. E ne ho fatte tante di esperienze: ho vinto due Mondiali militari, sono stato due o tre volte vicecampione d'Europa, e ho tanti ragazzi che ancora mi chiamano per ringraziarmi...».

Qual è il segreto di questo metodo?
«Non averli perché si tratta di una cosa: la conoscenza, lo studio di quello che stai per fare e di quello che devi fare. Il dramma che passa un giocatore infortunato lo sa solo lui. A suo tempo mi ero riproposto di studiare la macchina umana per far sì che le esigenze di un'attività così impegnativa non fossero di nocumento ad altri giocatori. È stata una scelta professionale che porto avanti ancora adesso. È una scelta che rifaccio ogni giorno».

Che metodo è?
«È un metodo che porta avanti lo studio della biomeccanica della struttura, la fisiologia del muscolo, oltre ai funzionamenti dei vari apparati a cominciare da quello circolatorio e, ovviamente, l'alimentazione. La macchina umana è perfetta e proprio per questo le basta una miofibrilla per farla saltare».

Cos'è una miofibrilla?
«È la parte più piccola della fibra muscolare, fibra muscolare che è composta da mille miofibrille. Il paragone è con la macchina di Formula 1, basta che un fusibile salti e salta la macchina. Lo stesso vale per la struttura muscolare di un atleta a cui sono richiesti sforzi e rendimenti elevatissimi. Più cresce lo standard da raggiungere, più il rischio di infortunio è alto. In generale nei 30 anni di lavoro ho applicato delle regole che sono legate anche all'interpretazione personale, e al mio vissuto, ovviamente. Ho modificato nel tempo alcune cose, per esempio gli ultimi 5 mesi li ho passati a studiare a fondo il funzionamento dei mitocondri».

I mitoche?
«I mitocondri sono degli organelli cellulari che producono l'energia per il muscolo umano, l'ATP, adenosina trifosfato. Ero curioso di vedere come raddoppiare l'energia per far sì di far avere all'atleta il doppio dell'energia in allenamento. Lo studio l'ho sottoposto a un professore, un fisiologo di alto livello, ho avuto anche altri riscontri sulla bontà delle ricerche che ho trasformato in distanza di allenamento. Sedute di allenamento che consentono al muscolo di raddoppiare l'energia che produce la cellula».

Tu sei più un allenatore di calcio o preparatore atletico?
«Le cose non si possono scindere. Altrimenti deleghi ad altri, la responsabilità diretta è mia. Di tutto. Se le cose non vanno, sono io che pago. Il mio staff è un cappellino, un fischietto e un collaboratore. L'allenatore non deve danneggiare il patrimonio della società, non deve avere infortuni muscolari. Io in 32 anni di carriera come allenatore della federazione non ne ho mai avuto uno».

Magari è più facile in nazionale, visto che non li alleni tutti i giorni e per poche partite, no?
«No, per niente, è più difficile. Perché in nazionale arrivano tanti giocatori da esperienze e preparazioni diverse e non sai quanto è preparato x o y: se alzi troppo il livello c'è il rischio dell'infortunio, se l'abbassi perdi perché a livello internazionale sono più preparati di noi. In nazionale hai poco tempo a disposizione ma devi fare risultato. Durante Mondiali ed Europei in un mese fai 7 partite, e ti arrivano giocatori che hanno finito la stagione, che sono logori. In Italia il lavoro è fatto empiricamente, quasi a livello dilettantistico. C'è una mattanza di infortuni inconcepibile. E l'infortunio non traumatico è sempre un errore».

Di chi?
«In generale l'infortunio è un errore di preparazione. L'infortunio traumatico è rischio d'impresa, rischio della professione, ed è legato al caso, ma l'infortunio muscolare ha solo una responsabilità esclusiva e ben precisa, che è quella della preparazione di base. Una preparazione di base decente prevede 30-40 giorni di lavoro per preparare bene una squadra. Dopo i 40 giorni, però, è impensabile sentire che ancora "non sono in condizione", significa che hai sbagliato qualcosa, se non molto. La finalità della preparazione è evitare che la tossicità muscolare porti al rifiuto del muscolo stesso di andare a certe intensità. Le tossicità muscolare può essere da lavoro, ed è quella che va ricercata e allenata, perché più alzi il livello e più corri; poi c'è quella alimentare, la tossicità dell'alimentazione che come mettere benzina normale in una F1, e un tecnico deve conoscere almeno, almeno le basi delle alimentazioni; e infine la tossicità da sovraccarico muscolare: se metti una massa esagerata su una struttura che non lo tiene, la rompi. Io lo so».

Tu normalmente come lavori.
«Senza uno staff, perché se la responsabilità è di tutti non è di nessuno. Se c'è un danno muscolare la colpa è mia, così come la responsabilità di mettere i calciatori nelle condizioni di valorizzarsi. La preparazione atletica in una scala di valori permette al talento di esporre meglio la sua mercanzia. Se sei bravo ma arrivi dopo, non ti vedono. Le sedute vanno alternate, a seconda dell'esigenza e dello stato dell'atleta. Bisogna fare mantenimento e scarico durante la settimana, ma se scarichi troppo dopo 5 giorni l'organismo perde tutto quello che aveva acquisito. Se non fai un carico fra una partita e l'altra, alla terza che giochi non corri più. Impensabile sentire dire che "hanno risentito la fatica del mercoledì" perché non corrono la domenica: non è vero, la fatica non dura mai tanto, la fatica fisica dura 24 ore e basta. Poi l'organismo si è già rigenerato. Il resto sono scuse o incompetenza. In Italia c'è il malvezzo di dire che l'infortunio muscolare sia una questione di fortuna, allora un presidente serio dovrebbe dire all'allenatore che è stato sfortunato pure lui e questo mese non prende lo stipendio. Tipo come ha fatto il marchese del grillo... È una cosa seria, voi non sapete cosa può significare un infortunio».

Francesco Rocca sì.
«Il giocatore infortunato ha dei sentimenti che sono spaventosi: paura, timore, paura di non ritornare come prima, o di non ritornare proprio e questi sentimenti vanno rispettati. Anche prima! Devi fargli fare un lavoro per farlo essere sicuro di utilizzare il 100% delle sue possibilità. Quando un giocatore ha un infortunio muscolare se non è sicuro al 100% diventa un altro, inconsciamente ha paura e non è all'altezza delle dinamiche in mezzo al campo. Devi togliergli le remore sennò ha finito».

Un allenatore deve essere anche psicologo, quindi.
«Certo, ma se tu dimostri al tuo calciatore che può riandare non solo forte, ma fortissimo, psicologicamente lo fai rendere anche di più. Con l'infortunio crolli. Noi dobbiamo impedire questo e dobbiamo permettere di far riprendere un calciatore».

Uno "come te", che poi è più corretto scrivere, te e basta, come fa a non lavorare nel calcio?
«Ti ho già risposto in passato. Io non ho nemmeno un procuratore... Ma oggi mi interessava parlare soltanto di preparazione e di studio. Magari il sistema calcio si regge anche sugli infortuni, ma nemmeno mi interessa. Io vado avanti».

E allora magari tutto torna

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